L'incontro a Palazzo Chigi
Zelensky confida in Meloni per salvare l’Ucraina: ma mentre la premier media, il ponte tra USA e UE rischia di crollare
In vista della presentazione del piano rimodulato che Kiev invierà oggi a Washington, il leader ucraino scommette sull’intercessione della premier
Politica - di David Romoli
“Mi fido di Meloni: ci aiuterà”: per sgombrare il campo dai sospetti su uno slittamento verso Washington, e di conseguenza verso Mosca del governo italiano, Volodymyr Zelensky non aspetta neppure che si svolga il colloquio con Giorgia. La benedice e garantisce per lei già sulla porta di palazzo Chigi, prima ancora di entrare. All’uscita si allargherà anche di più: “Colloquio eccellente. Molto significativo su tutti gli aspetti della situazione diplomatica. Contiamo molto sul continuo sostegno dell’Italia”. Da palazzo Chigi filtrano versioni altrettanto soddisfatte e non potrebbe essere altrimenti: in questo momento Meloni e Zelensky hanno troppo bisogno l’uno dell’altra per permettersi un rapporto meno che idilliaco.
Zelensky arriva a Roma forte del sostegno garantitogli a Londra dai tre principali leader del Vecchio Continente, Starmer, Macron e Merz, e poi dai vertici dell’Unione, il presidente del Consiglio europeo Costa e quella della Commissione von der Leyen. L’appuntamento romano potrebbe dunque sembrare relativamente periferico. Non è così. I leader di Londra, Parigi, Berlino e Bruxelles sono precisamente quelli di cui Trump, in una sprezzante intervista a Politico definisce “deboli che non sanno cosa fare”. Le loro chances di trovare ascolto a Washington sono in questo momento basse e Zelensky sa perfettamente che, retorica europeista a parte, il suo Paese non può fare a meno del sostegno americano. La premier italiana è forse l’unica che può provare a spingere Trump verso posizioni meno punitive nei confronti dell’Ucraina. Oggi o al massimo domani Kiev presenterà a Trump il suo piano di pace concordato a Londra, cioè quello americano ridotto però da 28 a 20 punti, depurato da quelli “anti-ucraini”. Nessuno si aspetta che Trump lo accetti così com’è ma è fondamentale che neppure lo cestini considerandolo inaccettabile per Mosca. Il ruolo di Meloni, in questo passaggio delicatissimo può essere cruciale.
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Inoltre l’Italia è il terzo Paese per importanza dell’Unione e in ballo, su tempi molto brevi, ci sono decisioni cruciali, in particolare quella sul prestito a Kiev composto dagli asset russi oggi congelati. La questione è spinosissima. Proprio ieri il Giappone ha rifiutato drasticamente di mettere mano ai 30 miliardi depositati nelle sue casse. Il Belgio ha tutte le intenzioni di fare lo stesso e il grosso di quei capitali, circa 190 miliardi, sta lì. Anche da questo punto di vista, il sostegno italiano, non solo a parole, è per Zelensky fondamentale. Giorgia ha altrettanto bisogno dell’amico ucraino. La sua scommessa, quella di trasformare l’ambigua vicinanza sia alla Ue che a Washington in punto di forza funzionando da ponte fra le due sponde dell’Atlantico, non è mai stata così vicina a fallire. Lo scontro non si placa, al contrario aumenta di intensità. Al Trump che bolla i leader europei come “deboli” e che ammonisce l’Europa avvertendola che “sta andando in direzione sbagliata”, risponde von der Leyen esprimendo “orgoglio e gratitudine” per gli eccellenti leader europei. Al presidente americano che invoca elezioni in Ucraina e accusa Zelensky di voler continuare la guerra per evitarle, replica la portavoce della Commissione europea blindando Zelensky: “La Russia è impegnata in una guerra di aggressione. Le elezioni di dovrebbero svolgere quando le condizioni lo permetteranno”. A pace fatta o almeno a tregua raggiunta e stabilizzata.
La premier “equidistante” è così presa tra due fuochi perché non può permettersi di scegliere con chi stare tra Bruxelles e Washington. Perderebbe ogni ruolo nella delicata e rischiosa partita internazionale che si sta giocando. Perderebbe anche la carta magica che le permette di tenere insieme le anime confliggenti della sua maggioranza: l’europeismo assoluto di FI e il trumpismo radicale della Lega. Dunque, Meloni insiste sulla necessità che Usa e Ue procedano appaiate proprio nel momento in cui sono invece più distanti e conflittuali e insiste per provare davvero a tenersi ancora in equilibrio. Ma per questo è necessario che Zelensky da un lato si faccia garante della lealtà assoluta dell’Italia e dall’altro ammorbidisca le posizioni decise a Londra, perché su quella base non c’è ripesa di dialogo possibile con Washington. Sembra una scommessa impossibile ma Meloni conta su una carta preziosa e possente: tanto l’Ucraina quanto i principali leader europei sanno che, in questo momento e per quanto incandescenti siano le polemiche, degli Usa non possono fare a meno.