L'appello congiunto
Il mondo non può abbandonare Gaza, il grido delle agenzie Onu
L’appello congiunto dei rappresentanti delle principali agenzie umanitarie, dall’Unhcr all’Unicef, dalla Fao all’Oim all’Oms. “Nella striscia nessuno è al sicuro, va evitata una catastrofe peggiore”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Iniziamo dalla fine. Dai firmatari. Martin Griffiths, Sottosegretario generale Onu per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti d’emergenza (Ocha); Sofia Sprechmann Sineiro, Segretaria Generale, Care International; Qu Dongyu, Direttore Generale, Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao); Jane Backhurst, Presidente, Icva (Christian Aid); Jamie Munn, Direttore Esecutivo, International Council of Voluntary Agencies (Icva); Tom Hart, Amministratore delegato e Presidente, InterAction.
E poi: Amy E. Pope, Direttrice Generale, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim); Tjada D’Oyen McKenna, Amministratrice delegata, Mercy Corps; Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr); Janti Soeripto, Presidente e Direttrice Generale, Save the Children; Paula Gaviria Betancur, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani degli sfollati interni; Achim Steiner, Amministratore, Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp); Natalia Kanem, Direttrice Esecutiva, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa); Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr); Michal Mlynár, Direttore esecutivo a.i., Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-Habitat); Catherine Russell, Direttrice generale, Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef); Sima Bahous, Sottosegretaria Generale e Direttrice Esecutiva, UN Women; Cindy McCain, Direttrice Esecutiva, World Food Programme (Wfp); Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale, Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
Mai nella storia del secondo dopoguerra c’è stata una presa di posizione così ampia. E una denuncia così forte, potente, che chiama in causa il mondo intero. Che sta a guardare l’apocalisse umanitaria in atto a Gaza.
“In meno di cinque mesi – rimarcano i firmatari – in seguito ai brutali attacchi del 7 ottobre e la conseguente escalation, decine di migliaia di palestinesi – per lo più donne e bambini – sono stati uccisi e feriti nella Striscia di Gaza. Più di tre quarti della popolazione è stata costretta ad abbandonare le proprie case, in molti casi più volte, e deve affrontare gravi carenze di cibo, acqua, servizi igienici e assistenza sanitaria – le necessità di base per sopravvivere.
Il sistema sanitario continua a essere sistematicamente deteriorato, con conseguenze catastrofiche. Al 19 febbraio, solo 12 dei 36 ospedali con capacità di degenza funzionano ancora, e solo parzialmente. Dal 7 ottobre ci sono stati più di 370 attacchi all’assistenza sanitaria a Gaza.
Le malattie dilagano. La carestia incombe. L’acqua è ridotta a un rivolo. Le infrastrutture di base sono state decimate. La produzione di cibo si è fermata. Gli ospedali si sono trasformati in campi di battaglia. Un milione di bambini affronta traumi quotidiani.
Rafah, l’ultima destinazione per ben oltre 1 milione di persone sfollate, affamate e traumatizzate stipate in una piccola striscia di terra, è diventata un altro campo di battaglia in questo brutale conflitto. Un’ulteriore escalation di violenza in quest’area densamente popolata causerebbe vittime in massa. Potrebbe anche infliggere un colpo mortale a una risposta umanitaria che è già in ginocchio.
Non c’è un luogo sicuro a Gaza. Gli operatori umanitari, a loro volta sfollati e alle prese con bombardamenti, morti, restrizioni di movimento e una disgregazione dell’ordine civile, continuano ad adoperarsi per fornire assistenza a chi ne ha bisogno. Ma di fronte a così tanti ostacoli – tra cui le restrizioni di sicurezza e di movimento – possono fare solo fino a un certo punto.
Nessuna risposta umanitaria potrà compensare i mesi di privazioni che le famiglie di Gaza hanno sopportato. Il nostro impegno è quello di salvare le operazioni umanitarie in modo da poter fornire almeno lo stretto necessario: medicine, acqua potabile, cibo e un riparo mentre le temperature precipitano.
Per questo, abbiamo bisogno: di un cessate il fuoco immediato. Che siano protetti i civili e le infrastrutture da cui dipendono. Che gli ostaggi siano rilasciati immediatamente. Di punti di ingresso affidabili che ci permettano di portare gli aiuti da tutti i possibili valichi, compreso nel nord di Gaza.
Di garanzie di sicurezza e passaggio senza ostacoli per distribuire gli aiuti, su larga scala, in tutta Gaza, senza negazioni, ritardi e impedimenti all’accesso. Di un sistema di notifica umanitaria funzionante che consenta a tutto il personale e alle forniture umanitarie di muoversi all’interno di Gaza e di consegnare gli aiuti in modo sicuro.
Di strade percorribili e quartieri liberati da ordigni esplosivi. Di una rete di comunicazione stabile che permetta agli operatori umanitari di muoversi in modo sicuro e protetto. Che l’Unrwa, la spina dorsale delle operazioni umanitarie a Gaza, riceva le risorse necessarie per fornire assistenza salvavita. Della cessazione delle campagne che cercano di screditare le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative che fanno del loro meglio per salvare vite umane.
Le agenzie umanitarie rimangono impegnate, nonostante i rischi. Ma non possono essere lasciate a raccogliere i pezzi. Chiediamo a Israele di adempiere al suo obbligo legale, in base al diritto internazionale umanitario e ai diritti umani, di fornire cibo e forniture mediche e di facilitare le operazioni di aiuto, e ai leader mondiali di evitare che si verifichi una catastrofe ancora peggiore”. Così stanno le cose.
“I civili di Gaza sono in grave pericolo mentre il mondo sta a guardare”, avvertono i Rappresentanti dell’Inter Agency Standing Committee. Ma la forza di questa presa di posizione sta nel coniugare, indissolubilmente, la descrizione della realtà, un inferno in terra, e la proposta per scongiurare una catastrofe ancor più devastante. Sta nella declinazione precisa, articolata, dei “Dieci requisiti per evitare una catastrofe ancora peggiore”. Nessuno può dire “non sapevo”.
Intanto, supera quota 29.400 il bilancio dei palestinesi rimasti uccisi nella Striscia di Gaza a seguito dell’offensiva israeliana. Lo afferma il locale ministero della Sanità, secondo cui dall’inizio della guerra sono morti 29.410 palestinesi e altri 69.465 sono rimasti feriti.
Ma i numeri, per quanto agghiaccianti, non contengono tutta la sofferenza, dei disperati di Gaza. Sentimenti racchiusi in una delle tante testimonianze raccolte sul campo dagli operatori di Save the Children. Shady, 40 anni, agricoltore del nord di Gaza, è fuggito ad Al-Mawasi, nel sud di Gaza, con la sua famiglia quando i bombardamenti si sono intensificati.
Ora vivono in una tenda. Una settimana dopo la partenza, è finalmente riuscito a procurarsi alcuni beni di prima necessità per i suoi figli, come coperte e vestiti, ma il clima freddo, la mancanza di cibo e le carenze igieniche sono una sfida.
“Ci siamo lasciati tutto alle spalle. Tutti i nostri beni, tutto ciò che possediamo, tutto è rimasto indietro”, racconta Shadi. “Durante il giorno, nella tenda fa caldo. E quando arriva la notte, è freddo. Fa un freddo cane fino alle 7 del mattino. Stringiamo i nostri figli nei nostri vestiti per riscaldarci”. E il mondo sta a guardare.