Coscienza critica della diaspora ebraica

Intervista ad Anna Foa: “Vietare per legge le critiche a Israele? È una follia illiberale che usa la lotta all’antisemitismo”

La dichiarazione dell’Ihra aveva la caratteristica di non essere penalmente rilevante. Se ora la si rende in qualche modo legata a ricadute penali, si creano norme contro la libertà

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

9 Dicembre 2025 alle 08:00

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Photo credits: Andrea Di Biagio/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Di Biagio/Imagoeconomica

Anna Foa, intellettuale, voce libera, coscienza critica della diaspora ebraica, che sa il valore della memoria storica ma non ne resta prigioniera e soprattutto non accetta che la tragedia della Shoah possa essere usata strumentalmente per giustificare l’ingiustificabile. Si spiega anche così lo straordinario successo del suo ultimo libro “Il suicidio d’Israele” (Laterza).

Professoressa Foa, sta facendo molto discutere la presentazione in Parlamento di quattro disegni di legge – Romeo (Lega), Scalfarotto (Italia Viva), Delrio e altri (Pd), Gasparri (Forza Italia), quest’ultimo con una proposta che interviene persino in ambito legale – che hanno adottato la definizione di antisemitismo elaborata molti anni fa dall’Ihra – la International holocaust remembrance alleance – che qualifica come antisemita ogni critica radicale a Israele e verso il sionismo quale sua ideologia fondativa. Lei è tra i primi firmatari – assieme a Roberto Della Seta, Helena Janeczeck, Carlo Ginzburg, Lisa Ginzburg, Gad Lerner, Giovanni Levi, Stefano Levi Della Torre, Simon Levis Sullam, Bruno Montesano, Valentina Pisanty, Roberto Saviano – di un documento in cui si esprime una forte e argomentata contrarietà verso tutti i DDL che equiparano critiche a Israele attualmente in discussione al Parlamento italiano. Come definire questi disegni di legge?
Qualcosa di assolutamente pazzesco. Praticamente si isola Israele, lo si rende intoccabile. Non è consentito fare critiche alle politiche del suo Governo, espresse in manifestazioni, espresse in libri, espresse sui giornali, perché in qualche modo qualunque critica viene definita come antisemita e quindi ricade sotto una serie di norme e di leggi che rendono questa critica punibile. A questo punto Israele diventa ancora più intoccabile di quanto già ci appare. Finora ci è apparso come uno Stato che violava tranquillamente e impunemente tutte le norme e leggi internazionali, rigettando ogni appello dell’Onu critico rispetto alla colonizzazione selvaggia della Cisgiordania e alla violenza esercitata dai coloni, prima e dopo il 7 ottobre, e adesso circondiamo Israele di una sorta di filo spinato che ci impedisce, in nome dell’antisemitismo, di criticarlo. Questo è qualcosa di estremamente grave.

Cito testualmente dalla dichiarazione che la vede tra i primi firmatari: “Queste iniziative legislative da un lato banalizzano l’antisemitismo; dall’altro, come si è visto anche nella recente offensiva del governo Trump contro le principali università americane, usano la lotta all’antisemitismo come strumento politico per limitare la libertà del dibattito pubblico, della ricerca e della critica legittima a Israele. Che da anni porta avanti politiche violente, autoritarie e perfino genocidiali contro i palestinesi”. Le chiedo: ma agendo in questo modo non si finisce anche per incidere negativamente sul dibattito estremamente vivace e critico che su questi temi è aperto da tempo in Israele?
Assolutamente sì. Israele ha da una parte il suo Governo per il quale tutto il mondo è antisemita, e secondo questa visione folle, apocalittica, antisemiti sono anche quegli ebrei che giudica non appiattiti sulla sua linea. E dall’altra parte assiste a un dibattito politico e culturale che muove moltissime persone in Israele. Sottolineo la dimensione della criticità. C’è un Israele resiliente che ha manifestato più e più volte prima e dopo il 7 ottobre contro il governo Netanyahu, e tra queste persone ci sono tanti giovani. Una vitalità che, a mio avviso, non è stata rimarcata come avrebbe dovuto. Netanyahu fa finta di niente ma non per questo vuol dire che non contino niente, che non rappresentino una forza nella società israeliana che potrebbe spingere in direzioni importanti se collegata con le pressioni esterne di altri Paesi. Un dibattito che si è chiuso rapidamente nel mondo accademico, nel momento in cui alla dichiarazione dell’Ihra del 2016, molto contestata, è stata opposta la Jerusalem declaration on antisemitism firmata da moltissimi storici, sia israeliani che statunitensi, in cui si correggeva fortemente questa impostazione che tacciava di antisemitismo qualunque critica a Israele.
Posso fare un esempio?

Prego
Nella dichiarazione dell’Ihra che è passata in Italia, tra i tanti, viene definito come esempio di antisemitismo il confronto tra la Shoah e quello che succede oggi in Medio Oriente. La dichiarazione è del 2016 ma è oggi che acquista una pregnanza più forte e discriminante. Dire, per esempio, che i volti dei bambini affamati di Gaza ci ricordano quelli del Ghetto di Varsavia, secondo quanto sancito da quella dichiarazione, potrebbe qualificarsi come una forma di antisemitismo. Mi sembra di essere veramente in una follia più totale.

Sempre dal documento che la vede tra i promotori: “Stabilire un presunto privilegio di esenzione dalla critica politica ed etica ‘in favore degli ebrei’ (e solo di questi) – che nei fatti tutela solo chi sostiene in modo incondizionato le ragioni di Israele – non può che alimentare nuova ostilità e ulteriore antisemitismo. Quest’ultimo certamente esiste ma va sempre contrastato accanto a islomofobia, razzismo e ogni forma di discriminazione”. In Israele c’è chi ci va giù ancora più pesante nel denunciare la pratica di un governo – cito un titolo di Haaretz, “nel quale i ministri fanno a gara a chi è più fascista”. Alla luce di quanto stabilito dai vari DDL in discussione in Parlamento, molti articoli delle migliori firme del giornalismo indipendente israeliano, che l’Unità ha più volte ripreso, verrebbero perseguiti come forme di manifesto antisemitismo, pure se a scriverli sono israeliani ed ebrei.
Non è questione di essere israeliani o ebrei, è questione di quello che dici o scrivi. Anche l’affermazione di genocidio può essere tacciata e perseguita come antisemitismo. E questo anche se in Israele questo concetto, questa parola sono stati completamente sdoganati e hanno vissuto in tante e participate manifestazioni a Tel Aviv e in ogni luogo d’Israele. La dichiarazione dell’Ihra aveva la caratteristica di non essere penalmente rilevante ma di essere orientativa verso una più netta definizione di cosa sia l’antisemitismo. Se ora la si rende in qualche modo legata a ricadute penali, se si arresta o si colpisce chi fa affermazioni che vengono ritenute, secondo questa definizione, antisemite, beh a questo punto siamo all’utilizzo della battaglia contro l’antisemitismo per colpire in realtà la libertà di stampa, la libertà di espressione, la libertà di manifestazione.

In nostre precedenti conversazioni, lei ha insistito sul fatto che occorrerebbe parlare di sionismi. Eppure, queste proposte di legge, rifacendosi alla Dichiarazione dell’Ihra, riduce un fenomeno complesso ad una dimensione unica. Il sionismo tout court come ideologia fondativa dello Stato d’Israele.
È proprio così. Si tratta di proposte legislative fatte per elevare il sionismo ad una sorta di ideologia intoccabile e come tutte le ideologie intoccabili, è assunta come una ideologia unitaria. Il sionismo come ideologia fondante dello Stato d’Israele. E lo Stato d’Israele, secondo queste norme, diventa uno Stato che può fare quello che vuole perché qualunque accusa a quello che fa verrà considerata antisemita.

Tutto questo non rischia di alimentare una radicalizzazione opposta?
Certo che sì. Se si separa decisamente la battaglia contro l’antisemitismo da quella contro il razzismo, da quella contro il fascismo, da quella contro il nazismo, da tutte quelle espressioni di odio messe al bando da leggi italiane, come la legge Mancino e precedentemente dalle formulazioni della nostra Costituzione, se si opera questa cesura, si finisce per acuire l’odio e fomentare le differenze tra chi appoggia Israele e chi non lo sostiene, e coprire chi appoggia Israele con la protezione derivante da queste norme, beh tutto questo non farà che accrescere ulteriormente l’antisemitismo. Ci sarà una discordanza evidente tra il fatto che viene reso impossibile criticare la politica d’Israele e il fatto che le critiche verso le politiche di altri Paesi sono possibili. Pensiamo cosa succederebbe se qualcuno, in base a qualche norma o qualche definizione, affermasse che non si può criticare Putin. Perfino Trump è criticabile. Solo Israele è fuori da questo gioco, in nome dell’antisemitismo.

Concetti ben evidenziati dal Documento critico: “Gli scrittori denunciano il rischio dell’uso politico dell’antisemitismo, quello di repressione della libertà di opinione e parola, a cominciare dalla critica al governo israeliano, come avviene già negli Usa di Trump e in diversi Paesi europei e l’Italia dovrebbe evitare”. Un discorso che chiama in causa cosa sia oggi Israele. C’è chi sostiene che basterebbe eliminare la “mela marcia” che guida il Paese, il primo ministro Benjamin Netanyahu, perché tutto ritorni alla normalità. Ma Netanyahu e i vari Ben-Gvir, Smotrich, non vengono da Marte e non sono al potere per un golpe. Costoro rappresentano una parte importante dell’opinione pubblica israeliana. Negarlo non è un errore?
Certo che lo è. Io non so cosa succederà dopo le elezioni del 2026. Certamente anche se Netanyahu venisse battuto, e lo speriamo in tanti, questo non risolverebbe d’incanto il problema d’Israele. Io sono convinta che sia Israele che c’è già, sia la Palestina che deve ancora nascere, rinascano in qualche modo, come la fenice, dalle ceneri di quello che è stato fatto, cambiando profondamente il loro modo di concepirsi.
Certo, non è una cosa che si può far subito. E per cambiare radicalmente visione non basteranno le pur auspicabili uscite di scena di Netanyahu o di Ben-Gvir. Israele non si salva moderando la linea attuale, che è estremista e razzista, o mettendo in disparte, ammesso che ci si riesca, i politici più impresentabili. Serve ben altro. Di più profondo, radicale. Una sorta di rivoluzione delle coscienze, senza la quale non vi potrà essere una riformulazione dell’etica e della politica d’Israele ma anche della Palestina, conseguentemente, perché i due Stati sono indissolubilmente legati.

Il suo ultimo libro, che ha avuto uno straordinario successo, aveva come titolo Il suicidio d’Israele. Adottare leggi come quelle di cui abbiamo parlato in questa nostra conversazione, non contribuisce a questo suicidio?
Certamente contribuisce al suicidio d’Israele, ma temo che contribuisca anche al suicidio degli ebrei della diaspora, soprattutto in Europa, con l’appiattimento che si è avuto molto spesso sulle posizioni indifendibili d’Israele. Discorso in parte diverso vale per la diaspora ebraica americana, che ha dimostrato una vitalità e una capacità di reazione che la teneva fuori da queste possibilità di estinzione., di suicidio. Il mondo ebraico europeo, forse perché era già pesantemente in crisi prima di queste vicende, non riesce ad esprimere, tranne che in ridotte minoranze, posizioni che guardino al futuro e offrano soluzioni politiche a quello che succede.

Ci sarà un seguito a Il suicidio d’Israele?
Non proprio un seguito. Sto finendo di scrivere un libro proprio sull’antisemitismo, sempre per Laterza, che uscirà nei prossimi mesi. In qualche modo i due temi sono fortemente legati, ma sono sviluppati, declinati anche da un altro punto di vista.

Questo, professoressa Foa, non è anche un modo fruttuoso per non essere prigionieri di una memoria ma nello stesso tempo rivisitarla con gli occhi dell’oggi?
Io credo che la memoria sia a rischio. Sia a rischio con quello che è successo e sia ancora più a rischio con questa sorta di norme protettive della politica israeliana e dello Stato d’Israele. Credo che la memoria sia a rischio ma credo che vada anche salvaguardata. Ma per salvaguardarla non basta una posizione difensiva, non basta difendersi, non basta far finta di niente, non basta non parlare dell’oggi.
Credo che quello che serve davvero è rivedere radicalmente il nostro modo di ripensare, di organizzare la memoria. Dire mai più per tutti. E non solo mai più per gli ebrei. Ed evitare così che la memoria diventi una “cassaforte identitaria” per il mondo ebraico, escludendo tutto il resto del mondo.

9 Dicembre 2025

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