Il biopic sulla cantante

Amy Winehouse, il suo genio prematuro e la sua anima fragile nel film “Back to Black”

L'artista ha messo in musica una vita di eccessi, sofferenze, stenti e picchi altissimi. Un’esistenza breve ed intensa, che scorre vorticosa nella pellicola di Taylor Johnson

Spettacoli - di Graziella Balestrieri - 26 Maggio 2024

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Amy Winehouse, il suo genio prematuro e la sua anima fragile nel film “Back to Black”

“Tutto mi dà ispirazione, tutto ciò che accade nella vita”.
(Amy Winehouse)

Black to black del regista Sam Taylor Johnson, film dedicato alla figura di Amy Winehouse, interpretata da Marisa Abela è uscito in Gran Bretagna il 12 aprile e in Italia il 18 aprile, ma non ha affatto riscontrato il favore del pubblico, che si attendeva un viaggio musicale dentro quella che viene considerata ed è ancora a tutti gli effetti una dei grandi talenti recenti della musica internazionale, prematuramente scomparsa all’età di 27 anni.

Tra quello che vuole e avrebbe voluto il pubblico da questo film e quello che in realtà, nei fatti è stata la vita di Amy con le sue immense fragilità però ce ne passa tantissimo.

La volontà dei fan non sempre combacia con quella che è o sarebbe stata la vita della star in questione, specie se la star in questione, portava nella sua arte, nella sua musica e nella sua creatività anche estetica tutto quello che aveva vissuto e che viveva. I suoi dolori, il suo cuore spezzato sono stati poi travasati dal bicchiere della vita al bicchiere della musica.

È proprio come quando si versa dell’acqua: in un bicchiere appare meno limpida perché il bicchiere qualcuno lo ha sporcato, anzi a volte quel bicchiere viene consegnato con delle lesioni e quando lo si prende in mano, si vede il sangue scorrere e non si capisce perché.

Ecco: Amy, quel bicchiere di acqua lesionato lo ha ha tenuto stretto, perché gli era stato consegnato da chi lei ha amato davvero per poi accorgersi che dalla sua mano scorreva del sangue e ha cercato di versare quell’acqua rimasta limpida, nonostante lo sporco e le lesioni, in un altro bicchiere, pulito, brillante: la sua musica.

Va detto senza remore. La sua musica è stata immensa, innervata di un talento di quelli come non se ne vedevano da anni: voce fuori dal comune, capacità compositiva ricercata sì, ma anche ironica e diretta.

Facciamo un viaggio al contrario, partiamo dalla morte. È il 23 luglio del 2011 ed Amy viene trovata senza vita alle 15.53 nel letto di casa sua all’ormai famoso numero 30 di Camden Square.

Ora Camden è un quartiere multietnico, coloratissimo, da certi punti vista anche molto e inutilmente confusionario. A volte dove non si capisce niente c’è qualcosa di fondo da nascondere.

Ecco, a Camden non si capisce niente certe volte, colori, musiche, cibi, gente ovunque, ancora punk che stanno lì a chiedere qualche moneta per continuare nel loro alcolismo.

Insomma, se Camden è diventato un posto molto turistico, non così Camden Square. Il silenzio che si specchia nel parchetto davanti casa di Amy crediamo sia lo stesso che l’abbia avvolta da quando lei viveva lì ed è lo stesso che ha fatto da cornice alla sua morte.

Non appena Amy ci ha lasciati c’è stata una specie di baraonda, come prima, per nascondere qualcosa: la polizia aveva mandato le carte ad un altro indirizzo, non si capiva dai primi esami che cosa potesse essere accaduto ad Amy, insomma alla fine Amy Winehouse pare sia morta per una intossicazione da alcool ma in realtà non voleva morire (si dice sempre così quando si trova qualcuno morto).

Amy prima di quel 23 luglio è il talento uscito fuori come per magia da un cilindro, una ragazza con i capelli stile The Ronettes, il trucco forte alla Cleopatra, tacchi così ripidi da rendere il cammino barcollante da sobria e lineare da strafatta di qualunque cosa.

Quella ragazza lì però aveva cambiato il mondo della musica, i suoi album, le sue canzoni, le sue esibizioni da lucida erano qualcosa di meraviglioso per i fan, per il mondo intero.

È il momento in cui tutti vogliono fare un album con Amy, tutti vogliono collaborare con lei, tutti amano anche i suoi soldi, il suo successo, tutti amano Amy Winehouse che sforna successi come Black to black, Rehab o Love is a losing game ma solo sua nonna era riuscita a cercare di fermare quel sangue che dalla mano di Amy pareva non finire mai.

A quanto pare dopo la morte della sua amata nonna, avvenuta nel 2006, Amy crolla di nuovo, non ha più un punto di riferimento, un qualcosa che le desse stabilità, una persona che la amasse davvero. Niente, i genitori tanto quanto.

Anzi, come si sentirà in una registrazione di una conversazione con il suo ex marito Blake (poi ci arriviamo a lui) quando Blake le chiede quale fosse il suo dolore più grande e che cosa la riducesse in quelle condizioni, Amy risponde di non aver mai superato il divorzio dei suoi genitori, quando era piccola, e sopra ogni cosa non era riuscita a superare le modalità con cui il padre aveva affrontato il divorzio.

Diciamocelo francamente: i genitori di Amy ci hanno abbastanza marciato sul talento della figlia, anche campato e ci campano ancora. Tanto è vero che il padre, questa figura sempre così protettiva e amorevole (siamo ironici) senza nessun problema ha fatto sì che il film venisse girato proprio nella casa di Amy, proprio per creare più realtà possibile e dunque alimentare ancora di più la già profondissima morbosità intorno alla morte della figlia.

Credete che non sia possibile che una ragazza di 27 anni che ha in mano il mondo soffra ancora per il divorzio dei genitori? Credete che il successo e i soldi comprino così come si fa con la frutta al mercato, l’amore e l’affetto dei propri cari?

Per molte persone non è così, ed è visibile a tutti quanto Amy abbia sofferto e quanto andando avanti anche i suoi amori, quello più grande di tutti con quel tossico di Black Fielder-Civil non l’abbia sicuramente aiutata.

Anzi, questo amore, tossico in ogni senso, dal crack, alle droghe, all’alcol, alle botte, è stata l’altra mano che invece di portarla in quel bicchiere pulito e solido le ha fatto stringere con forza quel bicchiere rotto fino a farla dissanguare del tutto.

Droghe, alcool, un dolore che non è mai passato: la fragilissima Amy incontra solo persone che forse vogliono fregarla, perché Amy è una macchina da soldi ormai, e viene costretta anche in condizioni pietose a salire sui palchi, come lei stessa dirà.

Amy anoressica, Amy bulimica, Amy drogata, Amy alcolizzata, Amy in clinica per curarsi, Amy che litiga con la gente per difendere altra gente che subisce soprusi, Amy che fa beneficenza con un cuore grande come tutte le sofferenze che si porta dentro.

Amy innamorata di Blake, Amy che divorzia da Blake che si risposa ed Amy che ne è ancora ossessionata. Amy che i tabloid inglesi non vedono l’ora di fotografare a terra, stesa, con la bava alla bocca da coma etilico o per overdose, Amy inseguita dai tabloid che volevano vedere quel sangue.

Amy che la sua voce e le sue canzoni rimangono lì come quel bicchiere pulito, quell’acqua limpida che niente e nessuno è riuscito a sporcare. Cosa vi aspettavate da Black to black?

In tutta onestà in un biopic non si parla di musica, la musica va ascoltata, un biopic serve a farvi capire semmai come quell’artista sia arrivato a quella musica, cosa c’è dietro quella musica, chi è quella ragazza dagli occhi grandi e tristi che ha sconvolto il panorama musicale internazionale.

Il biopic semmai serve a farci capire quella tristezza lampante nei suoi occhi. Se il pubblico non riesce a riconoscere quella fragilità significa che non riesce a riconoscere la sua grandezza, fino in fondo.

26 Maggio 2024

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