La rubrica Sottosopra
Europa sotto attacco della Russia: la favola di guerra baltico-polacca, come si monta un casus belli
Non c’è prova di intenzione dei russi di aggredire l’Europa, siamo noi che gliele attribuiamo. È una tesi apodittica la volontà attribuita a Mosca
Esteri - di Mario Capanna
La guerra è il segno evidente del fallimento della ragione umana.
(B. Russell)
Torna, in Europa, la voglia di guerra. Dopo secoli di conflitti e qualche decennio di “pace” in seguito alla seconda carneficina mondiale. La frenesia bellica come coazione a ripetere. Oltre lo scontro con la Russia, tramite interposte vittime ucraine, che non sta dando i risultati di vittoria sperati, ci si prepara al suo allargamento, sia con le parole sia con il riarmo massiccio. Da che la guerra esiste, i suoi fautori hanno sempre bisogno di individuare e indicare un nemico: ora la Russia è il bersaglio prescelto. Le parole: l’ineffabile segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha dichiarato l’altro giorno: “Siamo il prossimo obiettivo della Russia e siamo già in pericolo. (…) Ciò che sta accadendo in Ucraina potrebbe accadere anche ai Paesi alleati, dobbiamo passare a una mentalità da tempo di guerra. (…) Il momento di agire è adesso. La spesa e la produzione per la difesa degli alleati devono aumentare rapidamente”.
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Sulla stessa linea sono Merz, Macron, Starmer e Meloni, il cui governo ha approvato un emendamento alla finanziaria per aumentare “la produzione e il commercio di armi”. Mentre Putin ripete a chiare lettere che non ha alcuna intenzione di attaccare l’Europa e la Nato, ma di essere pronto a difendersi se da loro venisse aggredito – il che è stato giudicato da Bruxelles come una “minaccia” – c’è qualcuno, da Rutte in giù, che abbia portato qualche prova della presunta volontà di Mosca di voler confliggere con l’Occidente? No, niente di niente. La tesi è, semplicemente, apodittica, si “giustifica” di per sé, imposta come evidente, scontata, inoppugnabile, irrefutabile. Come sempre, quando si vuole una guerra a tutti i costi.
Nonostante ciò alcuni Paesi Nato sostengono che la Russia ci attaccherà nel 2029 (!?). Il generale Stefano Mannino, presidente del Centro alti studi per la Difesa, chiarisce l’arcano. Dice: “Questa narrazione ha un’origine baltico-polacca”, secondo cui “le capacità operative della Federazione Russa potrebbero essere tali da permetterle di sferrare un attacco al nostro fianco Est”. E aggiunge: “Queste analisi non sono basate sulle intenzioni di Mosca, ma esclusivamente sulle sue capacità osservabili” (corsivo mio). Vale a dire: non esistono le “intenzioni” dei russi di aggredire l’Europa, siamo noi che gliele attribuiamo. Il casus belli viene montato in modo del tutto artificiale. Si stanno creando le condizioni per una doppia tragedia: il riarmo (con le spese militari portate al 5% per cento del Pil!) non solo divora risorse sottraendole ai bisogni sociali più importanti, ma nemmeno è univoco: se uno riarma, lo fa anche l’altro, in una spirale parossistica che tende a divenire interminabile. Così si riarmano tutti, dall’Europa agli Stati Uniti (Trump ha annunciato la ripresa degli esperimenti nucleari), dalla Russia al Giappone e alla Cina.
Le élites europee, in particolare, sono invasate di guerra, al contrario, per fortuna, dei loro popoli. Nonostante il lavorio continuo delle forze dominanti volto a far maturare nell’opinione pubblica il sentimento di accettazione della guerra: i grandi media, con torme di scribi al seguito, sono indefessi al riguardo. L’introduzione della leva ”volontaria” (obbligatoria domani?) va nella stessa direzione. Emerge quella che merita di essere considerata come la “maledizione europea”. Dalle crociate in qua, il Vecchio continente ha dilatato permanentemente la guerra, al proprio interno e nel mondo: dalla guerra dei Cent’anni (116 per la precisione, dal 1337 al 1453) a quella dei Trent’anni (1618-1648), dall’olocausto dei nativi d’America alla tratta degli schiavi che ha spolpato l’Africa, dal feroce colonialismo in tutti gli altri continenti (ovviamente finalizzato a portare la “civiltà”…) fino alle due guerre mondiali.
Non è giunto il momento di interrompere questa malefica tradizione? C’è la possibilità di riuscirci. Sono consolanti i dati del sondaggio Censis: in caso di guerra che coinvolga l’Italia la grande maggioranza dei cittadini, in particolare i giovani, si sottrarrebbe: il 40 per cento, dichiarandosi pacifista, non impugnerebbe le armi; un quarto sarebbe disposto ad affidare la difesa a mercenari (i contractors); il 20 per cento scapperebbe dal Paese; solo il 16 per cento combatterebbe. Vuol dire che c’è uno iato profondo fra guerrafondai e cittadini.
Su questo benefico divario bisogna lavorare. A ogni sincero democratico è richiesto di impegnarsi per dare rappresentanza, visibile e durevole, alla volontà di pace e di coesistenza cooperante fra le persone e i popoli. Sapendo che l’alternativa sarebbe lo scivolamento verso lo sterminio nucleare possibile. La lotta per il disarmo e la pace è oggi una priorità urgente.