Parla il direttore di Limes

“L’America vuole accorciare i tempi della guerra in Ucraina, la partita è con la Cina”: intervista a Lucio Caracciolo

Editoriali - di Umberto De Giovannangeli - 17 Maggio 2023

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“L’America vuole accorciare i tempi della guerra in Ucraina, la partita è con la Cina”: intervista a Lucio Caracciolo

La guerra e l’assenza della politica. La ricerca di una visione prospettica nel mondo post globalizzazione. Dall’Ucraina al voto in Turchia. L’Unità ne discute con Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la più autorevole rivista italiana di geopolitica.

Nella recente missione in Europa, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky ha ribadito che l’unica soluzione al conflitto è la sconfitta militare della Russia. Tutto sembra legato alla vittoria sul campo. Anche lei è di questo avviso?
No, nel senso che non credo che vi sarà una vittoria decisiva sul campo né da una parte né dall’altra. Potranno essere spostati leggermente gli equilibri ma mi pare difficile che la Russia possa andare molto avanti o che l’Ucraina possa sfondare il fronte. In ogni caso, comunque vada sul terreno, l’America e i suoi alleati occidentali più o meno hanno fatto un discorso chiaro a Zelensky, dicendo, in buona sostanza: fino ad adesso ti abbiamo armato, ora devi riguadagnare quanto puoi sul terreno e poi bisognerà trovare una qualche forma di accordo negoziato con la Russia, per stabilizzare il fronte e per potere, pensano gli americani, dedicarci con tutta la testa e il cuore necessari alla partita con la Cina. Gli americani hanno deciso di accorciare i tempi della guerra, bisognerà vedere se ci riusciranno.

In questo scenario l’Europa quale ruolo pensa di poter esercitare?
Dipende quale Europa si consideri. La Polonia vorrebbe esercitare un ruolo che porti la Nato a sconfiggere definitivamente la Russia e dunque vincere la guerra in Ucraina. La Germania e la Francia probabilmente vorrebbero andare ad un negoziato e ad una tregua la più rapida possibile, considerando comunque la Russia un fattore inaggirabile negli equilibri europei, e poi ci sono tutte le posizioni intermedie. Comunque sia, l’ultima parola sarà americana, da una parte, e russa dall’altra, ma anche ucraina, nel senso che gli ucraini non sono certo disposti a farsi dire fino in fondo dagli altri quello che devono fare. È una questione di priorità strategiche. Per l’America la partita decisiva è quella con la Cina. E su quel fronte vanno indirizzate tutte le risorse militari. L’industria americana non può dall’oggi al domani produrre, per input di Biden, quello che servirebbe per armare gli ucraini oltre un certo limite. Il Pentagono ha messo in chiaro che gli sforzi vanno indirizzati sul fronte cinese e il resto diviene secondario. Questa è l’intenzione americana: accorciare i tempi della guerra d’Ucraina. Ma che possa riuscirci, questo è tutto da vedere. La strada resta in salita, anche perché i russi ci hanno preso gusto e gli ucraini non sono propensi ad accettare un compromesso qualunque esso sia.

La guerra in Ucraina e i nuovi assetti ed equilibri di potere su sfera planetaria.
La posta in gioco non è un chilometro quadrato in più o in meno nel Donbass ma il rango, la graduatoria delle potenze. Certamente la Russia imbarcandosi nell’invasione dell’Ucraina si è messa, a mio avviso inutilmente, in difficoltà da sola finendo abbastanza triste e solitaria. Dall’altra parte l’America sconta le difficoltà che ormai da tempo ha sul fronte interno, cioè la sempre minore disponibilità a gestire l’impero. In tutto ciò la potenza che finora ha più guadagnato, almeno in apparenza, è la Cina che ha portato la Russia sotto di sé in funzione di utile idiota e ha segnalato una sua capacità d’influenza nei vuoti di potere lasciati dall’America, anche in ambiti fino a ieri insospettabili. Per citarne uno, il caso Iran-Arabia Saudita.

Per restare agli assetti geopolitici del pianeta. Il numero in edicola e in libreria di Limes ha come titolo: “Il bluff globale. Il mondo dopo la globalizzazione. L’autunno dell’impero americano inaugura anche per noi l’età del caos”.
Non è tanto un discorso economico, che pure c’è. È un discorso anzitutto geopolitico. La globalizzazione come ideologia dell’impero americano. Ora, se è vero quello che accennavo prima, e cioè che esiste una certa “fatica imperiale” a Washington più che nell’America profonda, questo può essere interpretato anche attraverso la presa molto minore che l’ideologia della globalizzazione ha in America ma anche altrove. Una ideologia che fondava sui postulati economici del cosiddetto neo liberismo, vale a dire sull’idea delle capacità non solamente economiche ma anche geopolitiche del libero mercato come ricetta universale che attraverso l’interconnessione dei mercati avrebbe prodotto anche una graduale apertura dei sistemi politici. Operazione chiaramente fallita, soprattutto in Cina.

Tuttavia la globalizzazione resta un tabù inviolabile, una sorta di mantra nelle riflessioni della politica, sia a livello nazionale che internazionale.
In realtà è diventata una parola passepartout che viene utilizzata nei modi più diversi e nei contesti più diversi. Tanto è vero che sul numero di Limes a cui faceva riferimento, pubblichiamo una sorta di glossarietto di che cosa significhi globalizzazione a seconda degli attori che pronunciano questa parola. Purtroppo ormai è una caratteristica di questa fase anche semantica che le parole, come anche le cose, siano abbastanza sconnesse.

Tornando sul teatro di guerra. In un suo editoriale di qualche tempo fa su La Stampa, che ha fatto molto discutere, lei delineava una “alternativa del diavolo”: accettare la vittoria della Russia oppure, da parte dell’Europa e dell’Occidente, entrare nell’ottica di idee di un coinvolgimento, anche sul campo, con eserciti, nel conflitto. Questa alternativa è ancora in campo?
Sì ma la si può mascherare adottando una specie di terza via: accettare se non la vittoria quantomeno la non sconfitta sul terreno tattico della Russia, presentarla come una vittoria ucraina, chiudere il capitolo, almeno dal punto di vista americano, ridurne l’importanza e concentrarsi sulla Cina. Questo, però, implica che i russi e gli ucraini siano d’accordo. Forse i russi sì, gli ucraini non so, certamente per Zelensky sarebbe molto difficile accettare una cosa che non sia molto vicina alla sua idea di vittoria, cioè la riconquista dei confini del ’91.

Ogni volta che si presenta un “facilitatore” negoziale c’è una corsa per abbatterlo. Vale per la Cina e oggi per il Vaticano.
Occorre fare chiarezza. L’iniziativa vaticana non c’è mai stata, non c’è e non ci può essere. Semplicemente perché non è accettata da nessuna delle due parti come possibile fonte di mediazione. Il recentissimo incontro tra Zelensky e il Papa lo ha confermato. Per quanto riguarda altri mediatori, in questo momento le mediazioni possono essere di carattere umanitario, scambio di prigionieri e cose di questo genere. Ma i protagonisti di un negoziato geopolitico, quando e se ci si arriverà, saranno gli Stati Uniti, la Russia, l’Ucraina con la Cina che utilizza la situazione in Ucraina per riaprire un qualche dialogo con l’America. Insomma, la Cina sta rientrando attraverso la finestra ucraina nel sistema delle grandi relazioni internazionali. Quanto all’Europa, non passa giorno senza che da Casa Bianca e dintorni ci si comunichi che noi europei non siamo in cima ai loro pensieri. Perché la bussola è il contenimento della Cina. Gli apparati a stelle e strisce si preoccupano di noi quasi solo per impedire che l’influenza cinese in Europa diventi troppo pervasiva”.

Un Paese chiave, sia in ambito Nato sia nel rapporto con l’Europa, in primis sui migranti, è la Turchia. Si va al ballottaggio presidenziale tra Erdogan e il suo sfidante, Kilicdaroglu. Qual è il segno politico che emerge dal primo turno di domenica scorsa?
I sondaggi che davano Erdogan messo male sono stati smentiti. Il secondo turno mi pare tendenzialmente più favorevole a Erdogan considerando che il terzo partito, un partito ultranazionalista tipo “Lupi grigi”, difficilmente potrà orientare il suo elettorato per Kilicdaroglu. Ma al di là del vincitore, che sia l’uno o l’altro, non credo che la traiettoria geopolitica della Turchia, che la sta riportando a giocare un ruolo neo imperiale nella regione e non solo, possa essere davvero alterata.

17 Maggio 2023

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