Il 9 ottobre 1982
Attentato alla Sinagoga di Roma, il governo sapeva
Cinquanta feriti e un bambino di appena due anni morto, Stefano Gay Taché. A Roma nessuno l’ha dimenticata quella giornata.
Era la mattina del 9 ottobre del 1982. Mancava un quarto d’ora a mezzogiorno. Era sabato. Dalla Sinagoga di Roma, sul Lungotevere, a due passi dal Ponte Garibaldi, stavano uscendo alla spicciolata gli ebrei romani che avevano partecipato alla cerimonia religiosa.
Passò un’auto, scesero due terroristi e spararono a mitraglia. Cinquanta feriti e un bambino di appena due anni morto, Stefano Gay Taché. A Roma nessuno l’ha dimenticata quella giornata. Nel discorso di Bruno Zevi che pubblichiamo si accenna a qualcosa che poi, nel tempo, è stata accertata. E cioè le responsabilità del governo.
Un anno fa “Il Riformista” pubblicò una inchiesta di Giordana Terracina dalla quale risulta – carte alla mano – che il governo era stato avvertito che si preparavano attentati contro le sinagoghe e che la sinagoga di Roma era un obiettivo. E non fece nulla per proteggerla.
Zevi polemizzò direttamente, senza nominarli, col Presidente del Consiglio e con il ministro degli Interni. Il presidente era il repubblicano Giovanni Spadolini, che tra l’altro è stato sempre considerato molto amico di Israele. Il ministro era Virginio Rognoni, esponente di spicco della sinistra democristiana.