Il caso Cospito
Storia della caccia al fantasma anarchico
Nel libro di Mario Di Vito “La pista anarchica, dai pacchi bomba al caso Cospito” il racconto di trent’anni di inchieste
Giustizia - di Frank Cimini
Per merito del lungo sciopero della fame contro il 41 bis di Alfredo Cospito siamo tutti tornati per diversi mesi a parlare di anarchici, come non accadeva dai tempi dell’inchiesta su piazza Fontana.
Ne scrive Mario Di Vito in “La pista anarchica, dai pacchi bomba al caso Cospito”, 166 pagine, 18 euro, Edizioni La Terza. Di Vito non è un anarchico anche se racconta di conoscerne molti, fa il giornalista al Manifesto dove si occupa di cronaca e politica giudiziaria, con spirito critico nei confronti della magistratura, a differenza della stragrande maggioranza dei cronisti.
Il libro racconta gli anarchici degli ultimi 30 anni a partire dai pacchi bomba del 1990 per poi illustrare la caterva di inchieste che si sono succedute e dove molto spesso l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo non ha trovato riscontri, a volte addirittura cassata in sede di riesame.
Di Cospito si parla a lungo spiegando che a differenza, per esempio, di Valpreda il quale affermava la sua innocenza, l’anarchico abruzzese poi trasferitosi in Piemonte rivendica di essere un terrorista. Non è un assassino, aveva ferito il manager Roberto Adinolfi rimediando la condanna a 9 anni e 5 mesi.
Poi i pacchi bomba di Fossano che non provocarono morti o feriti ma che sono costati la condanna a 23 anni dopo aver rischiato di prendere l’ergastolo per strage politica un’accusa non contestata neanche ai responsabili delle uccisioni di Falcone e Borsellino.
La battaglia contro il 41bis il motto di Cospito “non per me ma per gli altri innanzitutto anziani e malati”. Scrive Di Vito: “Un anarchico insurrezionalista, un bombarolo, uno che di solito si esprime soltanto per minacciare i suoi nemici si sta trasformando in un difensore dell’ordine costituzionale del paese. E per farlo umilia Nordio”.
Nordio infatti prima di fare il ministro aveva sostenuto che il 41bis era incivile. Poi arrivato in via Arenula si è ben guardato dal revocare l’articolo del carcere più duro firmato nel maggio del 2022 da Marta Cartabia.
Poi fuori a lottare sono rimasti solo gli anarchici. Il caso ha finito di offrire spunti ai giornalisti e con un gioco di parole rispunta solo quando i partiti, tra l’altro tutti favorevoli al 41bis, litigano tra loro, come è successo per il caso del sottosegretario Andrea Delmastro, un politico che al di là delle ipotizzate responsabilità penali è abbonato alle gaffe e agli autogol.
Nel 2003 arriva a casa di Romano Prodi allora capo della commissione europea un pacco con dentro una copia del Piacere di Gabriele D’Annunzio, da dove parte una fiammata. Attentato rivendicato dalla Federazione Anarchica Informale. Di Vito racconta che da allora la vicenda impegnerà le procure di mezza Italia per indagare sulla battaglia contro lo Stato e il capitale.
A condurla poche decine di persone che nemmeno si conoscono tra loro. “Venti anni di piste e vicoli ciechi alla ricerca di un fantasma, il fantasma dell’anarchia vendicatrice” sintetizza l’autore.
Durante le manifestazioni a favore di Cospito decine di anarchici sono stati denunciati per reati di piazza inducendo le destre e i sindacati di polizia a varare, come in realtà tentano di fare da tempo, il reato di terrorismo di piazza. Sono gli stessi refrattari (eufemismo) a dotare i poliziotti di un numero identificativo.
Il lavoro di Mario Di Vito è utile, anche a chi non ne condivide contenuti e idee, per capire come funziona la democratura italiana. E serve per continuare a parlare e a denunciare la tortura del 41bis che però non è nato con le stragi mafia.
Si tratta infatti semplicemente della continuazione dell’articolo 90 introdotto ai tempi della madre di tutte le emergenze e mai revocato per annientare l’identità dei detenuti politici oltre ad attaccarli fisicamente e psicologicamente.
Oggi oltre a Cospito il 41bis viene applicato ad altri tre detenuti politici Marco Mezzasalma, Roberto Morandi e Nadia Lioce. Tutti ex militanti delle Brigate Rosse che non esistono più da oltre 20 anni.