La pronuncia della Corte

Suicidio assistito, dalla Consulta un passetto in avanti ma la libertà è un’altra cosa

Editoriali - di Andrea Pugiotto

21 Luglio 2024 alle 12:00

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Suicidio assistito, dalla Consulta un passetto in avanti ma la libertà è un’altra cosa

1. Letta con attenzione, la sentenza costituzionale n. 135/2024 in tema di suicidio assistito è ben inquadrata nel titolo di ieri di questo giornale: il «passettino in avanti della Consulta». Divisiva di suo e (anche) per questo affidata a due giudici relatori, la quaestio ha fatto emergere le sensibilità culturali differenti interne al collegio, impegnato nella difficile ricerca di un equilibrio complessivo.
Ne è uscita una decisione di rigetto interpretativa, come dicono i giuristi. Una pronuncia che aiuta (solo in parte) la battaglia di scopo per il diritto ad essere “liberi fino alla fine”, continuando però a presidiare la trincea della tutela della vita, anche contro la volontà del paziente che intenda congedarsi da essa.

2. Un primo passetto in avanti è squisitamente processuale. Riguarda la scelta della Corte di ritenere ammissibile una quaestio avente ad oggetto il risultato normativo di una sua precedente pronuncia (la nota sent. n. 242/2019, pronunciata nel caso “DJ Fabo-Cappato”). Superando un orientamento robustamente contrario, e senza temere di sconfessare sé stessa, ora la Consulta riconosce che la normativa di risulta di una propria sentenza di accoglimento (parziale o “manipolativa”) può essere «oggetto dello scrutinio di costituzionalità».

Avesse deciso diversamente, la quaestio si sarebbe subito arenata, come chiedevano il Governo e molti amici curiae intervenuti in giudizio. Dichiarandola ammissibile, invece, il collegio mostra la volontà di entrare nel merito della questione, ben consapevole della drammaticità del fenomeno sociale ad essa sottostante.

3. Un secondo passetto in avanti è nella riconosciuta equivalenza tra la condizione di chi è già sottoposto a trattamento di sostegno vitale (di cui chiede l’interruzione) e chi rifiuti a priori simili trattamenti benché necessari alla propria sopravvivenza. In entrambi i casi, il malato ha il diritto di accedere al suicidio assistito, qualora il rifiuto determini «la prospettiva del decesso in un breve lasso di tempo» (precisazione dirimente, sulla quale – scommettiamo? – si accapiglieranno gli interpreti).

Con ciò la Consulta smentisce le molte Asl che, in casi simili, negavano di default tale accesso perché il paziente non sopravviveva grazie a un supporto di sostegno vitale. Da qui un cortocircuito, che la sentenza in esame stigmatizza come «paradossale»: indurre il malato ad accettare trattamenti sanitari invasivi, al solo scopo di interromperli quanto prima per poi poter accedere al suicidio assistito.

Ne uscirà così ampliata la platea di pazienti che potranno beneficiarne. Tra essi, le due malate terminali, affette da sclerosi multipla, cui le Asl interpellate avevano negato l’accesso alla procedura di morte assistita: entrambe hanno chiesto – ottenendolo – di intervenire come terzi nel giudizio costituzionale. Un’integrazione del contraddittorio che la Consulta ha opportunamente ammesso, assicurando così l’effettività del loro diritto di difesa, non più esercitabile in altra sede.

4. La novità più rilevante della sentenza è nell’interpretazione estensiva della nozione di «trattamento di sostegno vitale», anche qui con la conseguenza di allargare l’area dei soggetti che potranno richiedere il suicidio assistito. Al pari dell’idratazione, dell’alimentazione o della ventilazione artificiali, può essere rifiutato dal paziente «ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività». Si tratta di procedure normalmente compiute da personale sanitario, ma che – precisa la Consulta – potrebbero essere svolte anche «da familiari o “caregivers” che si facciano carico dell’assistenza del paziente». Le esemplificazioni in sentenza («l’evacuazione manuale dell’intestino del paziente, l’inserimento di cateteri urinari o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali») smentiscono le interpretazioni restrittive sostenute in udienza dal Governo e, alla vigilia del deposito della sentenza, dal parere di maggioranza del Comitato Nazionale di Bioetica, espresso con una scelta nei tempi e negli argomenti che ne svela un improprio collateralismo con l’esecutivo in carica (come ha argomentato Grazia Zuffa su L’Unità del 6 luglio).

Sul punto, la Consulta è perentoria: la nozione di trattamento di sostegno vitale «deve essere interpretata, dal SSN e dai giudici» in conformità a quanto precisato nella decisione in esame. Di regola, una sentenza interpretativa di rigetto non ha effetti erga omnes. In questo caso, però, la precisazione della Corte riguarda uno dei presupposti indicati a suo tempo dalla sent. n. 242/2019 e incapsulati nel relativo giudicato costituzionale, questo sì vincolante per tutti: giudici, amministrazione, legislatore.

5. Oltre, i giudici costituzionali non si sono spinti. L’obiettivo della quaestio promossa dal Gip di Firenze era ben più ambizioso: rimuovere il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, consentendo così l’accesso al suicidio assistito a chi, colpito da una malattia irreversibile, causa di sofferenze fisiche o psichiche intollerabili, abbia maturato – in piena coscienza e assoluta libertà – la scelta di porre fine a una vita che, per lui, non è più tale.

Quell’obiettivo non è stato centrato. Nessuna delle violazioni costituzionali denunciate viene accolta: anzi, la Consulta conferma «integralmente» quanto già stabilito in passate decisioni (nn. 207/2018, 242/2019, 50/2022). Si tratta di una giurisprudenza che antepone a tutto la tutela della vita umana, quale conditio sine qua non per l’esercizio di ogni altro diritto inviolabile, annoverabile tra i principi supremi della Costituzione, sottratto per questo anche al potere di revisione. Da qui «il corrispondente dovere dell’ordinamento di assicurarne la tutela attraverso la legge»: fosse pure l’art. 580 del codice penale fascista del 1930, oggi funzionale a proteggere i soggetti più vulnerabili da possibili abusi di terzi, come anche da una «pressione sociale indiretta» che possa indurli a scelte irreparabili.

6. Di fronte a ciò, lo spazio – costituzionalmente esistente – per un diritto all’autodeterminazione nelle scelte di fine vita, inevitabilmente, si ritrae, secondo la logica del bilanciamento tra principi costituzionali concretamente in conflitto. Infatti, la Corte ribadisce l’inesistenza di «un generale diritto di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza intollerabile, fisica o psicologica, determinata da una patologia irreversibile». Così come circoscrive il diritto a rifiutare trattamento medici salvavita entro il perimetro di una «libertà “negativa”»: quella, cioè, di non subire coattivamente una ingerenza esterna sul proprio corpo. Il tutto, nel nome di una nozione «oggettiva» di dignità umana che – per la Consulta – prevale sulla nozione «soggettiva» di dignità personale, secondo cui «ciascun individuo debba poter compiere le scelte fondamentali che concernono la propria esistenza, incluse quelle che concerno la propria morte».

Altrove non è così: in Germania, Austria, Spagna, Colombia, Canada, Ecuador, le relative Corti costituzionali riconoscono «l’esistenza di un diritto fondamentale a disporre della propria vita, anche attraverso l’aiuto di terzi». La Consulta ne è consapevole, ma preferisce l’approdo opposto (in compagnia della Corte EDU e della Corte Suprema del Regno Unito).

7. E ora? Persistendo l’inerzia, irresponsabile e accidiosa, del legislatore (cui la Corte rivolge un ennesimo sprone a normare la materia), i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sent. n. 242/2019, ora meglio precisati.

Per i malati terminali, proceduralmente nulla cambia. Sarà compito delle Asl accertarli, previo parere del comitato etico territorialmente competente. L’inerzia o l’eventuale diniego potranno essere impugnati di fronte al giudice competente, secondo le regole ordinarie. Come e quando congedarsi dalla vita resta, dunque, una scelta preclusa al singolo malato rimanendo di competenza di dotti, medici e sapienti.

21 Luglio 2024

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