82esima Mostra D’Arte Cinematografica di Venezia
Intervista al regista Ali Asgari: “Komedie Elahi per sfidare il regime”
Intervista al regista iraniano Ali Asgari, a Venezia con “Komedie Elahi”
Cinema - di Chiara Nicoletti
“Ho fatto 5 film in Iran e nessuno di questi ha mai avuto una proiezione ufficiale in Iran. Li ho realizzati tutti in modo clandestino ed allo stesso modo, abbiamo tenuto delle proiezioni più underground perché per me è molto importante che la gente iraniana li veda”. Parla il regista Iraniano Ali Asgari, alla 82esima Mostra D’Arte Cinematografica di Venezia, in Orizzonti con Komedie Elahi (Divina Commedia) in cui ritrae, con toni da commedia che incontrano il grottesco, il regista Bahram Ark, nei panni di una versione romanzata di se stesso, in una missione clandestina per presentare il suo film al pubblico iraniano ed eludere così la censura governativa e l’assurda burocrazia.
Questo film mostra l’assurdità della censura ma lo fa con ironia e con i toni della commedia. Come mai ha deciso per questo approccio?
Era fondamentale per me poiché quando si pensa al cinema iraniano, si pensa subito a film scuri, politici, senza speranza. Io non volevo ripetere quelle cose, in questo mondo digitale sappiamo già tutto. Volevo raccontare questa storia in modo più accessibile. Anche lo spettatore ha il diritto di ridere e la risata in questo film non è un riso normale. Per me ridere non è solo divertimento: è resistenza. Ridere del potere, ridere del sistema è un atto politico. In Iran, molti registi non lavorano più per paura, ma io dico sempre: se stai in silenzio, che significa? Lavorare è un atto di resistenza, quando lavori, trovi il modo di dire qualcosa.
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Cosa può fare il cinema per cambiare le cose?
Il cinema iraniano e più in generale, il cinema, è un mezzo molto importante ma non significa che può cambiare le cose subito perché quando parliamo della cultura, è un processo lento, ci vuole tempo. Come diceva Gandhi: resistenza pacifica. Se non usi le armi ma la pace, serve tempo, ci vuole pazienza.
Ha scritto il film con Alireza Khatami, già con lei alla regia di Kafka a Teheran e Bahman Ark, regista e protagonista. Quanto è importante per lei la condivisione?
Il cinema è un’arte alla fine personale del regista ma si fa in collaborazione con la gente giusta. In questo caso ho lavorato con persone che hanno la mia stessa situazione, registi che lottano contro il sistema. Il loro apporto ha impreziosito il film, soprattutto in scrittura. Se ci pensate, anche negli anni ‘70 e ‘80, persino registi importanti come Fellini si avvalevano, in sceneggiatura, dell’aiuto di 3-4 persone. La collaborazione porta nuove idee.