Leggi elettorali e democrazia
Legge elettorale proporzionale per uscire dalla crisi della politica e delle istituzioni
La strada delle “leggi truffa”, che danno la maggioranza a chi è minoranza, ha alimentato la crisi della politica che si è fatta crisi delle istituzioni. La storia ci viene in aiuto
Editoriali - di Franco Corleone
Non rinnego le ragioni della campagna che, su impulso di Marco Pannella, mi videro partecipe della Lega per l’uninominale e che portò al successo del referendum e all’approvazione della legge chiamata Mattarellum.
Va anche detto che essa diede buona prova e che sarebbero bastati pochi correttivi (come l’eliminazione delle “liste civetta”) per continuare a usare una legge equilibrata, che garantiva il confronto tra coalizioni con programmi per il governo del Paese e il diritto di tribuna.
Invece, fu scelta la strada delle “leggi truffa” per dare la maggioranza a chi era minoranza sulla base della vulgata maggioritaria e della governabilità. Questa via di scelte strumentali per gli interessi neppure più dei partiti, ma di gruppi di potere, ha alimentato la crisi della politica e della partecipazione elettorale. La crisi è ormai manifestamente crisi della democrazia e delle istituzioni.
Nessuno ha avuto la forza e la responsabilità di fermare la deriva demagogica. Così, dal taglio maldestro dei vitalizi si è passati direttamente al taglio dei parlamentari, senza un confronto serio sul ruolo del Parlamento e sulla difesa delle sue prerogative. Nessuna riflessione è stata elaborata sul fatto che, contemporaneamente, in Germania, grazie a una ottima legge elettorale che mette insieme scelta proporzionale e uninominale, il numero dei componenti del Bundestag è addirittura aumentato.
Lo strangolamento irresponsabile della Bicamerale, compiuto da Silvio Berlusconi, è stato archiviato troppo superficialmente senza valutare che si trattava di una occasione unica e irripetibile di una riforma istituzionale incisiva. Per non dire che sulla giustizia proponeva cambiamenti essenziali e coerenti.
Giorgia Meloni parla a sproposito di riforma epocale attraverso l’elezione diretta del premier enfatizzando il potere del popolo di scegliere chi deve governare il Paese, riconfermando l’elezione contestuale del Parlamento accreditando il primo partito o coalizione del 55% dei seggi senza neppure una soglia minima di voti.
Il tentativo, forse impossibile, di una rigenerazione può avvenire, oggi, solo con una legge elettorale proporzionale. Siamo in un deserto senza visioni di futuro. Per questo occorrerebbe il coraggio di fare tabula rasa delle finzioni e obbligare i soggetti politici a presentarsi da soli con un volto e un progetto, con la propria storia (se esiste), senza infingimenti, trucchi e belletti e lasciando così i cittadini liberi nel decidere e ritrovare il senso della democrazia.
Anche in questo caso la storia ci può aiutare. Piero Gobetti, giovane fondatore e direttore di Energie Nove, il 3 luglio del 1919 scriveva un puntuale e ricco articolo sull’Unità, la rivista di Salvemini, con il titolo “Verso la proporzionale”.
Il tono è secco. “La riforma elettorale, ormai, è in cammino. La campagna che L’Unità ebbe il merito di sferrare nella primavera del 1918, continuandola con decisione e testardaggine, non è stata vana, né tra le nostre classi dirigenti, né nel popolo. Il successo non è mancato, perché L’Unità ha intuito in tempo che la riforma era matura. Ma non illudiamoci. Di maturo, ahimè, c’era essenzialmente uno stato d’animo negativo: il disgusto pel collegio uninominale. L’Unità ha approfittato di questo disgusto per suscitare ovunque la volontà attiva di farla finita col vecchio sistema: e siamo giunti al risultato che il paese, energicamente, decisamente, non vuol più saperne del collegio uninominale, e vuole un sistema di rappresentanza che gli permetta di manifestare più liberamente e più sinceramente la propria volontà”.
Nonostante i timori di Gobetti di manovre dilatorie o opportuniste, la nuova legge fu approvata il 15 agosto e le elezioni svolsero nel novembre con un successo notevole dei socialisti e dei popolari. I fascisti di Mussolini ottennero una percentuale irrisoria, ma le forze democratiche mostrarono un’incredibile incapacità e aprirono la strada all’avventura totalitaria.
Gobetti temeva che fare le elezioni con la legge elettorale allora vigente avrebbe significato preparare una rivoluzione antiparlamentare. La conclusione di Gobetti vale anche oggi: “Le leggi elettorali non sono eterne: questa, che passerà nei prossimi mesi, la riformeremo l’anno venturo se l’esperienza ne dimostrerà la necessità; la integreremo con altri provvedimenti più radicali, via via che questi saranno riusciti ad assumere forme concrete ed abbiano raccolto un consenso abbastanza largo. A chaque jour suffit sa peine. Oggi sfondiamo questa porta. Sfondata questa, ci sarà più facile spalancare le altre”.
Gobetti in altri articoli si mostrava esperto e padrone della tecnica delle leggi elettorali, del sistema del panachage e del metodo D’Hondt.
Sempre nel 1919, il 10 aprile, scriveva un articolo su La Risposta, rivista di Torino diretta da Terenzio Grandi, esponente repubblicano, intitolato Educazione politica.
Molto suggestivo il richiamo alla serietà, “Non creiamo il mito dell’onestà. Per noi uomo onesto in politica è colui che ha delle idee a cui crede e sulle quali non transige, che ha studiato e studia liberamente e spregiudicatamente i problemi pratici” (interessante la consonanza con Benedetto Croce). L’accusa ai partiti di essere diventati campo di private contese e di ambizionucce e vuoti di senso concreto e responsabili di espressione di pura fraseologia è tremendamente attuale.
Il 1° febbraio 1925 Rivoluzione Liberale dedicherà l’intero numero alla difesa storica della proporzionale con un titolo eloquente “Commemorazione della proporzionale”. Gobetti dopo avere analizzato il significato del collegio uninominale (un sistema ideale in un paese come l’Inghilterra), degenerato in Italia in una pratica di politicantismo parassitario, spiega come dopo il tormento della guerra la scelta proporzionale avrebbe spinto alla serietà etica e politica.
“La democrazia trovava la sua atmosfera liberale: la proporzionale obbliga gli individui a battersi per un’idea, vuole che gli interessi si organizzino, che l’economia sia elaborata dalla politica. Uno dei più forti segni di disgregamento nel dopoguerra non fu la lotta di classe, ma il pericolo che le classi si spezzassero egoisticamente in categorie; che gli interessi vincessero le idee, che il corporativismo si sostituisse ai costumi di lotta sindacale.
Il fascismo dovette sconvolgere, per vincere, i risultati di due esperimenti proporzionalisti e oppose all’esercito degli elettori bande di schiavi ignari dei diritti politici. Il loro istinto di padroni guida assai precisamente i fascisti nella lotta contro la proporzionale. Ora, codesti padroni sono tanto più curiosi in quanto ci vogliono presentare i loro stratagemmi di volgare restaurazione come scoperte futuriste.
La critica alla proporzionale, perché non rende possibile un governo di maggioranza, è futurista proprio come le scoperte marinettiane di forme d’arte alessandrine. L’importanza dell’opera moralizzatrice della proporzionale si riconobbe negli esperimenti italiani, nella sua attitudine a liquidare i governi di maggioranza. Dove prevale senza incertezze una maggioranza si ha nient’altro che un’oligarchia larvata.
La vita moderna si nutre di antitesi e di contrasti non riducibili a schemi; i blocchi e le concentrazioni sono il sistema del semplicismo in cerca di unanimità; la logica della vita politica si riposa nella varietà e nel dissenso, il governo ne sorge per un processo dialettico diversamente atteggiato a seconda delle diverse azioni di tutti i partiti. La proporzionale è riuscita a creare le condizioni di vita per un governo di coalizione (valorizzato dall’influenza dei partiti che vi collaborano anche quando si contrastano).
In quel periodo torbido e difficile, mentre la proporzionale aiutò con chiarezza i governi a salvare il paese, ci fu dato il primo esempio della capacità degli italiani a vivere in un regime di democrazia moderna: fuori di quell’esperimento non ci rimase altra alternativa che il medioevo di Mussolini”.
Purtroppo, gli errori delle forze democratiche aprirono le porte alla approvazione della legge elettorale Acerbo, ipermaggioritaria, all’assassinio di Giacomo Matteotti e infine alla chiusura del Parlamento con l’avvento della Camera dei fasci e delle corporazioni.
L’intransigenza di Gobetti dovrebbe esserci di monito almeno per concordare sul fatto che non si può continuare a votare con il cosiddetto Rosatellum o con una ancora peggiore simile a quella di cento anni fa. Scherzare con il fuoco, tra scenari di guerra e tensioni sociali, è da irresponsabili.