L'arresto di Martina Gentile
Perché è stata arrestata la figlia dell’amante di Messina Denaro: giudicate i fatti, non i sentimenti
Nulla da dire sulle esigenze cautelari che hanno portato all’arresto della figlia dell’amante di Messina Denaro. Ma che impressione quelle note moraleggianti a contorno del provvedimento restrittivo...
Giustizia - di Iuri Maria Prado
Fa già abbastanza strano dover discutere dell’arresto (prima del processo) della figlia dell’amante di un deceduto: una specie di catena di Sant’Antimafia. E per carità, saranno sicuramente fondate le esigenze cautelari che hanno ristretto la libertà di questa Martina Gentile, appunto la figlia di Laura Bonafede, l’una e l’altra indagate per non so più quale illecito favoreggiamento del boss Matteo Messina Denaro morto un anno fa.
Ma fa proprio impressione leggere le note di giustizia poste a contorno del provvedimento restrittivo: in buona sostanza – e al di là, si ripete, di necessità cautelari che non vogliamo mettere in dubbio – si tratta di una stupefacente ricognizione psicologico-moraleggiante sul portamento affettivo della donna, sul fatto che ella manifestasse “pieno apprezzamento per la personalità del latitante” e, culmine dell’ignominia, “addirittura un affetto quasi filiale” per un criminale tanto spietato.
Non che siano una novità certe requisitorie indugianti sul profilo eticamente riprovevole dell’indagato, ma è sempre allarmante assistere alla pretesa del potere pubblico di voler fare giustizia sulle amicizie sbagliate e sulle propensioni sentimentali di chicchessia. Di questa signora si legge che dalle sue lettere e dai suoi comportamenti “traspariva nitidamente una vera e propria venerazione per Messina Denaro”.
E ci sta che sia spiacevole, ci sta che per alcuni, per molti o anche per tutti sia una brutta cosa venerare il responsabile di crimini indiscutibilmente orrendi: ma non è un delitto, ci pare, e soprattutto non è – o almeno non dovrebbe essere – materia di sostegno dell’imputazione.
Ma si va anche oltre, nello sfruculiare la moralità dell’arrestata: sulla scorta dell’ulteriore addebito di mafiosità, per così dire, fisico-biologica (è “profondamente intrisa dei disvalori mafiosi”), se ne perlustrano le attitudini materne e si scopre che sono anch’esse corrotte, tanto che questa madre snaturata vorrebbe “trasferire i suoi malsani ideali persino alla figlia”.
Una bambina di tre anni che evidentemente meriterebbe di essere educata al catechismo delle procure della Repubblica, una buona dottrina giurisdizional-democratica che sappia insegnare a quella creatura, prima che sia troppo tardi, che è figlia di una mamma cattiva e di una nonna cattiva, l’una e l’altra da ripudiare perché volevano bene a un uomo cattivo.
Arrestarla, se è indispensabile: va bene. Processarla, se esistono le condizioni per farlo: va bene. Condannarla, se merita condanna: va bene.
Ma in nome di che cosa e con quale diritto lo Stato si fa inquirente e giudice degli affetti di una persona, e dei “valori” che essa intende trasmettere alla prole? E il prossimo passo qual è?
Mettiamo un pubblico ministero a vigilare sulle pulsioni amorose dei cittadini? Mettiamo i magistrati a controllare che le donne non si appartino coi mafiosi, vedi mai che poi si affezionano? Li sterilizziamo tutti, così non c’è caso che generino altra malacarne? Oppure un bel programma di eugenetica antimafia, così estirpiamo dalla fibra italiana quel vizio connaturato e non se ne parla più.