Il ricordo a Opera
Di Lascia, Tortora e Pannella: macché morti, non sono mai andati via
Aldo Capitini diceva che i morti non ritorneranno perché non sono mai andati via, sono nel ‘colloquio corale’ che è lo Spirito vivo della nostra storia. Pannella, Di Lascia e Tortora sono qui, compresenti nell’ispirazione e nell’azione di “Nessuno tocchi Caino- Spes contra Spem”.
Giustizia - di Enzo Musolino
Mariateresa Di Lascia se n’è andata il 10 settembre del 1994. Marco Pannella ci ha lasciati il 19 maggio del 2016. Enzo Tortora è venuto a mancare il 18 maggio 1988. Il 17 maggio, li ricorderemo nel Carcere di Opera a Milano, insieme ai detenuti e ai “detenenti”, nel teatro dedicato a Marco Pannella in un evento dal titolo “Compresenza”.
Ricorre l’ottavo anno dalla morte di Marco Pannella, vivo nel cuore nei credenti in “Altro” dal Potere, il trentennale dall’assenza “produttiva di valore” di Mariateresa Di Lascia e il trentaseiesimo anno “senza” Enzo Tortora, vittima di un sistema di giustizia medievale.
Aldo Capitini diceva che i morti non ritorneranno perché non sono mai andati via, sono nel ‘colloquio corale’ che è lo Spirito vivo della nostra storia. Pannella, Di Lascia e Tortora sono qui, compresenti nell’ispirazione e nell’azione di “Nessuno tocchi Caino- Spes contra Spem”.
Non se ne sono andati via neppure i 34 suicidi in carcere dall’inizio dell’anno. Il loro estremo gesto non li condanna all’oblio perché incide nelle coscienze di chi non ha smarrito la strada dello Stato di Diritto, le provoca alla prassi creativa, alla azione nonviolenta – e quindi davvero rivoluzionaria – che prepara la strada non solo per un diritto penale migliore e più umano ma anche e soprattutto per qualcosa di meglio del diritto penale (cit. Aldo Moro) che affronti la violenza nella Società.
“Occhio per occhio” non ha mai funzionato e la vendetta moltiplica i cicli di morte senza restituire la vita ad alcuno. L’uomo è più del “fatto”, più della vitalità perduta o lasciata andare per troppo dolore, per troppa cattiveria.
“Nessuno tocchi Caino!” intima il Dio biblico non per giustificarne le colpe – quello spetterà alla fede nel Figlio – ma per sottrarre al fratello che si crede nella ragione – e nel Potere – la Giustizia sommaria contro il fratello/criminale, per soffocare il flusso degli orrori, della violenza, anche di quella organizzata, di Stato.
E non è violenza lasciare in vigore leggi criminogene come quelle italiane sulla droga e sull’immigrazione? Non è violenza l’ideologia di partito? Non è violenza lo stigma contro il malato/tossico o contro il disperato in fuga dalla fame cui è stato consegnato, all’ultimo miglio di mare, un timone alla deriva? Non è violenza l’esorbitante numero di detenuti in attesa di giudizio? E il sovraffollamento? E le cure mediche negate? E l’epatite C in carcere?
E muoiono suicidi pure i funzionari della Polizia Penitenziaria – cinque dall’inizio dell’anno – a riprova che l’afflizione per pena detentiva non è meno terribile della pena di morte, anzi è più subdola, più grave, più terribile, colpisce carcerati e carcerieri: uno stillicidio che annulla senza Speranza, senza reinserimento, senza scuola, senza formazione, senza lavoro, senza futuro.
È l’Istituzione galera che sta crollando sui suoi protagonisti involontari! Donne e uomini inchiodati al “fatto”, cristallizzati alla condanna, alla “certezza” di una sofferenza che non serve a nulla, che non rimedia, che non ripara il torto, che non aggiunge vita e sviluppo dove c’è solo morte, dove regnano solo le sbarre.
Molti chiedono di Abele. Ed eccolo nei volti di Mariateresa, di Enzo e di Marco, di chi non cede al sangue che chiede sangue; eccolo “compresente” nella passione di un impegno d’amore politico che ha fatto della Nonviolenza – e del Diritto – la cifra dell’azione rivoluzionaria più produttiva di sempre: la breccia di luce, il riaffiorare carsico di una “verità debole, umanissima” che, rinunciando alla morte come destino e soluzione, scopre il proprio volto in quello del “nemico”, che afferma la fratellanza comune, il sempre possibile cammino di miglioramento nella direzione di ciò che vale, di ciò che serve, di ciò che salva, di ciò che è bene.
Aldo Capitini diceva: chissà cosa avrei fatto io al tuo posto, magari cose più terribili! Aprendo così la sua politica transpartitica, liberalsocialista, omnicratica, a un Tu non più “diverso”, lontano, incomprensibile, a un Tu-Tutti che è vicinanza intima, comunione, pluralismo e condivisione.
E anche le opere di misericordia di cui ci parla Cristo riguardano i carcerati, quelle “visite” che, se non sono “passerella”, non possono davvero dimenticare le gabbie dei subumani, dei reietti, le trappole per esseri inferiori che sembrano non coinvolgerci, non appartenerci … almeno fino a prova contraria, fino al prossimo “errore giudiziario”.
Sono (siamo) i tanti crocifissi della Storia pronti a essere triturati per la realizzazione di fini più alti, strumenti di una dialettica spersonalizzante, pronta a negare significato al Singolo, all’errore, all’intoppo, al numero, all’innocente o al “colpevole” suicida, pur di giustificare un meccanismo, un movimento, la “sintesi” potente di un procedere interiorizzato come necessario.
Contro questa dialettica Aldo Capitini opponeva la prassi dell’aggiunta, del valore di ogni contributo in un ordito più vasto, aperto, diretto a una Realtà Liberata financo dalla morte … la realtà di Marco, di Enzo e di Mariateresa.