Le carte dell'opposizione
Elezioni in Abruzzo, la sinistra tenta il sorpasso grazie all’effetto Sardegna
Nessun presidente uscente è stato rieletto. Ma il voto disgiunto qui non è ammesso e questo aiuta Meloni. Che è quella che ha più da perdere
Politica - di David Romoli
L’asticella, in Abruzzo, potrebbe essere il 55%. Non dei voti a favore dell’uno o dell’altro contendente ma dei votanti. Le statistiche dicono infatti che di solito a un’affluenza al di sotto di quella soglia, come nel 2019 quando votò il 53,11% degli aventi diritto, corrisponde la vittoria del centrodestra.
Quando invece la percentuale sale, come nel 2014 quando si aggiudicò la presidenza di Regione Luciano D’Alfonso, a essere premiato è il centrosinistra.
Nella regione in lizza domenica il centrosinistra parte con due elementi favorevoli a priori, la destra al governo ne vanta uno solo ma tanto potente da giustificare l’ottimismo diffuso nella maggioranza nonostante i rischi di sconfitta siano concreti.
In Abruzzo, come in Sardegna, nessun presidente uscente è mai stato rieletto: la sconfitta di Marco Marsilio rientrerebbe nella tradizione.
Nel comizio conclusivo della campagna elettorale la premier ha ricordato l’handicap cercando di volgerlo a proprio vantaggio: “Marsilio è stato il primo presidente di Regione di FdI ora lo aspetta un altro primato: l’essere il primo presidente rieletto”.
Non che il pupillo di Giorgia, sulla cui candidatura “avevo molti dubbi perché non sapevo se potevo privarmene a Roma”, appaia proprio adeguato alla sfida: nella lista dei governatori più apprezzati figura al terz’ultimo posto.
Incidentalmente è la stessa postazione che ricopriva, tra i sindaci, lo sfortunato campione sardo colpito e affondato, Paolo Truzzu. Non il migliore tra i presagi.
In compenso il voto disgiunto, quello che ha consentito la vittoria di Alessandra Todde in Sardegna, una vittoria più personale che della coalizione avendo ottenuto 40mila voti in più dei partiti, in Abruzzo non è possibile.
Gli ultimi sondaggi prima della fase di silenzio registravano un testa a testa tra i candidati ma una vittoria netta della destra nel voto di lista, che qui, appunto non può essere disgiunto da quello per il presidente.
L’elemento potrebbe essere decisivo. La destra spera e pensa davvero che lo sia: in condizioni identiche in Sardegna non ci sarebbe stata partita.
La carta sulla quale conta l’opposizione è proprio la Sardegna e l’effetto galvanizzante che potrebbe avere sull’elettorato deluso o disaffezionato.
Nelle elezioni moderne, ovunque e in Abruzzo anche più che altrove, non vince chi riesce a rubare voti agli avversari ma chi convince la parte del proprio elettorato astensionista a crederci di nuovo.
Se gli elettori di sinistra, spinti anche dal successo sardo, torneranno al voto la magica soglia del 55% sarà passata e il miracolo sardo potrebbe ripetersi. Facile non è ma neppure impossibile.
Tanto più che la sinistra riesce qui a giocare una seconda carta di solito vincente: è unita e l’elettorato di sinistra per tradizione adora l’unità e punisce le divisioni.
In Abruzzo, si sa, il campo è larghissimo. Non solo Conte e Schlein vanno a braccetto, come in Sardegna e salvo miracoli finali a differenza che in Piemonte e Basilicata, ma al pacchetto di mischia si sono aggiunti anche Calenda e Renzi, pur ripetendo che a livello nazionale di alleanze con il reprobo pentastellato non se ne parla e non se ne parlerà.
Le cose che si dicono in politica contano poco ma in questo caso sottolineare il carattere episodico del listone è più una salvaguardia che un boicottaggio. La coalizione in campo ricorda per dimensioni e incompatibilità interne la disgraziata Unione di Romano Prodi nel 2006.
Con due sensibili differenze: non c’è un Prodi a tenere le fila e non c’è un partito molto più forte degli altri a fare da perno, quali erano allora i Ds e comunque servì a poco anche questo.
Già è difficile fare accettare questa alleanza tra dissimili reciprocamente ostili in Regione, se fosse dichiaratamente un progetto nazionale l’accorpata diventerebbe persino controproducente.
In uno scontro che si è giocato in buona parte, per quanto surreale appaia, sui quarti di abruzzesità di Marsilio, accusato di essere calabrese solo di famiglia e difeso da una premier che nel comizio finale ha trovato modo di sottolineare una decina di volte quanto “abruzzese” per carattere e passione sia in realtà il figlio di emigrati, la destra ha da perdere molto più della sinistra.
È al governo e sino a poco tempo fa aveva tutti i pronostici a favore. La sconfitta sarebbe nella norma, fatta salva quella regola dell’alternanza che sinora gli abruzzesi hanno applicato rigorosamente.
La premier, invece, ha dovuto mettere in ballo tutto il suo peso per spingere gli elettori di centrodestra a votare nonostante il poco amore per Marco Marsilio. Può farcela ma in caso contrario a perdere, come in Sardegna e più ancora che in Sardegna, sarà lei.