Il caos emendamento
Caro affitti, i pasticci della destra che odia il diritto allo studio
Politica - di Angela Azzaro
Una misura parziale, uno spot a caccia di qualche voto in più a pochi giorni dalle amministrative di domenica scorsa, ma anche una norma – come spesso succede a questo governo – concepita male. Ieri la destra ha fatto l’ennesima pessima figura, dimostrando tutta la sua incapacità: ha dovuto ritirare l’emendamento che destinava 660 milioni per le case degli studenti, perché presentato nel decreto sbagliato, quello sulla pubblica amministrazione. Rischiava di essere dichiarato inammissibile.
La pantomima è avvenuta alla Camera durante la seduta congiunta delle commissioni Affari costituzionali e Lavoro. L’emendamento, voluto dal governo la scorsa settimana, verrà ripresentato – dicono – nel decreto omnibus, ma la presa in giro nei confronti delle e degli studenti resta tutta. Forte e comprensibile la protesta delle opposizioni, dal Pd al Terzo Polo. Per la capogruppo dem alla Camera Chiara Braga sono stati “frettolosi, sciatti e imprudenti. La risposta al caro affitti della maggioranza ha fatto una brutta fine. La protesta cresce e noi sosterremo le ragioni e le proposte di chi vede messo in pericolo il diritto allo studio”.
Quello del governo è stato un errore, come sostengono loro, dettato dall’urgenza? No. Per diverse ragioni, anche perché se gli errori si ripetono, come dice il proverbio, hanno sempre qualcosa di diabolico. La decisione della maggioranza di rispondere immediatamente alla protesta delle tende non solo è stata frettolosa ma non è la strada giusta. I 660 milioni, che sbloccano fondi del Pnrr, sono destinati alla costruzione di nuovi edifici e – scrive Elisabetta Piccolotti di Avs – vanno a favorire i palazzinari: “Il governo conferma l’emendamento sull’housing universitario? Non è una buona notizia – scrive la deputata -. Sarebbe tale solo se l’esecutivo annunciasse un cambio di destinazione a favore delle università pubbliche e delle agenzie regionali per il diritto allo studio”.
La risposta da dare al movimento degli studenti è comunque un’altra e deve tenere conto delle domande che i ragazzi e le ragazze nelle tende stanno ponendo in maniera radicale: intrecciare il diritto all’abitare e il diritto allo studio. Ed è esattamente questo intreccio che il governo Meloni non solo non contempla ma vuole abbattere. Hanno da subito posto la questione in termini classisti parlando di merito e non di diritti. La risposta dei 660 milioni si è rivelata sbagliata nella sua formulazione ma è anche sbagliata come risposta politica a un movimento che chiede un cambio di passo radicale. Come sta accadendo in Francia dove la protesta contro la riforma delle pensioni è diventata l’occasione per chiedere una diversa qualità della vita, anche le tende che stanno sorgendo nei pressi delle Università italiane hanno la stessa forza: partono da una questione concreta, innegabile – il caro affitti – e chiedono una idea diversa di accesso all’Università. Un diritto che deve prescindere dal le condizioni economiche dei singoli studenti.
Ma il governo Meloni da quando si è insediato sta facendo una lotta non contro la povertà ma contro i poveri. La scelta di restringere il reddito di cittadinanza ne è l’esempio più lampante. Non è un caso che tra gli striscioni che accompagnano la protesta sia comparsa la richiesta di un reddito universitario, cioè un reddito garantito per tutti e tutte. A destra o si parla di fannulloni o si tenta di fregarli con fondi che non sono la soluzione e che comunque vengono prima messi e poi levati. Poi rimessi. Tra incapacità e crudeltà, il governo Meloni deve però fare i conti con una generazione che non si fa prendere in giro dai discorsetti sul merito.
Il diritto allo studio è una cosa seria e come tale, anche in sede parlamentare, andrebbe trattato.