Il "marito" della poetessa

Giovanni Nuti racconta Alda Merini: “Così è nato il nostro matrimonio artistico”

«Ero in libreria quando cadde dallo scaffale un libro della poetessa: “I sandali” mi folgorò, la misi subito in musica. Le scrissi, mi chiamò nel cuore della notte. Da lì diventammo inseparabili: 16 anni meravigliosi»

Interviste - di Graziella Balestrieri

14 Marzo 2024 alle 17:30 - Ultimo agg. 15 Marzo 2024 alle 15:33

Condividi l'articolo

Giovanni Nuti e Alda Merini
Giovanni Nuti e Alda Merini

Stasera in prima serata su Raiuno andrà in onda Folle D’amore- Alda Merini, il film diretto da Roberto Faenza, che racconta la vita di Alda Merini, poetessa e donna amatissima.

Amatissima anche da chi per anni le è stata a fianco, come il Maestro Giovanni Nuti, in quello che Alda Merini definiva un “matrimonio artistico”, che si è tradotto in ben sedici anni vissuti da entrambi in simbiosi. Un incontro che ha cambiato la vita di Giovanni: musicando le poesie di Alda, portandole in scena insieme a lei, custodendo ogni singolo sguardo.

Dolore e tristezza, ma anche Alda che godeva di un bicchiere d’acqua come un dono prezioso. Folle D’Amore-Alda Merini si conclude proprio con Lirica Antica, musicata e arrangiata dal Maestro Giovanni Nuti che ci racconta di un Alda Merini che era “tutti i colori dell’arcobaleno“.

Partiamo da “Lirica Antica”.
Lirica Antica è una poesia che lei scrisse nel 1961, inserito nella raccolta “Tu sei Pietro”, che è stata pubblicata prima del suo ricovero in manicomio al Paolo Pini, quindi diciamo prima del periodo manicomio, dove resterà fino al 1972. Questo brano è un brano molto particolare, per me è una delle sue più belle poesie. Un brano che già avevo musicato, ne ho tantissimi di brani, scrivevamo tantissime canzoni, io musicavo sempre e ne ho ancora tante composizioni da far uscire. Alda aveva ascoltato Lirica antica e l’aveva emozionata tanto, non era ancora arrangiata: solo voce e pianoforte, però l’aveva colpita molto.

Come è nato questo matrimonio artistico? (così lo chiamava Alda Merini)
È come “se mi fosse venuta addosso”. Un giorno sono entrato in libreria e dallo scaffale è caduto un libro che nell’aprirsi mi mostrava una poesia. Quella poesia era I sandali: appena la lessi mi lasciò una sensazione molto strana, positiva ovviamente. Ne rimasi folgorato. Guardai la copertina e lessi il nome di Alda Merini, ma allora non la conoscevo. Andai a casa e musicai subito I sandali. Poi cercai il suo indirizzo e le scrissi una lettera, nella quale le dicevo che mi avrebbe fatto piacere farle ascoltare la sua poesia con la mia musica, scrivendole anche il mio numero di telefono. Alda Merini mi telefonò nel cuore della notte, lasciandomi un messaggio in segreteria dicendomi tra l’altro una cosa che mi colpì molto e mi fece capire che essere incredibile fosse, mi disse “se vuole ci possiamo vedere all’Hotel Certosa, io sono in vacanza all’Hotel Certosa”. Poi ho scoperto che l’Hotel Certosa era a 500 metri da casa sua!

Come è stato questo incontro?
Sono andata a trovarla, all’Hotel Certosa e fu un incontro molto speciale perché – devo dirle la verità – sostenere lo sguardo di Alda Merini non era facile. Lei ha colto l’inferno, ha colto il dolore, lo ha proprio abbracciato e lo diceva sempre “io ce l’ho fatta perché sono andata incontro al dolore, non l’ho allontanato”. Alda il dolore lo aveva fatto proprio suo. Aveva questi occhi verdi di una persona che è sulla terra ma che in realtà è del cielo. Ti scrutava, ti metteva a nudo e ho visto molta gente che non ce l’ha fatta a sostenere il suo sguardo ed è scappata via subito, persone che volevano conoscerla, mi chiedevano di presentargliela e poi però bastava uno sguardo o una domanda e loro si sentivano messi a nudo e quindi andavano via. Uno sguardo a cui non potevi mentire perché lei capiva tutto. Alda era tutti i colori dell’arcobaleno, così dal 1993 al 2009 fino alla sua morte non ci siamo mai lasciati, per 16 anni non ci siamo mai lasciati.

Che rapporto aveva Alda Merini con la musica?
Meraviglioso! Suonava il pianoforte quando la andavano a trovare, oltre a regalare tutto quello che aveva in casa, a donare – perché lei era generosissima – non mandava mai via nessuno senza aver fatto una suonatina al pianoforte. Nella sua ultima telefonata e quando era ricoverata al San Paolo, mi disse: “Ricordati che tu sei stato la mia gioia, la mia musica”. Queste parole sono tatuate nel mio cuore. E poi sono riuscito a portarla sul palcoscenico, abbiamo fatto tantissimi spettacoli insieme con l’opera sacra Il poema della croce. Alda era un’attrice, una diva, l’ultima diva sicuramente.

Una poetessa per tutti, quasi un’icona pop?
Il suo obiettivo era quello di far arrivare la poesia dappertutto. Per lei la poesia doveva arrivare al cuore di tutti, la poesia non doveva essere solo per l’élite, per i colti. La poesia deve emozionare tutti e quindi lei scriveva per il fruttivendolo, per il rettore dell’Università, lei scriveva per tutti, per questo motivo è molto amata. Sembra ieri che passeggiavamo lungo i Navigli, ed era appena morto Mario Luzi, poeta che Alda amava molto, mi guardò e mi disse “vedi? In Italia quando muore un poeta ne parlano tre giorni e poi se ne dimenticano”. Io le dissi che per lei non sarebbe mai stato così.

Cosa rendeva triste e malinconica Alda Merini?
La tristezza e la malinconia erano memorizzate, erano delle memorie, quindi l’hanno sempre accompagnata: quando ci sono delle memorie non vanno mai via. Tutto quello che lei ha vissuto, anche se poi ha avuto dei momenti di grande gioia, sia come tristezza e come malinconia sono state sicuramente uno stimolo per la scrittura, ed entrambe non l’hanno mai abbandonata. Però si arrabbiava molto per una cosa, ovvero quando le facevano capire che lei è diventata Alda Merini per il manicomio. Ma Alda come denota anche questa poesia che io ho musicato, Lirica Antica, lei la scrisse prima del manicomio. Lei a 16 anni scriveva già come se fosse una donna molto matura, era già una poetessa prima del manicomio. Il manicomio ha acuito, come tutte le cose di dolore, di sofferenza che ti allargano il cuore, che ti fanno accelerare il percorso, la sua sensibilità.

Cos’era la gioia per Alda Merini?
Lei mi faceva notare che la gente pensa al paradiso quando andrà in paradiso ma che il paradiso è qui, il paradiso è questo. Quando sentiva dietro la finestra della sua stanza gli uccellini cantare lei mi diceva: “cosa posso chiedere di più?”. Poi apriva la finestra, in un piatto metteva delle briciole di pane ed entravano tutti i passerotti a mangiare sul suo letto e lei sdraiata lì mi diceva “Vedi? Io sono come San Francesco”. Alda apprezzava tutto della vita, si emozionava veramente anche per le più piccole cose, anche solo un bicchiere d’acqua, perché per lei l’acqua è santa e magnifica. “La gente”, mi ripeteva sempre, “non si rende conto, non è consapevole di quello che ha, che c’è”. Ed ogni cosa per lei era preziosa, ogni cosa era un miracolo.

La musica che Alda Merini amava?
Lei amava molto la melodia, le opere, conosceva le opere da Puccini a Wagner, tutta la musica classica. E anche quelle leggera però. Era appassionata di Celentano, certe volte quando andavo da lei aveva nel giradischi un disco di Celentano. E poi le piaceva ballare.

Le manca molto vero?
Il telefono squillava in continuazione, tutto il giorno! E Alda mi disse una volta “tu ti renderai conto quando io non ci sarò più quando il telefono non squillerà “. Lei ogni quarto d’ora chiamava e chiamava perché aveva un’idea, perché aveva un pensiero, perché voleva commentare un fatto della quotidianità e quindi squillava sempre il telefono di casa o il cellulare. Da quando è morta, ovviamente il telefono è muto: il silenzio. Lei mi aveva avvertito di questo segnale: “ti renderai conto che non ci sono più da questo silenzio”.

14 Marzo 2024

Condividi l'articolo