Il generale rischia le europee
Perché il generale Vannacci rischia l’ineleggibilità alle elezioni europee
Se è vero che i militari possono candidarsi, è altrettanto vero che non possono farlo nella circoscrizione territoriale in cui ricade la loro area di comando. Come mai lo stesso Salvini che criticava la “faziosità” della giudice Apostolico, è invece ammirato dall’ufficiale?
Editoriali - di Salvatore Curreri
I militari non sono cittadini come gli altri. Proprio perché al servizio della Repubblica, e cioè delle istituzioni democratiche e dell’intera comunità nazionale, devono rispettare particolari doveri e sottostanno a particolari limiti nell’esercizio dei diritti che la Costituzione riconosce a tutti i cittadini.
Da qui l’esigenza di contemperare i diritti che spettano ai militari come cittadini con gli obblighi connessi al carattere assorbente del servizio da loro reso in un ambito speciale, come quello militare, caratterizzato rispetto agli altri comparti dell’amministrazione dai principi organizzativi di disciplina, gerarchia, obbedienza, prontezza, coerenza interna e compattezza. È entro queste coordinate che va inquadrato il caso Vannacci; ieri, oggi e domani.
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Ieri, a proposito del libro pubblicato. È vero che “i militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero”, ma non possono divulgare, salvo autorizzazione, “argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio” e soprattutto, in ogni caso, resta loro vietata “la propaganda politica” (art. 1472 cod. ord. militare).
Le ragioni le ha spiegate benissimo il ministro della Difesa. Come cittadino Vannacci può dire e scrivere quel che vuole perché tutelato dalla libertà di espressione garantita a tutti dall’art. 21 Cost.
Come militare, per di più in ruolo apicale no, perché le sue idee, lesive della dignità sociale di talune categorie di persone (art. 3 Cost.), hanno compromesso quella neutralità e terzietà su cui si fonda il prestigio e l’autorevolezza delle Forze Armate, che sono e devono essere percepite come al servizio di tutti.
Per questo motivo, i militari di carriera in servizio attivo rientrano – con i magistrati, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero – tra quei servitori dello Stato il cui diritto d’iscrizione ai partiti politici può essere secondo l’art. 98.3 Cost. limitato con legge.
Così oggi è previsto che i militari possono sì iscriversi ai partiti politici ma non possono ricoprirvi cariche direttive o partecipare a manifestazioni o a prese pubbliche di posizione (art. 1483 cod. cit.; C. Stato IV sez. 5485/2017).
Avendo violato tali obblighi di imparzialità e neutralità, correttamente Vannacci è stato condannato alla sospensione disciplinare dall’impiego per undici mesi dall’Ufficio disciplina dello Stato Maggiore. Oggi, riguardo alla sua candidatura.
I militari possono candidarsi a qualunque elezione: europee, nazionali, regionali, o amministrative, ma ovviamente per farlo devono mettersi in licenza straordinaria per la durata della campagna elettorale (art. 1484 cod. cit.).
Ma proprio perché in grado di condizionare gli elettori in forza del grado superiore ricoperto, falsando la competizione elettorale che deve essere tra pari, gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze Armate che non siano cessati dalle loro funzioni sono ineleggibili al Parlamento nazionale nella circoscrizione del loro comando territoriale (art. 1485 cod. cit. che rinvia all’art. 7 del Testo unico della legge elettorale della Camera).
Il che significa che, qualora fosse eletto nella circoscrizione Italia centrale in cui ricade la sua area di comando (il Comando delle forze operative terrestri con sede in Roma), l’elezione di Vannacci al Parlamento europeo potrebbe essere annullata per ineleggibilità se – come sembra – egli tuttora non è in aspettativa ma sospeso dal servizio a seguito dell’anzidetto provvedimento disciplinare.
Il condizionale è d’obbligo perché, per evidente difetto di coordinamento, la legge prevede l’ineleggibilità degli ufficiali generali nel territorio in cui esercitano il comando a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale, ma non europeo.
Il che porterebbe a sostenere, con una certa intrinseca irragionevolezza, che Vannacci non si potrebbe candidare in Italia ma solo in Europa. Ipotesi che sembra peraltro espressamente smentita da una guida interna alla Difesa secondo cui l’ineleggibilità prevista per le camere nazionali va applicata “anche alla titolarità di analoghe cariche, ove esistenti, rivestite presso corrispondenti organi con sede istituzionali in Stati esteri”: il Parlamento europeo, giustappunto.
E del resto, lo stesso manuale elettorale per le elezioni europee redatto dal Servizio studi della Camera afferma che in base alla legge vigente l’assenza dei requisiti necessari per essere eletti è causa d’ineleggibilità (p. 13).
Sotto questo profilo il prudente comunicato del Ministero della Difesa non contribuisce a chiarire il punto perché, dal loro punto di vista, non vi sono state violazioni del codice dell’ordinamento militare dato che, come detto, esso non vieta la candidatura dei generali, salvo però prudentemente rimettere alla competenza del Ministero dell’Interno la valutazione circa l’eleggibilità di (qualsiasi) candidato.
Domani, se Vannacci fosse o non fosse eletto. Qui la lacuna normativa è ancora più evidente. Se infatti, per quanto ovvio, il militare eletto al Parlamento europeo (ma anche a quello nazionale o ad un consiglio regionale) è collocato d’ufficio in aspettativa, nulla si dice in caso di mancata elezione (art. 1488 cod. cit.).
Ma, come per altri servitori dello Stato che candidandosi per un partito infrangono irrimediabilmente la loro immagine d’imparzialità, anche per gli alti vertici delle Forze Armate il viaggio verso la politica deve essere di sola andata.
Quindi, in caso di mancata elezione, Vannacci avrebbe serie difficoltà ad essere ricollocato in un ruolo operativo perché candidatosi in tutto il territorio nazionale. Lo stesso dicasi in caso di elezione al termine del suo mandato. È stato questo, del resto, il senso della riforma Cartabia con cui si è voluto limitare il ritorno alle loro funzioni dei magistrati entrati in politica.
Allora la domanda finale che ci si deve porre è: se è vero – ed è vero – che i servitori dello Stato, oltreché essere imparziali e indipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, devono al di fuori di esse apparire sempre tali, per non minare con la loro condotta la fiducia che il popolo ha nei loro confronti e non compromettere il prestigio dell’amministrazione cui appartengono, perché il leader della Lega per Salvini nei confronti di Vannacci ha consentito e approvato quella mancanza di neutralità che invece aveva a suo tempo aspramente criticato nei confronti della giudice Apostolico?