Apollo e Dionisio

Ebrezza e tragedia, il mito del ‘Club 27’: chi incontra Dioniso non trova più pace

La dimensione tellurica e demoniaca della musica ha un ruolo centrale nei riti dionisiaci del mondo contemporaneo: i concerti rock

Cultura - di Lucrezia Ercoli - 27 Luglio 2023

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Ebrezza e tragedia, il mito del ‘Club 27’: chi incontra Dioniso non trova più pace

“Lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco”. Nietzsche nel 1872 pubblica La nascita della tragedia dallo spirito della musica e segna per sempre il nostro immaginario, individuando una duplice spinta carsica che muove la vita e l’arte in direzioni contrarie. Una polarità incarnata da due divinità antitetiche: Apollo e Dioniso.

Nietzsche ribalta per sempre l’immagine tradizionale della grecità come compostezza ed equilibrio, come serenità olimpica e ordine razionale. Il mondo greco – di cui siamo figli spirituali – non è più il regno della misura e della perfezione apollinea, ma è il regno della dismisura e dell’eccesso dionisiaco. Apollo è il dio del Sogno, il dio della luce e della forma, il dio che allontana le ombre e ordina le pulsioni. Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi – che ospitava la sua sacerdotessa, la Pizia – campeggia una sentenza che sintetizza la prospettiva apollinea: meden agan, “nulla di troppo”.

Il métron, la misura, è oltrepassata invece da Dioniso, il dio barbaro che non ascolta l’invito alla moderazione. Dio dell’Ebrezza e della festa, Dioniso è una divinità orgiastica che viene da lontano, connessa con le forze primigenie e ancestrali. Nei riti in onore di Dioniso si libera la forza vitale che muove l’uomo e l’intera natura, si rompe la forma individuale e si torna in contatto con la totalità della vita.
Se Apollo è il dio delle forme, Dioniso è il dio dell’informe. Non a caso è la divinità del vino, della danza e della musica, arti in cui si esprimono e si scatenano tutte le forze archetipiche, senza bisogno delle concettualizzazioni del linguaggio e delle idee.

Lo spirito dionisiaco – liberato dalla danza orgiastica del rito – invita alla perdita di sé e connette la più intima interiorità: “L’uomo non è più un artista, è diventato un’opera d’arte, la potenza estetica di tutta la natura si rivela nei brividi dell’ebbrezza” dice il filosofo tedesco. Nell’ebrezza dionisiaca si agitano tutti gli impulsi selvaggi che vengono dal fondo oscuro e informe che si celava dietro il principio della forma apollinea.

Dietro la bellezza apollinea– che rende sopportabile la vita inserendola dentro un ordine di senso – intravediamo il bagliore crudele dell’illusione, il velo ingannevole dell’apparenza. Il principio della disgregazione dionisiaco strappa il velo di Maya e ci mostra un’abissale e atroce verità la cui vista ci era stata sottratta. Sotto le sembianze dionisiache i greci ci consegnano una consapevolezza tragica e ogni tentativo di contenerla in una forma stabile è votato al fallimento. Non a caso il mito di Dioniso è all’origine della più alta forma dell’arte greca: la tragedia. È dionisiaca la colpa tragica che i greci chiamano hybris, la tracotanza di chi vuole andare al di là della misura, di chi vuole rompere la forma limitata e limitante di ciò che ci è concesso sapere.

La forza del mito di Dioniso torna nel nostro presente. La dimensione tellurica e demoniaca della musica ha un ruolo centrale nei riti dionisiaci del mondo contemporaneo: i concerti rock. Un fenomeno di massa che esplode negli anni Sessanta, ma che interagisce con una corrente carsica, con un’energia che viene da lontano e che connette i giovani di tutto il mondo. Il rock instaura un clima vertiginoso, è una musica che eccita i corpi fino alla perdita di coscienza, una mania che rimuove le inibizioni individuali, una liberazione dell’ebrezza vitale che vuole esondare oltre i confini delle convenzioni sociali. Non a caso, i geni creativi che guidano il corteo sfrenato che fa saltare tutte le “forme” e tutte le inibizioni pulsionali della cultura e della civiltà, sono da sempre accomunati a Dioniso.

Gli artisti che hanno guardato il fondo dell’abisso, però, sono rimasti pietrificati dal volto di Medusa; i musicisti che si sono macchiati della colpa tragica e hanno voluto superare il confine e trasgredire la legge, si sono avvicinati troppo al sole e, come l’ambizioso Icaro, si sono spenti anzitempo. Muoiono giovani gli adepti di Dioniso. Come gli eterni ragazzi del cosiddetto “Club 27”, gli artisti leggendari morti tutti a 27 anni che, con la loro breve e folgorante carriera, hanno lasciato un segno indelebile nella storia della musica, toccati dalla grazia e dalla crudeltà della potenza dionisiaca.

Come Brian Jones – il biondino efebico e malato di asma – che dopo aver fondato i Rolling Stones finisce in una spirale di depressione e autodistruzione accompagnata dall’abuso di droghe e alcol. Il bohemien fragile e insicuro, bisognoso di amore e di approvazione, il 3 luglio 1969 viene trovato morto affogato in circostanze misteriose nella piscina di casa sua. La sua bellezza diafana e ambigua era stata accostata all’androginia seducente del giovane Dioniso descritto nelle Baccanti di Euripide. Il dio mutaforma che con la sua potenza seduttiva aveva “punto di follia” le donne di Tebe scatenando le forze incontenibili della danza bacchica.

E come non ricordare i concerti dei The Doors, un vero e proprio rituale sacro, un sacrificio violento e purificatore, simile a quello narrato nella tragedia euripidea? Il sacerdote Jim Morrison – con la sua danza sfrenata, con i suoi movimenti ebbri, con i suoi versi animaleschi e le sue smorfie malinconiche – è stato un novello Dioniso del rock’n’roll. Anche lui spegne la sua fiammante parabola a soli 27 anni, nella purificazione dell’acqua di una vasca da bagno in un anonimo appartamento di Parigi. Una morte simbolica che contribuisce al mito immortale dell’artista dionisiaco, vittima della sua stessa tragica energia.

Mark Fisher in Realismo capitalista commentando il suicidio di Kurt Cobain parla della “sconfitta delle ambizioni utopiche-prometeiche del rock”. La ribellione di Dioniso è destinata alla disfatta, in una spirale di autolesionismo distruttivo che prosciuga le energie vitali in un’inedia depressiva senza uscita alimentata dalla società dello spettacolo di fine millennio.

Infatti, quando il 23 luglio 2011 la ventisettenne Amy Winehouse viene trovata morta, i media parlano di “tragedia annunciata”; i suoi problemi di dipendenza e i suoi eccessi occupavano già da tempo le prime pagine dei tabloid. Un’anima antica e potente in un fragile corpo di ragazza, troppo piccolo per contenere l’energia di un successo che corre troppo rapidamente. Nel video di una delle sue hit più famose – Back to black – Amy celebra il funerale del suo cuore infranto. Ma gli antichi sapevano che i cuori degli uomini che incontrano l’ebrezza del dio Dioniso non possono riposare in pace.

27 Luglio 2023

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