I nodi del dossier
Il piano Trump per la “pace” in Ucraina, la svendita di Kiev alla Russia: Zelensky e l’Europa restano a guardare
Esteri - di Carmine Di Niro
Un piano di pace che somiglia più ad una svendita della sovranità ucraina, un dossier in 28 punti che di fatto corrisponde ad una capitolazione di Kiev di fronte all’invasione russa del Paese.
Il piano di Donald Trump per l’Ucraina, che secondo Nbc News il presidente avrebbe approvato e in cui sarebbero coinvolti nella realizzazione le alte sfere della Casa Bianca come l’inviato speciale Steve Witkoff, il vicepresidente JD Vance, il segretario di Stato Marco Rubio e il genero del presidente Jared Kushner, è infatti un cedimento quasi totale ai desiderata di Vladimir Putin.
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Il piano in particolare è stato negoziato in segreto dall’inviato speciale statunitense Steve Witkoff e dal suo omologo russo Kirill Dmitriev, senza coinvolgere l’Ucraina.
Cosa prevede il piano Trump per l’Ucraina
Tra le richieste russe approvate ci sono la rinuncia di Kiev ai territori occupati anche solo parzialmente dall’esercito russo, come il Donbas che le truppe di Putin non sono riuscite a conquistare per intero dopo quasi quattro anni di conflitto, la Crimea già annessa illegalmente nel 2014 e la riduzione delle forze armate ucraine. L’accordo inoltre vietala presenza di truppe internazionali sul territorio ucraino dopo l’eventuale raggiungimento di un cessate il fuoco: esclude quindi la possibilità di inviare una forza di stabilizzazione internazionale per garantire il rispetto degli accordi, come sul modello della Striscia di Gaza.
In cambio l’Ucraina dovrebbe ottenere alcune “garanzie di sicurezza”, ovvero una serie di condizioni e impegni che gli alleati occidentali prenderanno per evitare che Kiev venga nuovamente attaccata dalla Russia, assicurandosi una risposta.
La debolezza politica di Zelensky
Un piano che, solamente qualche settimana fa, per Zelensky sarebbe stato impossibile accettare. Oggi però la posizione internazionale così come quella interna del presidente ucraino è particolarmente debole.
Lo scandalo corruzione che ha terremotato il suo governo, con le dimissioni dei ministri della Giustizia German Galushchenko e dell’Energia Svitlana Hrynchuk per un giro di mazzetta da quasi 100 milioni di dollari nel settore energetico, ha fatto precipitare la reputazione del leader ucraino. Anche perché l’indagine della Nabu, l’Ufficio Nazionale Anticorruzione che Zelensky nei mesi scorso aveva provato a porre sotto il diretto controllo della presidenza, lambisce personalità vicinissime al presidente: è il caso dell’ex socio Tymur Mindich, stretto alleato di Zelensky e comproprietario dello studio di produzione Kvartal 95, fondato da Zelensky quando era un attore comico di successo prima della discesa in politica, riuscito a fuggire all’estero prima dell’esplosione dello scandalo.
Non è un caso se negli scorsi giorni si sono ripetute le voci di uno scossone importante nei vertici politici di Kiev, con un nuovo governo di unità nazionale chiesto anche da esponenti del partito di Zelensky, Servitore del popolo.
L’assenza dell’Unione Europea
L’altro grande assente al tavolo, dopo l’Ucraina, è l’Unione Europea. Lo ha ammesso l’Alta rappresentante Ue per gli affari esteri Kaja Kallas: “Noi sosteniamo una pace che sia giusta e duratura ma a ogni piano, per funzionare, serve che l’Europa e l’Ucraina siano a bordo”, ha spiegato oggi la ‘ministra degli Esteri’ dell’Ue.
Più duro il ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot, che ha parlato di “capitolazione”: “Gli ucraini, che lottano eroicamente da tre anni, rifiuteranno ogni tipo di capitolazione. Serve partire da una tregua sulla linea di contatto, per poi arrivare ai negoziati, anche sui territori, l’unico che rifiuta è Putin». Barrot ha anche sottolineato che tra i lavori in agenda oggi c’è «il lavoro sul ventesimo pacchetto di sanzioni, che speriamo venga completato entro la fine dell’anno”.
C’è anche chi, dall’interno della stessa Unione, non lesina critiche alla gestione del dossier Ucraina-Russia alla Commissione e agli altri Paesi membri. È il caso di alcuni stati del Nord Europa come Svezia e Danimarca, tra i più forti sostenitori della causa ucraina. “Ora tutti parlano di colloqui di pace, ma non ci saranno colloqui di pace ragionevoli se non aumentiamo il sostegno all’Ucraina e la pressione sulla Russia. Un ottimo inizio sarebbe quello di utilizzare i beni congelati a beneficio dell’Ucraina”, l’accusa della ministra svedese degli Esteri Maria Malmer Stenegard.