Parola al parlamentare dem
Intervista a Matteo Orfini: “Non lasciamoci trascinare nello stupidario di Vannacci, il Pd faccia il Pd”
«Non siamo commentatori di dichiarazioni altrui, il partito democratico deve pensare in grande, costruire un’alternativa. La colpa più grave della destra è aver fatto passare, in tutto l’Occidente, l’idea che il futuro è qualcosa da cui bisogna proteggersi»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Matteo Orfini, parlamentare dem, già presidente del Pd e membro della Direzione nazionale: il mondo è sempre più dentro una terza guerra mondiale a pezzi, per usare le parole di Papa Francesco. Tra poco più di un mese si vota per le europee, ma il dibattito in Italia si concentra su alleanze, candidature, colpi bassi. Siamo fuori dal mondo?
Temo che sia così. Noi dobbiamo recuperare la dimensione globale dentro la quale ci muoviamo. Il 2024 è un anno in cui votano miliardi di persone nel mondo. Vota tutta l’Europa, votano gli Stati Uniti e tanti altri Paesi. Gli statistici certificano che è l’anno record quanto al numero delle persone che saranno chiamate al voto. E tutto questo avviene mentre ci sono focolai di tensione enormi ovunque, quando sono in corso conflitti drammatici come quello in Ucraina o in Medio Oriente. C’è il rischio di una escalation sempre più estesa dei conflitti. A volte sembra, ed è una sensazione fondata, che noi abbiamo perso di vista quello che ci succede intorno, quando invece è fortemente collegato a quello che accadrà qui da noi.
Le elezioni europee.
Elezioni che riguardano anche gli aspetti di cui sopra. L’Europa nasce come reazione alle guerre. Il sogno europeo nasce dopo i disastri delle due guerre mondiali e tutto sommato, con tutti i limiti e le difficoltà manifeste, garantisce pace e stabilità da tanti anni. Noi dovremmo vivere la sfida europea anche come rilancio di una dimensione dell’Europa come propulsore di pace, di diplomazia, di governo multilaterale del mondo. Tutte cose che erano alla base almeno della nostra visione dell’Europa e che oggi sono quasi scomparse dal dibattito. Sembra che il tema sia le sciocchezze di personaggi grotteschi tipo Vannacci o similari. Sarei per non lasciarci trascinare nello stupidario collettivo e cercare invece di rimettere nella discussione un po’ di politica, come peraltro mi sembra che il Partito democratico stia provando a fare. Di questo c’è un grande bisogno. C’è bisogno di una Europa che non rinunci alla propria funzione e anzi la rilanci, che esca più forte nella sua dimensione politica dalle europee di giugno. Questo dipenderà molto da chi le vince le elezioni. Non è la stessa cosa se vince Orban o se prevalgono le forze socialiste. Cambierà tutto. Esattamente come negli Stati Uniti non è la stessa cosa se vince Biden o se vince Trump.
Il Pd ha puntato, nonostante tutte le difficoltà incontrate negli ultimi tempi, su un asse strategico con il Movimento 5 Stelle, un partito il cui leader, non molto tempo fa ha affermato che poi non sarebbe così disastroso se alla Casa Bianca dovesse ritornare Donald Trump.
Mi sembra che persino Conte si sia reso conto dell’enormità di ciò che aveva detto e ha provato a correggerla. Anche qui, io credo che noi dobbiamo fare il Pd, cioè essere quelli che guidano un processo politico. Ed anche su questo terreno, la politica estera, quando l’abbiamo fatto siamo riusciti a dare una svolta alla politica dell’Italia.
Ad esempio?
Per restare alla cosa più recente, quando noi abbiamo assunto l’iniziativa in Parlamento perché l’Italia chiedesse il cessate il fuoco a Gaza, cosa che non aveva fatto, abbiamo unito le opposizioni e convinto persino la maggioranza a votare la risoluzione in cui l’Italia ha finalmente richiesto il cessate-il-fuoco. Poi il governo si è dimenticato di quella risoluzione e non ha svolto alcuna funzione attiva, e su questo noi dovremo incalzarlo. Uso questo come esempio, per dire che quando il Pd pensa in grande, pensa a quella che dovrebbe essere la sua funzione, cioè guidare il Paese anche quando si è all’opposizione, costruire dall’opposizione un’alternativa, essere già alternativa dall’opposizione, ci riesce e riesce a portare il Paese su posizioni giuste. Piuttosto che perdere ogni giorno della nostra vita a commentare le dichiarazioni di Conte, Calenda, Renzi e compagnia, penso che dovremmo dedicarci a dire cosa intende fare il Pd e su quello sfidare tutti. Quando lo facciamo, funziona. Nei giorni scorsi lo abbiamo fatto su un tema cruciale per la vita di tutti, il rilancio del servizio sanitario nazionale, come proposto da Elly Schlein, e questo ha aperto una discussione. La segretaria ha spiegato molto bene che non si può accettare lo smantellamento del sistema sanitario nazionale, con quelle liste d’attesa così drammatiche, e oggi anche il centrodestra insegue. La nostra funzione è quella di immaginare e costruire un’alternativa attorno alla proposta del Partito democratico. Non siamo commentatori di dichiarazioni altrui.
Costruire una identità solida e un radicamento forte del Pd. Ma non c’è il rischio che tutto ciò venga in qualche modo oscurato o messo in secondo piano dalla personalizzazione estrema della figura del leader. Un tema riproposto dentro il Pd dall’inserimento del nome della segretaria nel simbolo dem alle europee.
In politica le leadership forti ci sono sempre state. I grandi partiti di massa della prima Repubblica avevano grandi leader. Lo era Enrico Berlinguer, lo era Aldo Moro. Non bisogna aver paura delle leadership forti. Dopodiché bisogna essere orgogliosi, o almeno noi dovremmo esserlo, della forma collettiva del nostro partito. Il Pd è una comunità che discute. Anche una Direzione che è stata raccontata come drammatica…
Forzatura giornalistica?
È uno di quei casi in cui si è fatta in modo trasparente una discussione su un tema controverso, e alla fine la segretaria ha ascoltato il parere della sua comunità e ha fatto la sintesi giusta, presentando delle liste ottime e scegliendo di presentare il simbolo come sempre è stato. Una leadership è tale se sa anche ascoltare ed è quello che è avvenuto. Sennò si fa come negli altri casi in cui le discussioni sono finte. Ho sempre pensato che quando si entra in una Direzione, o in qualunque altra sede di discussione, e se ne esce con una posizione e un convincimento diversi da quelli con cui si è entrati, non è un male, perché vuol dire che quella discussione è stata utile. Ci siamo ascoltati, e questo è sempre un bene..
Una domanda rafforzata dalle polemiche che hanno preceduto il 25 Aprile, e che in parte proseguono. Porre al centro dell’iniziativa politica il tema del valore e dell’attualità dell’antifascismo, che significato ha oggi?
La reazione che c’è stata alla censura assurda, gravissima, di Scurati, fa ben sperare. E qui vorrei dare atto a Serena Bortone di aver dimostrato come si può fare quella professione con orgoglio, dignità, schiena dritta anche in un momento come questo. La reazione di popolo che c’è stata, che si è vista nella partecipazione non solo alle manifestazioni principali del 25 Aprile ma in ogni angolo del Paese, celebrazioni, momenti di raccoglimento partecipatissimi, lo scatto a protezione del 25 Aprile che si è manifestato nel Paese, dimostrano che quella data e quei valori, sono parte di noi e non ci sarà mai un ottuso burocrate o un ministro che viene dal passato che potrà cancellarli dall’identità del nostro Paese. E questo è un fatto enormemente positivo. Le parole definitive, come sempre, le ha dette il presidente Mattarella: l’antifascismo per tutti noi è un dovere, la nostra Costituzione nasce da lì e non c’è futuro senza il ricordo e l’orgoglio delle proprie origini, dei propri fondamenti culturali e politici. Credo che facciamo non bene ma benissimo a celebrarlo, a raccontarlo, e a vivere l’antifascismo ogni giorno dell’anno.
Spesso si è detto che non si vince con l’anti ma con il per. Ma con questa destra rafforzare l’anti non è un passaggio obbligato?
Quando si fa l’opposizione bisogna essere alternativi a chi governa, soprattutto quando chi governa è una destra come questa. Un pezzo non secondario della funzione dell’opposizione è essere contro quello che fa questa destra. Non è che dobbiamo spaventarci nel dire no alle cose che fanno, al metodo e al merito che caratterizza questa destra e il suo modo di intendere e praticare la funzione di governo. Dopodiché è chiaro che un progetto alternativo deve costruirsi e rendersi visibile. Non è un tema semplicemente di programmi. Certo, quando si dice no a una legge, a un decreto, a una scelta politica dell’avversario, bisogna dire come la vorresti fare te. Questo è parte del lavoro che noi dovremmo fare. Si tratta però di coinvolgere il Paese su un progetto, di capire e convincere che non è detto che l’Italia debba essere quella che dice la destra. Non è detto che il futuro debba essere qualcosa di cui aver paura. Questa è la colpa più grave della destra: aver fatto passare, non solo qui ma in tutto l’Occidente, l’idea che il futuro è qualcosa dal quale bisogna proteggersi. Noi, al contrario, dovremmo restituire la fiducia nel futuro. Perché il futuro può essere migliore del presente. Noi dovremmo essere quelli che restituiscono agli italiani la speranza nel futuro. Perché non è detto che il futuro debba essere un luogo in cui se sei malato devi avere i soldi per curarti altrimenti è la fine. Può essere un luogo in cui c’è una sanità pubblica che funziona, che ti cura e che ti fa guarire. Non è detto che sia un luogo in cui puoi solo sperare di avere un salario da fame, perché magari può essere un luogo in cui invece ci sono diritti, tutele, salari dignitosi per tutti i lavoratori. Non è detto che debba essere un luogo in cui si compete sulla riduzione dei costi, ma può essere un luogo in cui le imprese competano sull’innovazione e sulla qualità. Questo è il tema. La sinistra è tale e funziona quando restituisce la fiducia nel futuro a un Paese che ne è spaventato. Noi questo dobbiamo essere. Una forza di cambiamento che riconquista il futuro. E così che dai speranza a quelli che oggi sono tagliati fuori. L’astensionismo è questo. Quel pezzo di Paese che non ha più fiducia, perché è escluso, perché ha difficoltà e non vede futuro, e non pensa che quel futuro possa arrivare dalla politica. O noi gli restituiamo la fiducia nel futuro e nella politica come strumento di cambiamento, altrimenti quelli che non voteranno saranno sempre di più.
Un futuro più frequentabile investe anche il tema dell’inclusione, della difesa dei più indifesi tra gli indifesi: i migranti.
È un’altra delle assurdità di questa fase storica che ci è dato vivere. In cui si è fatta passare l’idea che salvare vite umane è una colpa e se uno scappa da una guerra e cerca di salvare la sua famiglia è colpevole, e dovrebbe stare lì a morire senza disturbarci troppo. Anche su questo, se penso a noi, vedo indubbi passi in avanti nell’orgoglio con cui tutto il Pd conduce queste battaglie, mentre prima eravamo pochissimi a farlo. E anche nelle cose che finalmente rendono giustizia. Penso, ad esempio, alla sentenza sul caso Iuventa, che è stato l’inizio di una strategia di criminalizzazione delle Ong; quella sentenza restituisce un po’ di verità e di senso alle cose. Mentre la destra è riuscita a mettere i penultimi contro gli ultimi, noi dobbiamo costruire una visione diversa, in cui aiutare chi è in difficoltà è un dovere che peraltro fa bene a tutti. Perché un Paese in cui c’è inclusione, c’è integrazione, c’è solidarietà, è un Paese più forte e più sicuro. Oltreché più giusto.
Nell’annunciare da Pescara la sua candidatura alle Europee, Giorgia Meloni ha affermato: “Non sono leader del Pd, il mio partito mi aiuterà”.
Ha ragione Giorgia Meloni, noi siamo un’altra cosa, anche sul modello di partito. A lei piace circondarsi di comparse e figuranti che sanno solo dire “brava Giorgia” e acclamare il capo. Noi siamo un partito di persone libere, che si confrontano e cercano insieme le soluzioni ai problemi creati da queste destre. E che hanno in Elly Schlein una guida innovativa. Non scambierei mai tutto questo con il gruppetto di potere della destra post missina.