Il caso del Pakistan

Pakistan, al governo c’è il boia: così nel quinto Paese più popolato al mondo la libertà è blafesma

Sebbene nessuno sia stato giustiziato per blasfemia, anche solo un’accusa può provocare rivolte e incitare la folla alla violenza, ai linciaggi e agli omicidi.

Esteri - di Domenico Bilotti

8 Giugno 2024 alle 15:00

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Pakistan, al governo c’è il boia: così nel quinto Paese più popolato al mondo la libertà è blafesma

Il Pakistan è il quinto Stato più popolato al mondo ed è, al netto delle sue contraddizioni, uno dei più grandi sistemi federali del pianeta.

Per dare una misura pratica del tutto: nonostante la sua capitale sia l’antichissima città di Islamabad, il centro più importante, Caraci, ha un’area metropolitana da venticinque milioni di persone.

La Costituzione vigente, adottata come testo fondamentale nel 1985, dopo tre decenni di aspri rivolgimenti etnici, politici, militari e confessionali, fissa l’Islam come religione di Stato.

Un emendamento del 1988 ha accentuato la conformazione presidenziale del Paese, ridisegnando in parte le stesse suddivisioni amministrative: è passata tuttavia un’interpretazione marcatamente accentratrice del potere, distinta dalle rivendicazioni autonomistiche dei movimenti politici di base.

A dispetto di ciò, il Pakistan ha sempre ospitato una demografia sostanziale molto più varia di ogni interdetto governativo. I sunniti rappresentano circa i tre quarti dei fedeli locali, ma la scuola hanafita (uno dei principali madhabid, orientamenti, sunniti) prevale nettamente sul radicalismo wahabita.

C’è poi da tempo una cospicua componente sciita, dove è probabilmente presente la frazione ismailita più diffusa (prende il nome dal settimo imam, dalla presunta linea di successione legittima del Profeta).

Queste ricchissime tradizioni culturali fanno a pugni con l’attuale legislazione e la presente struttura amministrativa del Paese, all’interno del quale, soprattutto nelle zone di confine, le minoranze religiose subiscono un trattamento ostile, per non dire, anche in senso tecnico-giuridico, persecutorio.

Pena perpetua e pena di morte sono comminatorie formalmente accordate dalla legislazione sulla blasfemia. Il punto è che la mentalità del boia ha contagiato i tumulti popolari, nonostante le sue attribuzioni giuridiche siano sempre più spesso desuete.

In assenza di un monitoraggio esaustivo e attendibile sulle esecuzioni capitali, è bene chiarire che in ogni caso esse difficilmente avvengono ad esito di processi per blasfemia.

La tutela penale del culto, con la forte repressione dei comportamenti apparentemente irreligiosi o eterodossi, serve piuttosto da grimaldello e da costante strumento di pressione contro le minoranze – proprio a Caraci è radicata una comunità cattolica; al confine indiano, scuole e istituti induisti appartengono da secoli al vissuto collettivo.

Sebbene nessuno sia stato giustiziato per blasfemia, anche solo un’accusa può provocare rivolte e incitare la folla alla violenza, ai linciaggi e agli omicidi.

Il mese scorso, Nazir Masih, un cristiano di 72 anni sospettato di blasfemia è stato aggredito nel Punjab da una folla inferocita dopo che la gente del posto ha detto di aver visto pagine del Corano bruciate fuori dalla sua casa e ha accusato il figlio di esserne l’autore.

Nazir è morto all’ospedale dopo un paio di settimane per le ferite riportate. È stato sepolto nella città di Sargodha da un gruppo di cristiani che lo hanno portato al cimitero in una bara avvolta in un panno nero e sopra un piccolo crocifisso. Dal piccolo corteo funebre svolto in mezzo a strette misure di sicurezza si sono levate grida come “Lode a Gesù” e “Gesù è grande”.

Il potere, insomma, può riporre il cappio in cantina e la pistola nella fondina: dietro lo spauracchio della corruzione morale, finiscono additati a masse allo stremo soggetti diversamente credenti, oppositori politici e intellettuali secolari.

In una terra che non ha ancora conosciuto un ceto borghese di scala e dove il caro prezzi e i costi energetico-climatici sono gestibili soltanto per i già abbienti, indicare le streghe è un’ottima scorciatoia alla soluzione dei problemi.

Un vero e proprio pogrom anticristiano era del resto già avvenuto nel 2023, sempre nel contesto di agitazioni artatamente fomentate, che su tutto poggiavano meno che sulla cacciata degli eretici dalle moschee.

Migliaia di persone incendiarono chiese e case di cristiani a Jaranwala, sempre nel Punjab. Anche all’epoca i residenti musulmani affermarono di aver visto due uomini profanare il libro sacro dell’Islam.

A oltre quindici anni dall’uccisione della leader socialdemocratica, popolare e moderata Benazir Bhutto, il nuovo fondamentalismo ha perfezionato la sua strategia: frequenta poco la letteratura coranica, predilige allearsi con le forze armate, nella acquiescente connivenza-compiacenza delle magistrature superiori. Esse stesse, più che difendere la Costituzione, fanno da polizia morale, tenendo in mano il martelletto molto più del codice.

* Docente di diritto ecclesiastico, Università “Magna Graecia” di Catanzaro

8 Giugno 2024

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