Il patto Italia-Albania
Poliziotti italiani inviati in Albania a sorvegliare un hotspot vuoto…
Il nostro paese potrebbe non trasferire mai i migranti sul territorio albanese, ma intanto 20 poliziotti sono già in partenza per vigilare su un centro deserto. Il conto lo pagano gli italiani
Politica - di Sarita Fratini
Partono i primi 20 agenti italiani per l’Albania: sorveglieranno un hotspot vuoto. Non si capisce ancora come l’Italia potrà trasferire cittadini stranieri in Albania senza violare le sue stesse leggi ma sono già in partenza i primi 20 agenti italiani per vigilare sull’hotspot (vuoto) costruito dall’Italia nel porto di Shengjjn, cittadina turistica a nord di Tirana.
Lo annuncia il S.I.A.P. (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia) con un comunicato stampa che fornisce diversi dettagli dell’operazione: reclutati su base volontaria tra i reparti mobili di Napoli e Roma, 20 agenti partiranno il 2 giugno; verranno alloggiati in hotel con pensione completa; indosseranno la divisa solo all’interno del centro e abiti civili all’esterno; riceveranno, oltre lo stipendio, anche la diaria standard delle missioni internazionali, che è di 100 euro al giorno.
Nell’hotspot del porto di Shengjjn il governo Meloni prevede di sbarcare e identificare persone migranti salvate in mare da navi militari italiane.
Ma, assicura, verranno scelti per il trasferimento in Albania solo i maschi non vulnerabili provenienti dai 22 cosiddetti Paesi sicuri. Non è chiaro come sia possibile fare questa scelta a priori se l’identificazione avverrà a posteriori, dopo lo sbarco in Albania. Forse con una macchina del tempo.
Dal centro di Shengjjn, secondo i piani del governo italiano, le persone verranno velocemente trasferite nel centro di prima accoglienza di Gjader, paesino nell’interno, che avrà 880 posti. Il centro è ancora in costruzione.
Quando saranno terminati i lavori – si prevede entro fine luglio – entrerà qui in servizio un contingente italiano di 300 unità: 176 agenti della Polizia di Stato, 47 della Guardia di Finanza, 77 carabinieri. Tutti percepiranno lo stipendio, la diaria delle missioni internazionali e i benefit (vitto, alloggio, viaggi, assicurazione sanitaria).
E poi ci sarà la polizia penitenziaria per il nuovo carcere da massimo 20 posti che nascerà a Gjader: 46 agenti penitenziari il cui stipendio, diaria compresa, sarà di circa 6000 euro al mese – più del triplo di quanto guadagna un agente penitenziario italiano – più ovviamente vitto, alloggio, assicurazione e i trasporti per tornare in Italia una volta al mese.
Il solo costo del personale italiano si aggira sui 50 milioni di euro l’anno. Non è chiaro se tutti questi agenti entreranno in servizio prima o dopo l’arrivo in Albania del primo cittadino straniero da sorvegliare e punire.
L’Italia potrebbe non trasferire mai persone in Albania. L‘avvocato Salvatore Fachile (progetto Sciabaca e Oruka di ASGI) ricorda che in questo momento non è possibile effettuare questo tipo di procedure di frontiera perché siamo in attesa della sentenza della Corte di giustizia europea sulla legittimità della garanzia di 5 mila euro richiesta ai migranti irregolari come alternativa al trattenimento alla frontiera presente nel decreto Cutro.
Ci fa notare che, comunque, un sistema del genere sarebbe illegale perché l’articolo 10 comma 3 della nostra Costituzione garantisce l’ingresso di richiedenti asilo nel territorio italiano. L’intera operazione in Albania potrebbe essere soltanto un sogno del governo Meloni e del suo elettorato.
In realtà un incubo distopico in cui persone in fuga dai loro paesi, sopravvissute al deserto e al mare, vengono ripescate dalle navi militari di un paese che credevano civile, selezionate frettolosamente in base alla razza e alla provenienza, deportate in un altro stato famoso per mafia e corruzione, rinchiuse dentro un hotspot extraterritoriale, giudicate con uno sbrigativo processo in webcam.
Di reale ci sono solo le leggi italiane ed europee che vietano i respingimenti collettivi di stranieri alla frontiera e il conto, salatissimo, che i cittadini italiani sono costretti a pagare.