Il dissidente russo
Chi era Navalny, morto in carcere l’oppositore di Putin: l’avvelenamento, le condanne, l’attivismo anti-corruzione
Esteri - di Carmine Di Niro
Deceduto nella colonia penale IK-3 dell’Okrug autonomo di Yamalo-Nenets, oltre il Circolo polare artico dove era recluso da settimane dopo un trasferimento avvolto nel mistero. Così è morto Alexei Navalny, il 47enne dissidente russo e più importante oppositore del presidente Vladimir Putin, costretto in carcere a seguito di una serie di sentenze di condanna.
La morte di Navalny in prigione
La notizia della scomparsa è stata riferita dal dipartimento regionale del servizio penitenziario federale. “Il 16 febbraio di quest’anno, nella colonia correzionale n. 3, il detenuto Navalny A.A. si è sentito male dopo una passeggiata, perdendo quasi immediatamente conoscenza. Gli operatori sanitari dell’istituto sono immediatamente arrivati ed è stata chiamata una squadra medica di emergenza“, si legge nel comunicato. “Sono state eseguite tutte le misure di rianimazione necessarie, ma non hanno dato risultati positivi. I medici del pronto soccorso hanno confermato la morte del condannato. Si stanno accertando le cause della morte“, aggiunge il comunicato rilanciato dalle agenzie russe.
Dal Cremlino il portavoce Dmitry Peskov ha confermato il decesso di Navalny spiegando che le cause della morte “saranno accertate dai medici”. “Il Servizio penitenziario federale sta verificando e indagando” sull’accaduto, ha aggiunto Peskov, sottolineando che “non serve un’indicazione speciale del Cremlino in merito” e che Vladimir Putin è stato informato della morte dell’oppositore.
Le condanne di Navalny
Come accaduto prima di lui ad altre figure di riferimento dell’opposizione al regime di Putin, anche Navalny ha subito una lunga serie di processi legati al suo attivismo politico, ritenuti da organizzazioni indipendenti come Amnesty International come “politicamente motivati”.
La prima condanna è del 2014 quando, assieme al fratello Oleg viene condannato a 3 anni e sei mesi di carcere per appropriazione indebita ai danni dell’azienda francese di cosmetici Yves Rocher, alla quale la loro compagnia di trasporti Glavpodpiska avrebbe sottratto 30 milioni di rubli. Ad Alexei venne concessa la sospensione in via condizionale, con l’obbligo di presentarsi alle autorità per due “firme” mensili fino al 30 dicembre 2020.
Nel solo 2017 viene arrestato tre volte per aver partecipato o aver invitato suoi sostenitori a manifestazioni pubbliche contro Putin e il sistema corruttivo russo.
L’avvelenamento in Germania
Nel gennaio del 2021 viene arrestato a Mosca, nell’aeroporto della capitale, e processato per direttissima con una condanna a due anni e 8 mesi di carcere. Navalny era tornato in patria dalla Germania, dove era stato curato per un avvelenamento quasi fatale avvenuto con dell’agente nervino messo nella sua biancheria intima, per il quale il dissidente ha accusato i servizi segreti interni russi.
Secondo la “confessione” di un agente dell’FSB (i servizi segreti russi), del Novichok (un agente nervino) era applicato alle mutande di Navalny mentre si trovava in un hotel a Tomsk, in Russia, da dove era poi partito in aereo il 20 agosto 2020 per raggiungere Mosca. Mentre le aveva indossate per il volo come previsto, il veleno era stato apparentemente assorbito troppo lentamente per avere effetti letali prima che l’aereo partisse: Navalny si era sentito male perdendo conoscenza a bordo del velivolo e due giorni dopo verrà trasferito in Germania per ricevere cure specialistiche all’ospedale universitario della Charité di Berlino.
Qui i medici confermeranno l’ipotesi dell’avvelenamento, riscontrando la presenza del Novichok, agente nervino già utilizzato per avvelenare l’ex spia russa Sergej Skripal nel 2018.
La reclusione in carcere
Tornato a Mosca, Navalny venne nuovamente arrestato e portato alla sbarra nell’ambito del processo per “estremismo” legato alle attività svolte dalla sua Fondazione contro la corruzione. Nell’agosto del 2013 viene condannato a 19 anni di carcere per aver “presumibilmente finanziato attività estremiste, incitato pubblicamente ad attività estremiste” e “riabilitato l’ideologia nazista”.
Nel dicembre 2023 era stato trasferito nella prigione di massima sicurezza IK-3, a quasi 2mila chilometri da Mosca e all’interno del Circolo polare artico, dopo una “scomparsa” durata settimane in cui la moglie e i suoi avvocati non avevano avuto sue notizie.
Chi era Navalny: dalle campagne anti-migranti all’opposizione a Putin
Nato nella regione di Mosca da una famiglia di tradizioni militari, dopo la laurea in legge si avvicina alla politica nel 2000 iscrivendosi a Jabloko, partito di stampo liberale e filo-occidentale. Dal movimento viene però cacciato con l’accusa di aver danneggiato l’organizzazione con le sue attività nazionalistiche: nel 2007 aveva fondato un movimento chiamato Narod (Popolo, ndr) che porta avanti una feroce campagna contro gli immigrati dai toni xenofobi. Navanly sosterrà anche l’intervento russo in Ossezia del Sud nel 2008.
La svolta politica e anche mediatica avviene in quello stesso anno, quando Navalny acquista piccoli pacchetti azionari di grandi compagnie così da poter esercitare il diritto all’informazione degli azionisti e ottenere prove di condotte dubbie da parte dei dirigenti. Diventa il volto di una campagna anti-corruzione che colpirà politici, governo e oligarchi vicini al Cremlino, puntando in particolare proprio su Vladimir Putin.
Invita nel 2011 i cittadini russi a votare “per qualsiasi partito, contro Russia Unita”, il movimento dello “Zar”. Si espone poi in prima persona nel 2013 candidandosi a sindaco di Mosca: ottiene il 27,24% dei voti contro il 51,37% del sindaco ad interim uscente Sergej Sobjanin, ma non riconosce la sua vittoria denunciando brogli.
Si schiera contro il regime di Putin anche nel 2014, quando Mosca annette la Crimea. Nel 2016 annuncia la sua candidatura alle presidenziali, ma viene escluso per la sua condanna per appropriazione indebita per il caso Yves Rocher.
Per le vecchie posizioni xenofobe Amnesty ritira nel febbraio 2021 la sua designazione a “prigioniero di coscienza”, poi ripristinata nel maggio dello stesso perché quel ritiro era stato utilizzato come pretesto dal Governo della Federazione Russa per violare ulteriormente i suoi diritti.