Annullata la sentenza

Ilva, perché il processo è da rifare a Potenza: condanne annullate per Vendola e i Riva

In primo grado erano stati condannati i proprietari, i dirigenti dell’azienda, i politici e qualche tecnico per circa 270 anni di carcere.

Cronaca - di Angela Stella

15 Settembre 2024 alle 18:00

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Ilva, perché il processo è da rifare a Potenza: condanne annullate per Vendola e i Riva

La sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’appello di Lecce ieri ha annullato la sentenza di primo grado del processo cosiddetto “Ambiente Svenduto” a carico di 37 imputati e tre società per il presunto disastro ambientale causato dall’ex Ilva negli anni di gestione dei Riva, dal 1995 al 2013. In primo grado erano stati condannati i proprietari, i dirigenti dell’azienda, i politici e qualche tecnico per circa 270 anni di carcere.

La Corte d’Assise stabilì sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi. A vario titolo gli imputati erano accusati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni. Pene di 22 e 20 anni ci furono per i fratelli Fabio e Nicola Riva, 21 anni e mezzo all’ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Girolamo Archinà, 3 anni e mezzo per l’ex presidente della Regione Nichi Vendola.

Dunque ieri è stata accolta la richiesta dei difensori di spostare il procedimento a Potenza in quanto si erano costituiti parti civili come danneggiati tre giudici tarantini onorari (due giudici di pace e uno della sezione Agraria del Tribunale), che avevano esercitato le funzioni nello stesso distretto di Corte di Appello del procedimento, durante il periodo nel quale si sarebbero consumati i fatti oggetto di imputazione. La Corte ha disposto la trasmissione degli atti alla procura di Potenza per gli adempimenti di competenza. La Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Antonio Del Coco (affiancato dal giudice Ugo Bassi e dalla giuria popolare) ha letto solo il dispositivo dell’ordinanza, mentre le motivazioni saranno depositate entro 15 giorni. Dunque si ripartirà dal primo grado. Molte le polemiche sollevate, in primis quella del portavoce nazionale di Europa Verde Angelo Bonelli: “Sono esterrefatto! L’inquinamento è stata un’invenzione? Morti e malattie non hanno responsabilità? Questa non è giustizia. Con questa decisione, su Taranto si infligge l’ennesima ferita dopo il disastro sanitario”.

Soddisfatto invece della decisione l’avvocato Gian Domenico Caiazza, difensore dell’ex dirigente dell’Ilva Girolamo Archinà: “è stata finalmente accolta la nostra eccezione della incompetenza dell’autorità giudiziaria di Taranto sul processo Ilva. Eccezione che abbiamo sollevato oltre dieci anni fa, già in udienza preliminare e poi di nuovo in dibattimento”. Per Caiazza «c’è solo una responsabilità per il fatto che si sia celebrato inutilmente e illegittimamente per tutti questi anni il processo Ilva a Taranto ed è di chi – due gup e due giudici di primi grado – ha voluto trattenere a sé il giudizio a tutti i costi, senza prendere atto delle nostre eccezioni, come pacificamente stabilito dalla giurisprudenza di legittimità».

Chiediamo all’ex presidente dell’Unione Camere Penali se non si prospetti anche un danno erariale: “è un danno enorme. Contro ogni evidenza della norma, si sono celebrate solo in dibattimento oltre 200 udienze e prima molte decine di udienze preliminari: lei immagini quante trascrizioni, il pagamento dei giudici, dei periti, per non dire delle spese di difesa che hanno dovuto affrontare imputati e parti civili”. “Rischio prescrizione? Per certi reati i tempi sono lunghi”. Lo ha detto, rispondendo ai cronisti, uno degli avvocati del pool difensivo dei Riva, Pasquale Annicchiarico. Secondo le recenti modifiche alle normative in materia di reati ambientali, la prescrizione per disastro ambientale va dai 30 ai 37 anni, mentre il reato di inquinamento ambientale va dai 12 ai 15 anni. Il Codacons intanto ha annunciato che “presenterà ora un esposto per incompetenza contro i giudici che hanno emesso la sentenza annullata dalla Corte, affinché siano accertate le relative responsabilità nella vicenda giudiziaria”.

15 Settembre 2024

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