Caccia allo straniero/5

Il ‘modello ucraino’ dimostra che accogliere profughi si può

4,5 mln arrivati in Europa nelle prime sei settimane di guerra. Oggi sono più di 8 mln, 175mila in Italia. Accoglienza diffusa, donazioni, contributo della società civile, bonus e niente percorsi a ostacoli burocratici. Perché non farlo anche con rifugiati e richiedenti asilo di altre nazionalità?

Cronaca - di Mario Marazziti

12 Dicembre 2023 alle 14:30 - Ultimo agg. 19 Dicembre 2023 alle 12:24

Condividi l'articolo

Il ‘modello ucraino’ dimostra che accogliere profughi si può

Fine anno, tempo di bilanci e di cercare davvero soluzioni per le migrazioni. Breve riassunto del ragionamento che è arrivato fin qui. Non è un’emergenza ma sono un fatto strutturale epocale. Non è un’invasione. E non lo dice chi scrive ma la realtà.

Da 60 milioni nel 2014 a 90 milioni fino a febbraio 2022, 114 milioni oggi, con la guerra in Ucraina, in Sudan e altre crisi. Più del 90 per cento si fermano nei paesi vicini, quasi tutti del secondo e terzo mondo, Etiopia, Uganda, Bangladesh, anche poverissimi. In Libano ogni due abitanti c’è in più un profugo palestinese o siriano, due milioni.

Mettiamoci gli occhiali libanesi e le migrazioni forzate appariranno sotto altra luce. Meno paura. Da problema a Grande Occasione. I 157.000 arrivati in Italia quest’anno si avvicinano ai 170.000 del 2013-2014. Quando scattò l’operazione “Mare Nostrum”: all’epoca si salvavano vite umane.

Siamo a piccoli numeri. Sicuramente inferiori addirittura al fabbisogno annuale di immigrati per lavoro, e per un lieve riequilibrio del saldo della popolazione, in inverno demografico irreversibile, con spopolamento delle aree interne e contrazione della capacità di competere sui mercati mondiali, e di sostenere il welfare che abbiamo per riduzione strutturale delle entrate: meno sanità, meno istruzione, meno servizi, meno diritti uguali per tutti, anche tra gli italiani.

L’ossessione identitaria è quello che è, una ossessione, e brucia le risorse pubbliche per mandare via invece che per integrare che è l’unica via per maggiore sicurezza e per lo sviluppo. Ultimo esempio: se l’operazione “Albania italiana” per fare un campo di identificazione/espulsione costerà 120 milioni e non di più, perché tanti sono i costi non quantificati, oltre che gli strani meccanismi che innescherà, verosimilmente sarà un costo per immigrato, se si calcolano 1000 persone, di 120 mila euro per ognuno.

Per buttare fuori anziché per formare, integrare, e regalati a “non italiani”: non fanno neanche PIL. In un paese in cui già mancano infermieri e medici, per esempio, usarne un po’ per la riqualificazione degli immigrati già presenti con il titolo di studio, o per altri e per altre mansioni altrettanto necessarie, apparirebbe quantomeno sensato.

Ma si usano per buttare via, non per valorizzare. E non si usano per i giovani italiani, per fare uscire dalla povertà, per fare studiare e creare futuro invece di marginalità. L’ossessione identitaria è autolesionista e produce spreco, anche umano. Proviamo a concordare una “moratoria” per cercare le soluzioni reali. Ci sono già dei modelli. Emergono se alterniamo gli occhiali libanesi con quelli ucraini. Invece delle lenti oscurate dal sovranismo.

Per un po’ siamo diventati, giustamente, tutti ucraini, a ritmo accelerato, dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022. La fotografia delle prime sei settimane di guerra raccontava già di 4,5 milioni di profughi arrivati in Europa a un ritmo di centomila al giorno. A maggio erano già più di 5 milioni in Europa e 112.000 in Italia.

Adesso sono più di 8 milioni e 175.001 in Italia. In Germania e Repubblica Ceca più di 500.000, più di 3 milioni in Polonia. Da noi solo una minoranza nei CAS, gestiti dalle Prefetture, e nei SAI, gestiti dagli enti locali, lo 0,5 per cento del totale. Già nei primi mesi il 57 per cento era in abitazioni private.

Almeno un terzo dell’ospitalità in Italia – anche sostenuta dallo Stato – avviene in famiglia, famiglie di italiani, abitazioni messe a disposizione, famiglie o case con una persona di nazionalità ucraina già residente, case affittate dagli ucraini. Il modello è quello dell’accoglienza diffusa, abitazioni autonome e, quando serve, contributo pubblico di sostentamento.

Che sia un modello di successo lo indica la rapidità con cui è stato messo in piedi, il coinvolgimento della società civile, la rapidità dell’inserimento sciale. Anche se, dopo quasi due anni, le donazioni private, ovviamente, si sono contratte. Punti di forza: il contributo non tanto finanziario ma reale della società civile, la non burocratizzazione, l’assenza di percorsi amministrativi a ostacoli, le reti già esistenti o attivate per i profughi.

Può essere l’embrione, il paradigma per un ripensamento globale del sistema di accoglienza per tutti, in Italia e in Europa, per una maggiore efficacia e capacità di integrazione, assieme a una seconda strada, quella sottostante al modello dei Corridoi Umanitari, fondata sull’istituto giuridico riconosciuto a livello internazionale della sponsorship: ingressi sicuri, comunità, associazioni, singoli, imprenditori, amministrazioni coinvolti prima dell’arrivo, accompagnamento personalizzato, integrazione, competenza linguistica, riqualificazione, incontro ravvicinato con il mercato del lavoro in maniera non anonima, sicurezza, inserimento nel tessuto sociale e rinascita delle comunità locali con valorizzazione della società civile.

Ma torniamo al modello ucraino, che contiene una ulteriore conferma del fatto che quando si dice che gli arrivi “sono troppi” è un falso argomento. All’origine c’è la decisione, inedita, del Consiglio europeo di applicare per la prima volta la Direttiva 55 del 2001 contenente le “norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi”: era stata pensata per i Balcani dopo la Caduta del Muro di Berlino.

Ma non era mai utilizzata collettivamente neanche a fronte dei massicci afflussi delle “primavere arabe”, dall’Iraq, dall’Afghanistan e dai conflitti e spostamenti di popolazioni degli ultimi venti anni. E nemmeno per l’onda lunga dei profughi siriani. È una direttiva che nasce dall’esperienza italiana di accoglienza straordinaria degli albanesi, dopo la caduta del regime di Enver Hoxha: il 9 febbraio 1991 si erano ammassate al porto di Durazzo 10 mila persone con la speranza di una vita diversa in Italia. Il 7 marzo 1991, a ondate, nel porto di Brindisi erano arrivati i primi 27mila albanesi.

Questa è “identità italiana”, che sanava alcune delle ferite dell’invasione fascista della Grecia e della guerra combattuta in Albania. È stato così disposto l’“asilo temporaneo” per rispondere all’afflusso di sfollati provenienti dall’Ucraina attivando l’articolo 6 della Direttiva, che prevede una protezione temporanea nell’Unione per un anno dall’ingresso e rinnovabile per altri due – uno status simile a quello di rifugiato – in qualunque paese dell’UE: libertà di ingresso e libertà di movimento tra un paese e l’altro dell’Unione, con inizio immediato della tutela dei diritti, dell’accesso al welfare e alla cornice di diritti prevista per i cittadini europei, inclusi scuola, lavoro, sanità, libera circolazione.

E un’immediata azione proattiva di assistenza da parte dei singoli stati. L’attivazione di un meccanismo unanime di solidarietà è una grande notizia e un precedente dirimente: L’Europa è tornata ad essere Europa e l’Italia Italia. Basterebbe ricordarsi che la solidarietà non può che essere circolare e ampia. Altrimenti, se è selettiva o a senso unico, diventa un furto, una sottrazione verso altri. C’è un diritto alla protezione internazionale che è un diritto umano.

I diritti umani sarebbero, sono indivisibili. Altrimenti i diritti per gli uni diventano subito i diritti negati e il Grande Torto per gli altri. Che si è fatto per gli ucraini profughi fuori dal paese, con un impegno infinitamente più piccolo delle immense risorse in armi che finora hanno prodotto sfollati e una guerra congelata, letteralmente, distruggendo parti sempre più ampie del Paese e della speranza dei suoi abitanti, crescenti a ogni giorno di guerra, che appare sempre più inverosimile “vincere”?

Si è evitato l’esame individuale delle domande di asilo e sono stati attivati immediatamente l’assistenza medica e sociale, il diritto al lavoro e all’istruzione, e contributi pubblici anti-povertà, per il sostentamento. In molti casi le amministrazioni e i governi hanno fatto a gara nell’offerta di altri benefici, a sostegno della possibilità di movimento, includendo trasporti cittadini e treni, un bonus-speranza e di inclusione.

Il resto l’hanno fatto una mobilitazione straordinaria di generosità popolare, una campagna-paese per canalizzare le offerte e le donazioni guidata dall’intero sistema di media pubblici e privati, le reti già esistenti di cittadini ucraini nei vari paesi e i loro ambienti di lavoro, le famiglie e molte persone anziane che hanno conosciuto da vicino la qualità e i servizi di tante donne ucraine ormai radicate nel tessuto sociale.

Il tutto integrato, quando necessario, da risorse logistiche ed economiche private o pubbliche. Questo ha permesso di attivare e rendere disponibile, in continua crescita, una rete di abitazioni e una ospitalità non precaria e massificata, riducendo drasticamente il transito o la permanenza prolungata in strutture collettive, centri di raccolta, campi, caserme riadattate, come è accaduto invece per i profughi siriani, nel decennio che si è appena concluso.

Perché questo non può accadere – anche con meno “benefits” – verso profughi e richiedenti asilo di altre nazionalità, con un investimento-paese che inizi da un cambiamento della narrazione e in questo modo liberi risorse umane, sociali, culturali, economiche esistenti nella società civile, anche senza aggravi – ma solo con vantaggi – per lo stato e per il sistema-paese?

Di nuovo, perché spendere tanti soldi per buttarli via, invece che per tornare noi tutti a essere italiani “veri”, creativi e, perché no?, con un po’ di anima e di memoria di chi siamo?

(fine quinta puntata – continua)

12 Dicembre 2023

Condividi l'articolo