L'intervista

“Il Pd metta da parte le divisioni, al primo posto il bene del Paese”, intervista ad Alessandro Alfieri

«Durante l’Assemblea abbiamo deciso di aprire il cantiere per il programma coinvolgendo iscritti e società civile. Il lavoro positivo fatto sulla coalizione è condizione necessaria e non sufficiente, bisogna andare oltre la somma algebrica dei soggetti all’opposizione di Meloni»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

18 Dicembre 2025 alle 15:30

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Foto LaPresse – Mourad Balti Touati
Foto LaPresse – Mourad Balti Touati

Alessandro Alfieri, senatore, capogruppo del Partito democratico alla Commissione esteri di Palazzo Madama e responsabile Riforme e Pnrr nella Segreteria nazionale del Pd.

Senatore Alfieri, I patiti del retroscenismo politico hanno raccontato l’Assemblea nazionale del Pd come il riposizionamento interno di cacicchi, correnti e via retroscenando. Per provare a parlare di politica, qual è il segno prevalente dell’assise Dem?
Questi retroscena mi sembrano sinceramente una caricatura. La fotografia di domenica è chiara: da una parte ad Atreju Giorgia Meloni, capo assoluto di FdI, che parla ai suoi e i suoi ascoltano; dall’altra parte la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein che dopo il suo discorso si confronta con gli interventi dei delegati del Pd in Assemblea nazionale. Sei ore di dibattito dove sono emerse anche sensibilità e punti di vista diversi. Da una parte quindi un partito personalistico, legato al suo leader; dall’altra un partito che discute e che non vuole venir meno al suo profilo plurale, che è un tratto identitario del Partito Democratico. Durante l’Assemblea è stato messo al centro il progetto per il Paese e abbiamo deciso insieme, ed è questa la notizia più importante, di aprire il cantiere per il programma coinvolgendo iscritti e iscritti oltre a realtà radicate della società civile. Questo ci impegnerà nei prossimi mesi, perché siamo consapevoli che il lavoro fatto sulla coalizione è positivo, ma è una condizione necessaria e non sufficiente per vincere. Abbiamo quindi bisogno di andare oltre la somma algebrica dei soggetti all’opposizione della Meloni, per dare un’anima e un profilo programmatico alla coalizione.

Il dibattito sul voto nel centrosinistra s’intreccia con quello innescato da Romano Prodi con la sua affermazione che la sinistra ha voltato le spalle al Paese. Non è vero che il Pd ha smarrito la sua vocazione originaria?
Il Partito Democratico o è plurale o non è. Anche domenica abbiamo discusso, con punti di vista diversi. Ma alla fine la stragrande maggioranza dei presenti ha votato la relazione della segretaria e anche chi non la condivideva fino in fondo si è astenuto. È il momento di parlare al Paese, coinvolgendo tutti i mondi vitali che vogliono costruire l’alternativa, la più credibile e autorevole, al governo Meloni. Non basta dire mandiamo a casa la destra, servono progetti e idee che disegnino l’Italia del futuro e parlino alle nuove generazioni. Recuperando una parte dell’astensionismo che rappresenta oggi uno dei punti di debolezza delle democrazie. Abbiamo avviato il percorso in assemblea. A nome di tanti di noi che hanno fatto un tratto di strada insieme in questi anni, ho voluto dire con chiarezza che ci impegneremo ancor di più nel partito per contribuire a vincere questa sfida. Lasciando da parte incomprensibili divisioni e mettendo al primo posto il bene del nostro Paese.

“Scandalo italiano: la sinistra vuole tassare gli ultra-ricchi”. È il titolo di prima pagina de l’Unità in riferimento alla patrimoniale che indigna la destra, ma non solo la destra. È ripartito il “fuoco amico” sulla Schlein sinistrorsa, succube di Landini. Come la vede?
Una forza progressista si deve far carico di un ragionamento più ampio che tenga insieme imprenditori, professionisti e dipendenti e che garantisca equità contributiva legando reddito e patrimonio. Demonizzare la ricchezza non fa parte della mia cultura politica. Allo stesso tempo è ormai evidente che questo governo stia smantellando uno dei principi cardine della nostra Costituzione in materia tributaria, quello della progressività. Sta diventando un sistema fiscale à la carte con regimi fiscali diversi, che finisce per penalizzare i soggetti più fragili.
Questa legge di bilancio non aiuta i redditi medio bassi. Ci sono settori che hanno fatto e faranno utili a doppia cifra: da quello bancario a quello assicurativo, dalle industrie energetiche a quelle della difesa. Realtà dove spesso gli amministratori prendono compensi stratosferici e i dipendenti hanno visto i loro stipendi perdere potere d’acquisto a causa dell’inflazione. Recuperare risorse per aiutare chi ha gli stipendi medi e bassi è la priorità. Continueremo a batterci in parlamento per questo obiettivo.

Putin che torna a minacciare e irridere l’Europa, Trump che la deride e mira a scardinarla dall’interno puntando anche sull’Italia e sui partititi sovranisti anche di matrice neonazista come la AfD tedesca. Ma Giorgia Meloni rilancia il suo ruolo di “pontiera” tra Usa ed Europa.
L’Europa sia geograficamente che politicamente si è spesso trovata coinvolta nei cambi di fase della storia del nostro pianeta. A volte ne è stata protagonista e a volte, come in questo caso, si trova a essere per ragioni diverse il terreno di gioco dove si stanno riscrivendo le regole del nuovo ordine internazionale. Nel più importante documento di politica estera degli Stati Uniti, la National Security Strategy, Trump ha delineato come concepisce le relazioni con gli altri Paesi. Una dottrina basata sui rapporti di forza commerciali, istituzionali e militari dentro una dimensione essenzialmente bilaterale.
Le ricadute sono evidenti: l’imposizione dei dazi, la delegittimazione delle istituzioni multilaterali e la gestione dei conflitti in Ucraina e Gaza come fossero un mero accordo commerciale. Con il corollario dei partiti nazionalisti del nostro continente da supportare come grimaldello per scardinare l’Unione Europea.
A scardinare l’Europa ci sta provando dall’altra parte anche Putin, mettendo alla prova tutti i giorni la nostra deterrenza dal punto di vista militare, la nostra difesa rispetto alle minacce ibride e la tenuta psicologica delle nostre opinioni pubbliche. Allo stesso tempo cerca di tagliarci fuori dai negoziati per arrivare alla fine del conflitto in Ucraina, ma senza i Paesi europei non ci può essere pace duratura perché solo l’Europa, con il supporto degli USA, può dare le garanzie di sicurezza a Kiev oltre a velocizzare l’iter di adesione all’UE. Pace duratura che allo stesso tempo non può essere raggiunta senza gli Ucraini perché solo loro possono decidere sul futuro dei loro territori. In tutto questo, Meloni prova a galleggiare, non prende posizione perché non vuole scontentare Trump ma così facendo rischia di condannarci all’irrilevanza. La scelta è se rassegnarci ad essere una piccola provincia dell’impero occidentale a guida Trump o provare ad investire sull’autonomia strategica europea stando con il gruppo di testa dei Volenterosi. Noi del partito democratico sappiamo da che parte stare.

Intanto la Palestina è scomparsa dalle prime pagine della stampa mainstream e dai titoli dei Tg. Eppure, a Gaza si continua a morire di freddo e di fame, mentre in Cisgiordania spadroneggiano le squadracce dei coloni sostenute dall’esercito israeliano. Nei suoi recenti incontri a Roma, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, ha rilanciato la richiesta all’Italia di riconoscere lo Stato di Palestina. Se non ora, quando?
L’accordo su Gaza ha rappresentato un passaggio importante perché ha permesso il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, la riconsegna delle salme e, soprattutto, la ripresa degli aiuti umanitari. Certo, noi vorremmo che ne entrassero di più: è chiaro che in questo momento le condizioni logistiche lo rendono più complicato. Per questo vanno ripristinate in tempi rapidi le condizioni di sicurezza con l’implementazione delle fasi successive dell’accordo. Ora c’è il passaggio più importante, che ha già avuto un primo approdo al Consiglio di Sicurezza: quello di istituire una forza di protezione internazionale per portare al disarmo di Hamas e al ritiro delle forze armate dalla Striscia di Gaza. Allo stesso tempo, abbiamo bisogno di tenere alta e salvaguardare la prospettiva “due popoli, due Stati”.
Per poterlo fare, dobbiamo riconoscere come hanno fatto tanti altri Paesi europei, lo Stato di Palestina. Sappiamo che questo non produce effetti immediati, ma dà il segnale di un’Europa unita e consapevole che in questo momento è a rischio uno degli elementi fondamentali della statualità: il territorio. Le azioni violente dei coloni, che continuano ad espandere gli insediamenti illegali, la copertura dei ministri estremisti del governo di Israele nei confronti di questi e, soprattutto, il primo voto della Knesset per l’annessione della Cisgiordania danno il senso di una deriva ormai molto pericolosa, che rischia di minare definitivamente la possibilità per i due popoli di coesistere in modo pacifico. Per questo è importante che l’Italia, con il suo tradizionale ruolo di ponte verso il Medio Oriente e il mondo arabo, non venga meno a questa responsabilità e riconosca subito lo Stato di Palestina. È un modo per rispondere a una situazione che rischia, in questo momento, di essere oscurata mediaticamente dal negoziato sull’Ucraina. Dopo le speranze suscitate dalla tregua non ci possiamo permettere come comunità internazionale passi indietro che rovinerebbero il paziente lavoro diplomatico di questi mesi.

18 Dicembre 2025

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