I punti del diritto di asilo
Paesi sicuri, cosa c’è nella sentenza della Corte di Giustizia Ue e perché la scelta politica non può diventare arbitrio
Il pronunciamento dei giudici europei è stato subito attaccato come un’indebita ingerenza della Corte in “spazi che non le competono”. Ma le cose non stanno così. Facciamo un po’ di chiarezza
Politica - di Salvatore Curreri
1. Le attese non sono andate deluse. La sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia UE sancisce alcuni punti fondamentali in materia di diritto di asilo, sulla cui necessaria politica comune l’Unione ha competenza (artt. 67. 78 e 79 TFUE). E siccome tale sentenza è stata subito attaccata – da chi ovviamente non l’ha nemmeno letta – come un’indebita ingerenza dei giudici in “spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche”, per di più inutile dato che dal prossimo 26 giugno entrerà in vigore il nuovo Regolamento europeo sulla definizione di “Paese sicuro”, è bene fare su di essa un po’ di chiarezza per sintetici punti.
2. Il primo quesito cui la Corte doveva rispondere era se può definirsi sicuro un Paese che non lo è in alcune parti del suo territorio o per determinate categorie di persone discriminate per ragioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali. Questione fondamentale perché, se lo straniero proviene da un Paese c.d. sicuro, la sua domanda di asilo si considera presuntivamente infondata per cui si può applicare la c.d. procedura accelerata di frontiera che consente il rapido respingimento degli stranieri (come si sarebbe voluto fare in Albania). Altrimenti non è che non viene espulso: semplicemente si applica la procedura ordinaria. La Corte, accogliendo la tesi dei giudici romani che avevano rinviato ad essa la questione, sostiene che un Paese non è sicuro non solo quando non lo è – come già affermato – in tutto il suo territorio ma anche se non offre di fatto una protezione sufficiente per tutta la popolazione (§ 109). Si è obiettato: criterio eccessivo, così nessun Paese sarebbe da considerare sicuro, nemmeno gli USA che applicano la pena di morte o l’Italia! Paragone improprio, obiezione infondata.
Basterebbe andarsi a leggere la normativa vigente, secondo cui un Paese è considerato sicuro quando “non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni [peraltro specificamente definite nell’art. 9 della direttiva 2011/95/UE] né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, tenendo altresì conto della misura in cui viene offerta protezione contro tali persecuzioni e maltrattamenti (allegato I alla direttiva 2013/32/UE, corsivo mio). Lo straniero, dunque, ha diritto a non essere subito espulso non perché reclama generiche esigenze personali ma perché è stato vittima di persecuzioni, torture o violenze applicate in modo generale e costante. Ergo non è vero che la sentenza della Corte è, come direbbe Hegel, la notte in cui tutte le vacche sono nere, perché c’è una bella differenza tra la nostra democrazia e un Paese che perseguita o tortura i dissidenti, come Egitto e Bangladesh. E questo un governo, tanto più se nazionalista e sovranista come il nostro, dovrebbe rivendicarlo con orgoglio.
3. Le motivazioni per cui si ritiene un Paese sicuro devono basarsi su informazioni precise e aggiornate che devono essere pubbliche in modo da consentire allo straniero di poterle contestare. Come si ricorderà, il nostro Governo, dopo la sentenza della stessa Grande sezione della Corte UE del 4 ottobre che aveva annullato i trattenimenti pre-espulsivi nel Centro albanese, aveva deciso di identificare i Paesi c.d. sicuri non più per decreto ministeriale ma per legge, credendo così di risolvere il contrasto con il diritto dell’UE. Obiettivo ovviamente non conseguito perché, come sa ogni studente di Giurisprudenza al primo anno, il diritto europeo, nelle materie di sua competenza, prevale su ogni fonte nazionale, primaria o secondaria che sia (artt. 10 e 117 Cost.; § 67). Ma c’era un punto rimasto velato: al contrario del provvedimento amministrativo, la legge non deve essere motivata. Ecco, dunque, che la Corte interviene sul punto, chiarendo che tale designazione può anche essere fatta per legge purché si basi su fonti di informazione e motivazioni specificamente indicate e “sufficientemente accessibili” cosicché possano “essere oggetto di un controllo giurisdizionale” e, di conseguenza, di “una tutela legale effettiva” (art. 47 Carta sui diritti fondamentali dell’UE; §§ 68 e 88). A tal fine basterà, dunque, allegare al disegno di legge le schede che giustificano per singolo Paese la designazione come sicuro.
4. Può il giudice contestare tali ragioni oppure si tratta di valutazioni discrezionali insindacabili che devono essere riservate esclusivamente al decisore politico? Qui tocchiamo l’aspetto più delicato della vicenda, perché richiama il perenne contrasto tra politica e magistratura che oggi verte sul confine tra politica e magistratura, e dunque su uno dei cardini dello Stato di diritto. Confine che va individuato senza cadere negli opposti eccessi di una politica che si pretende insindacabile e quindi al di sopra della legge (da qui l’insofferenza del Governo per i “già ristretti margini di autonomia dei Governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio”) e, di contro, di una magistratura che vuole sostituirsi alla politica, esorbitando dai suoi poteri per svolgere considerazioni che non le competono. Non c’è dubbio, dunque, che il legislatore, nell’individuazione dei Paesi c.d. sicuri, goda di una certa discrezionalità sulla base di valutazioni politiche; al contempo, però, tale discrezionalità non può tramutarsi in arbitrio perché si tratta di scelte che devono pur sempre, come detto, essere motivate e non manifestamente irragionevoli (così da ultimo la Corte costituzionale nella recente sentenza sulla cittadinanza).
In uno Stato di diritto nessuno è al di sopra della legge per cui ogni normativa statale – inclusa quella che designa i Paesi c.d. sicuri – può essere impugnata dinanzi al giudice; questi, di contro, può sindacarla solo quando, anche eventualmente sulla base di ulteriori fonti di informazione raccolte, la cui affidabilità sarà comunque soggetta al contraddittorio tra le parti, lo ritenga arbitrario, come nel caso specifico del Bangladesh. Quanto al paventato rischio di giudizi difformi (Cassese), pare evidente che ciò possa – anzi in un certo senso debba – verificarsi in ragione delle specifiche situazioni personali, giacché secondo l’art. 10.2 Cost. l’asilo è un diritto che spetta al singolo straniero, la cui posizione il giudice deve valutare, senza generalizzazioni o semplificazioni di sorta.
5. Esponenti del Governo hanno, infine, obiettato che non ci sarebbe da preoccuparsi perché gli effetti di tale sentenza saranno comunque limitati. Si tratterà infatti di pazientare il 12 giugno 2026, data in cui entrerà in vigore la disposizione in base a cui “la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili” (art. 61 reg. UE 2024/1348). Una sentenza, dunque, inutile (ancora Cassese). Epperò, la stessa Corte di giustizia, nella citata sentenza dello scorso 4 ottobre, ha già avuto modo di affermare, in riferimento alla prossima entrata in vigore di tale disposizione, che è certamente nelle prerogative del legislatore dell’Unione ritornare sulla definizione di Paese sicuro, a seguito di un nuovo bilanciamento, ma in ogni caso quest’ultimo deve rispettare le prescrizioni derivanti in particolare dalla Convenzione di Ginevra sul diritto dei rifugiati oggetto di persecuzioni personali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Come a dire che anche il prossimo Regolamento europeo è comunque una fonte subordinata alle norme fondamentali vigenti a livello internazionale ed europeo. Per quanto comprendo non sia nelle loro corde, fossi negli esponenti del Governo sugli scenari futuri sarei un po’ più cauto.