Domanda e offerta in crisi
Perché in Italia i giovani non trovano lavoro: cosa è il ‘mismatch’
Si chiama “mismatch”, ovvero discrepanza tra competenze richieste dalle imprese e competenze acquisite negli studi. E ci costa caro: quasi 40 miliardi e migliaia di fughe all’estero. Perché succede?
Editoriali - di Cesare Damiano
“Non so con chi adesso sei, non so che cosa fai, ma so di certo a cosa stai pensando. È troppo grande la città, per due che come noi, non sperano però si stan cercando… cercando…”. I versi di E penso a te, la canzone sfornata nel 1970 dal duo Mogol-Battisti, rappresentano metaforicamente quel che succede nel mercato del lavoro in Italia.
Vale a dire una relazione che non si realizza tra due personaggi che si cercano senza potersi trovare. Insomma, la poetica figura dell’amore impossibile e il molto prosaico problema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Assurdo? Sì. Reale? Eccome. Soprattutto, a quanto pare, sul lato offerta.
Il termine inglese “mismatch” rappresenta uno degli incubi del mercato del lavoro di questo tempo. In sostanza, in certe aree c’è una forte “discrepanza” – uno dei molti modi con i quali si può tradurre quel lemma della lingua inglese – tra la ricerca delle aziende e la disponibilità di figure professionali adeguate.
In risposta alle rivoluzioni dell’innovazione digitale e ambientale, che rappresentano i principali filoni della politica industriale europea, le imprese italiane faticano a trovare figure professionali giovani, caratterizzate da forti competenze tecnologiche. E ciò nonostante il fatto che, nel 2023, il numero delle assunzioni cresca di oltre il 6% rispetto all’anno precedente.
Sul tema, molti elementi informativi interessanti sono reperibili nel Report “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2023-2027). Scenari per l’orientamento e la programmazione della formazione”, pubblicato da Unioncamere, Anpal e Sistema Informativo Excelsior. Excelsior fornisce previsioni sul fabbisogno occupazionale a medio termine utilizzando un modello econometrico multisettoriale e con un approccio analogo a quello seguito, a livello dell’Unione Europea, dal Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale.
Non entreremo nelle previsioni di incremento dello stock occupazionale contenute nel Rapporto, che sono esposte alle variazioni della crescita economica che si verificherà nel prossimo periodo e che saranno quindi influenzate dall’ altalenante andamento dell’economia. Ci soffermeremo, invece, sulle tendenze nell’ambito delle quali si verifica il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
In particolare, per quanto riguarda i trend occupazionali, è previsto che si indirizzeranno verso tre tendenze principali: quella demografica, che si esprime nelle attività legate alla Sanità e alla cura della persona, anche in relazione all’invecchiamento; quella della digitalizzazione, con il forte impulso che si propaga ai settori ad alta intensità tecnologica; infine, la transizione verde, elemento portante dei finanziamenti del Pnrr, l’importanza della quale è cresciuta in conseguenza della guerra in Ucraina che ha dimostrato la fragilità dell’economia europea vincolata alle fonti energetiche fossili.
Il rapporto nota anche che “per i settori e le filiere tipiche del made in Italy si prevede una crescita più contenuta, per l’effetto particolarmente rilevante della situazione congiunturale sia in termini di crescita dei prezzi, che in termini di incertezze del quadro geopolitico internazionale”. Dunque, rischiano di scivolare i punti fermi, le tradizionali eccellenze del nostro tessuto produttivo, mentre l’innovazione diventa un fattore sempre più critico e determinante per lo sviluppo.
In questo modo si manifesta un forte fabbisogno di addetti a professioni ad alto contenuto tecnico-scientifico, compresi in filiere settoriali che saranno tra le più coinvolte negli investimenti legati al Pnrr e un allarme per la difficoltà di reperirli. Insomma, quel forte mismatch tra domanda e offerta che molto preoccupa sia le imprese italiane quanto alcuni settori pubblici.
Di quali figure professionali parliamo? “Professioni cruciali per gli avanzamenti nei processi di innovazione tecnologica e transizione digitale”, indica il Rapporto, come “specialisti in scienze matematiche e informatiche, i tecnici ICT, gli ingegneri e i tecnici in campo ingegneristico che saranno richiesti sia dai servizi di consulenza alle imprese sia dalla filiera della meccatronica e robotica”.
“Ma anche altre figure tipiche di settori che risentiranno della crescita indotta dai fondi europei, come operai specializzati nelle costruzioni e gli addetti nelle attività di ristorazione”. Oltre a queste professionalità “medici, infermieri, fisioterapisti, professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali, che saranno richiesti, come già sottolineato, anche per la riorganizzazione e implementazione della rete di assistenza sanitaria territoriale, tra gli obiettivi della missione ‘Salute’ del Pnrr”.
Per il 2022, lo squilibrio domanda-offerta è stato pari al 40%: le imprese hanno dichiarato difficoltà nella ricerca di lavoratori in 4 casi su 10. In particolare, nella ricerca di personale nell’Ict (nel 52% dei casi), nelle costruzioni e infrastrutture (51%), nella meccatronica, ottica e robotica (49%), cui seguono con valori sopra la media “moda, legno e arredo” (47%), “salute” e le “altre filiere industriali” (46%).
E va ricordato che, per due terzi, il fabbisogno occupazionale di medio periodo è rappresentato dalla componente di sostituzione per il naturale turnover: quindi, è necessario considerare anche i trend demografici per poter valutare adeguatamente il rischio di mismatch.
E qual è la capacità del sistema dell’istruzione e della formazione di rispondere alla richiesta del mercato del lavoro?
Su questo, il Rapporto spiega che “dal confronto con l’offerta formativa prevista, emerge un eccesso di offerta di oltre 50mila neo-diplomati liceali all’anno che cercheranno lavoro. Ciò riguarda, in particolare, i diplomati degli indirizzi classico, scientifico e delle scienze umane. Invece, al contrario, la platea di giovani che usciranno da un percorso di formazione tecnico-professionale e si affacceranno positivamente sul mercato del lavoro del nostro Paese nel periodo 2023-2027 sarà composta da circa un milione e centomila unità”.
Questi nuovi lavoratori, che compongono l’offerta da confrontare con il fabbisogno delle imprese e delle pubbliche amministrazioni, segnala un forte squilibrio, “in quanto si stima che l’offerta formativa complessiva potrebbe riuscire a soddisfare solo il 60% della domanda potenziale nel prossimo quinquennio”.
“Nello specifico – stima lo studio Unioncamere-Anpal -, in termini di rapporto tra domanda e offerta, si osservano i mismatch più critici per gli ambiti di studio della formazione tecnico-professionale relativi a trasporti e logistica, costruzioni, sistema moda e meccatronica, meccanica ed energia, per cui si prevede che tra il 2023 e il 2027 l’offerta potrebbe coprire meno di un terzo della domanda potenziale. L’offerta stimata risulta insufficiente anche negli altri indirizzi della formazione tecnico-professionale: nel prossimo quinquennio potrebbero mancare 43mila lavoratori all’anno con un diploma tecnico o un titolo IeFP (istruzione e formazione professionale) in amministrazione, finanza, marketing e servizi di vendita, 9mila negli indirizzi socio-sanitario e nel benessere, 7mila nel turismo e nella ristorazione.”
La gravità per il Sistema-Paese di queste discrepanze è enorme. “Se tra le conseguenze di questo disallineamento – spiega il Rapporto – tra competenze e preparazione (skill gap) e la mancanza di candidati (shortage gap), vi sono evidenti tensioni di tipo sociale dovute al crescente divario tra la preparazione effettiva e le skill richieste per i posti di lavoro resi disponibili da un mercato del lavoro in continua trasformazione, non meno importate è la valutazione di quanto questo fenomeno incida in termini economici.”
Dunque, si “stima un costo a causa del disallineamento domanda-offerta di lavoro pari a 37,7 miliardi di euro, evidenziando un progressivo e proporzionale aumento dei costi per i settori più legati alla stagionalità e con un elevato grado di turnover, per i quali una tempistica di inserimento ritardata ha un impatto piuttosto rilevante”.
Insomma, l’incontro impossibile – o, perlomeno, molto difficile – tra imprese e giovani qualificati è diventato un problema di primo rilevo per il tessuto produttivo di questo Paese. “Sono al buio e penso a te…” mormora, sconsolata, l’impresa italiana.
E non bastano certo i dati quantitativi di crescita occupazionale, troppo spesso sbandierati dal Governo a prescindere da una loro accurata valutazione qualitativa, a consolarci a fronte di questa significativa discrepanza tra domanda e offerta di lavoro. Inoltre, non possiamo separare il tema del mercato del lavoro da quello del salario.
È risaputo che le retribuzioni dei lavoratori italiani sono, in molta parte, di basso profilo. In altre occasioni, da queste colonne abbiamo esaminato le cause che hanno determinato questa situazione. Adesso bisogna proporre i rimedi. Il Governo deve farsene carico perché questo stato di cose è anche la causa della migrazione di molti nostri giovani, laureati e formati grazie alle risorse della famiglia e della collettività.
Una continua emorragia è una grande perdita per il Paese. A nostro avviso, per il salario, bisogna muoversi in tre direzioni: attribuire un premio fiscale alle parti sociali che stipulano i contratti di lavoro alla loro scadenza naturale: deve finire lo scandalo di contratto rinnovati con anni di ritardo, che contribuiscono a indebolire il potere d’acquisto delle retribuzioni.
Bisogna rendere strutturale la diminuzione del cuneo fiscale. Occorre adottare il salario minimo, a partire dai lavoratori che non hanno un contratto di lavoro di riferimento. Al di sopra di tutti questi argomenti si fa sentire il monito di Sergio Mattarella: “La Costituzione fondata sul lavoro non propone il lavoro come merce…“ Meditate, gente, meditate.