L'addio a 91 anni
Perché ci siamo innamorati di Ornella Vanoni: la voglia, la pazzia, l’allegria di un’artista libera
Dal teatro con Strehler alle apparizioni da Fazio, ha incarnato stile e spregiudicatezza propri di una donna a tutto tondo, che ci ha ammaliati con la sua voce e il suo talento multiforme
Spettacoli - di Fulvio Abbate
Ornella Vanoni è stato e resta un pezzo unico, “monotipo” di voce, nell’ideale jukebox, walkman e infine podcast della nostra musica, e forse anche assai di più, riscontrata l’empatia che infine, ad ampio spettro sonoro, ha suscitato anche sui ragazzi e le ragazze che non esistevano ancora nei giorni del bianco e nero televisivo di Senza fine e Ma mi…, quando, intatto il monoscopio, c’era modo di immaginare che “la Vanoni” cantasse da un signorile appartamento milanese buzzatiano – via Moscova o largo Treves, metti – un mobile-bar “Fornasetti” magari a far da sfondo, come in un film intimista, pensiamo a La cotta del primo Ermanno Olmi.
Se n’è andata a 91 anni, sempre lì, nella “sua” Milano, città fissa, intatta, imprigionata, secondo immaginario comune, nell’ambra industriale e della cultura, nello stupore dell’inatteso, quasi chiunque desiderasse trattenerne ancora la presenza nel poker o lo “chemin” o “bridge” e le fiches della vita, ritenendo inaccettabile, in questo suo caso personale, l’impermanenza delle cose. Un timbro di voce “nasale”, quando perfino le adenoidi contribuiscono a far di te una miracolosa cifra melodica, unica, irriproducibile, tra tessitura e colore, negata ad altre artiste, Mina compresa. Lo scrittore Giuseppe Prezzolini, da centenario, sosteneva che oltrepassata la linea d’ombra dell’età, una volta “vecchi”, si potesse pronunciare ogni cosa, anche la più oscena o imbarazzante e irrituale, senza più timore di risultare inopportuni. Le “canne” come toboga per il sonno, nel suo caso. Lo stesso dono di libertà e assoluta informalità prossima perfino allo sbraco Ornella Vanoni ha donato a sé stessa, nel, diciamo così, Lato B della “carriera”, cioè trascorso il tempo iniziale dei vinili, con la sua vita pubblica e professionale di cantante, attrice e ancora interprete della propria sostanza caratteriale, diventando, al di là della sua voce incisa proprio sui dischi, come direbbe Nietzsche “ciò che si è”. Era rimasto intatto però, anche lì nel salottino di Fabio Fazio, il suo plusvalore narrativo, l’allure da “sciura” certamente “borghese” meneghina, a memoria del Lato A, sempre della sua vita, da immaginare tra Monte Napoleone, via della Spiga e ancora le strade di Brera raccontate da Luciano Bianciardi, tutto ciò che altrettanto appare nelle cronache giornalistiche “mondane” della concittadina Camilla Cederna, tra “Noi siamo le signore” e “Le pervestite”.
Postando una foto su Instagram, ricordi festivalieri trascorsi, Rosanna Fratello le rende adesso onore e grazia: “Oggi se ne va una delle voci più eleganti e autentiche della musica italiana. Sarai sempre ‘un attimo senza fine’”. Nello scatto, appaiono insieme al bar del Teatro Ariston: Ornella indossa un completo “signorile” attillato sui fianchi, stivali alti neri, mentre sulle mensole tra i liquori, ancora a confermare l’aria del tempo, una bottiglia di Vecchia Romagna, il brandy che, da réclame di Carosello, “crea un’atmosfera”; eco visiva di un Sanremo dei tardi anni Sessanta. Caterina Caselli, sullo stesso social, la rammenta invece mentre interpreta Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco, accompagnata al pianoforte da Pino Calvi, “se avrete modo di ascoltarla converrete con me che lì si trattava non solo di una bella canzone, ma di Arte-Arte con la A maiuscola”; è lo stesso tempo musicale melodicamente “siamese” a Sapore di sale e Città vuota a essere evocato.
Anche gli eredi del Bar Jamaica di Brera, già ritrovo di Lucio Fontana, Piero Manzoni, Ettore Sordini, Mario Dondero, Ugo Mulas, Giancarlo Fusco e ogni altro pittore e presenza vivente artistica dei giorni de La vita agra, ci sono a restituirle affetto: “La Vanoni ha dato una voce a Milano, alla sua bellezza imperfetta, alla sua malinconia brusca e sentimentale, agli amori stonati e a quelli che tornano. Ne ha cantato le luci che abbagliano e le ombre che stringono, la solitudine delle sere d’inverno e il rumore del tram al mattino, la nebbia che sfuma i contorni delle storie. Ornella è stata anche una presenza in serate improvvisate, con amici e musica. Con quel suo timbro così inusuale e magnetico. E di lei (e di quella Milano) abbiamo tanta nostalgia”. Intatto il ricordo dei suoi capezzoli che si lasciano intuire sotto la seta di un abito lungo, nero o verde bosco, di scena.
La camera ardente al Piccolo Teatro di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, dove, tra il 1943 e il 1945, mesi della Repubblica di Salò, i “militi” e gli aguzzini fascisti della Legione Mobile “Ettore Muti” torturavano i partigiani lì reclusi; anche questo è un segno del portato politico e “civile” che Vanoni riassume in sé, al di là dello stesso legame affettivo con Strehler. Sappiamo altrettanto della sua vicinanza ai socialisti, al “garofano” dell’amico Bettino Craxi, seppure, incomprensibilmente, in un’intervista successiva alla caduta della Milano da bere sempre Ornella Vanoni abbia voluto dirsi “apolitica”. Bobo Craxi l’ha ricordata in televisione intonando alla chitarra una canzone che le era propria, Ma mi… L’appuntamento, Che barba amore mio, La voglia, la pazzia, Samba della rosa (con Vinicius de Moraes e Toquinho), fino alle collaborazioni con Jerry Mulligan, e poi, in tempi recenti, Enzo Gragnaniello, Paolo Fresu, Elodie, Ditonellapiaga, solo per citarne alcuni incontri e collaborazioni. Per non dire anche del teatro e del cinema, compresi i “musicarelli”.
Ospite “residente” da Fabio Fazio, già nel Lato B della sua evidenza ininterrottamente professionale, aveva stemperato, ironizzando, il tema assoluto della morte, ciò che resta della vita, la propria, e, s’intende, il funerale che doveva riguardarla. Lo scrittore Rafael Azcona, in un romanzo dedicato “alle pompe funebri”, parlava di “piccola epopea che ogni uomo, perfino il più scemo, si guadagna morendo”, quanto a lei, così accennava a proposito di una possibile bara: “Ne ho trovate di colorate, che nell’attesa si possono usare come cassapanca. Una cosa comoda dove mettere le cose. Un ottimo regalo per chi ha già tutto”. È invece di legno chiaro, la croce discreta di ottone sul cofano, la luce e i colori restano però intatti in ciò che ha scelto di restituire nell’ampiezza del suo repertorio: ora “leggera” ora “confidenziale” ora jazz, poi “d’autore”, e bossa nova, e pop. I gonfaloni della città di Milano listato a lutto e anche della Regione Lombardia, a renderle omaggio ufficiale, nel lutto cittadino, in sottofondo, con volume fioco, Domani è un altro giorno si vedrà… Nel 1991 avrebbe voluto che Schifano realizzasse la copertina di un suo album: “Sai, Mario, è un disco un po’ pop…”, peccato che il pittore non volle accontentarla trovando offensivo d’essere associato solo e sempre alla pop art, il compagno di allora che la accompagnava le si rivolgeva chiamandola, ricordo bene, “Stornella”.
Il mio ricordo personale di Ornella Vanoni? Era il 1991, avrebbe dovuto presentare un format televisivo intitolato Idolo, un progetto concepito insieme a Dacia Maraini: storie di donne che hanno posto in cima all’ideale altare maggiore della cura affettiva i propri “maschi”, ricevendo in cambio solo disattenzione, forse anche disamore, ferite, e qui in filigrana si può intuire la sua vicinanza sentimentale a Gino Paoli e altre storie non meno intense e insieme accidentate. Eravamo a ragionarne in piazza del Popolo, a Roma, davanti al caffè Rosati, quando “la Vanoni” mi ha accarezzato meticolosamente il fondoschiena, era forse un modo, il suo, di salutare, trasmettere calore, ironia, complicità. Tristezza per favore va via…, non c’è stato villaggio turistico, possibilmente munito di tavernetta, minigolf e “night” serale, o anche festa nuziale, che non abbia visto intonare questo brano, come inno delle stagioni felici interiori in grado di assolverti anche dalla tentazione del tradimento, fino al “trenino” finale d’obbligo, il mondo a vestirsi di cotillons virtuali, le signore in lungo, gli ombretti di verde smeraldo a completare il racconto cosmetico dello sguardo, coriandoli argentati a scendere dal cielo, come in un’estate musicale infinita.
P.S. Esemplari, da sottoscrivere, le parole di Natalia Aspesi: “Era una bellissima ragazza, Ornella Vanoni. Peccato che avesse fatto tutti quei lifting, perché era molto bella, anche a 91 anni”.