L'ex assessore a Parma
Chi era Giovanni Paolo Bernini, esponente di FI ennesima vittima di malagiustizia
Bernini era rimasto travolto nella maxi inchiesta antimafia “Aemilia”. Accusato di voto di scambio politico mafioso, era stato poi prosciolto in via definitiva. Da allora era alla ricerca di “verità e giustizia”.
Politica - di Paolo Comi
La malagiustizia ha – purtroppo – fatto un’altra vittima. Giovanni Paolo Bernini, esponente di Forza Italia, già assessore e presidente del Consiglio comunale di Parma, è morto lo scorso fine settimana per un malore improvviso. Aveva 61 anni.
Bernini era rimasto travolto nella maxi inchiesta antimafia “Aemilia” condotta dalla Dda di Bologna e dalla Procura di Reggio Emilia. Accusato di voto di scambio politico mafioso, era stato poi prosciolto in via definitiva. Da allora era alla ricerca, come ripeteva spesso, di “verità e giustizia”.
I pm avevano infatti colpito duramente solo gli esponenti di centro destra, pur non avendo costoro mai avuto responsabilità di primo piano nelle amministrazioni locali emiliane. L’anno scorso su questa conduzione delle indagini a senso unico erano state presentate tre distinte interrogazioni parlamentari da parte dei deputati Pietro Pitallis (FI) e Gianluca Vinci (Fd’I), e del senatore forzista Maurizio Gasparri.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio nella sua risposta aveva annunciato di aver iniziato degli accertamenti ispettivi di cui, però, si sono perse le tracce nei meandri di via Arenula. Sulla propria storia giudiziaria Bernini aveva scritto due libri: “Storie di ordinaria ingiustizia” e “Colpo al Sistema”.
“Non è una questione personale o di vendetta, lo faccio per i miei figli e per tutti coloro che credono nella giustizia giusta: in Aemilia sono stati colpiti gli avversari politici, innocenti, e coperti gli amici dei pm che invece avevano avuto rapporti con i clan calabresi”, raccontava Bernini.
Il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi scrisse una relazione al capo della Dna Federico Cafiero De Raho sottolineando, in disaccordo con i colleghi, che non c’erano gli elementi per chiedere l’arresto di Bernini.
“Ho fatto tante compagne elettorali e non potevo immaginare che cercare i voti nelle comunità calabresi comportasse la gravissima accusa di vicinanza alle cosche”, ricordava Bernini. “Temo che le vicende giudiziarie che hanno ingiustamente condizionato la sua vita non siano estranee alla sua morte prematura”, ha commentato ieri Gasparri.