La guerra in Medioriente
Intervista a Laura Boldrini: “Fermate Netanyahu, questa è una guerra ai palestinesi”
L'ex presidente della Camera: «Non ho mai visto tanti morti civili in così poco tempo. Meloni, che ha così buoni rapporti col premier israeliano, si impegni a convincerlo a un cessate il fuoco»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Le sue considerazioni sulla guerra e le tragedie umanitarie, come quella che si sta consumando a Gaza, sono il portato di una storia personale che l’ha vista sui teatri più esplosivi del pianeta, prima nella sua venticinquennale esperienza nelle Agenzie delle Nazioni Unite, e successivamente nell’impegno politico-parlamentare che l’ha portata ad essere Presidente della Camera dei Deputati e oggi Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. La parola a Laura Boldrini.
La tregua è finita. A Gaza si è tornato a combattere. E a morire.
In 25 anni di lavoro nelle agenzie dell’Onu, spesso in missione nei teatri di guerra, non ho mai visto tanti morti civili in così poco tempo, in risposta ad un attacco terroristico. Gaza, quasi, non c’è più. A Gaza in sette settimane di bombardamenti indiscriminati sono morte più di 15 mila persone di cui oltre 6000 bambini. A Gaza vengono colpite scuole, abitazioni, ospedali, ambulanze. A Gaza sono stati uccisi 61 giornalisti, 281 operatori sanitari, 112 dipendenti dell’Onu. A Gaza manca il cibo, l’acqua, la corrente elettrica, i farmaci, il carburante. A Gaza gli aiuti umanitari che riescono a entrare sono del tutto insufficienti. A Gaza le persone restano sanguinanti per strada senza che possano essere medicate. A Gaza, 1 milione e 800mila persone, su 2 milioni e 200mila abitanti, sono state costrette a lasciare le proprie case. A Gaza non c’è più un posto dove le persone possano sentirsi sicure. A Gaza ci sono ancora più di 100 ostaggi israeliani e alcuni sono morti sotto le bombe del loro stesso governo. A Gaza è in corso una catastrofe senza precedenti che è anche una sconfitta dell’umanità. Qualcuno fermi Netanyahu: questa guerra è devastante non solo per i palestinesi, ma anche per la sicurezza di Israele. Da questo non può che nascere ulteriore odio che andrà a discapito di tutti noi. Giorgia Meloni che ha così buoni rapporti con Benjamin Netanyahu si mobiliti e faccia di tutto per convincerlo ad un cessate il fuoco. Non si può assistere in silenzio e inerti a questa carneficina. La tregua è finita, Israele ha ritirato i negoziatori dal Qatar e Natanyahu annuncia la costruzione di colonie a Gaza. Tutti pessimi segnali per chi auspica il cessate il fuoco e l’inizio di un percorso di pace, inclusi i familiari degli ostaggi che da settimane vivono in angoscia per la sorte dei propri cari. Netanyahu dice di volere sradicare Hamas, ma in realtà sta facendo la guerra al popolo palestinese.
La politica ha alzato bandiera bianca?
No. Non tutta, almeno. Ci sono voci autorevoli che continuano a fare proposte, a mio avviso, del tutto ragionevoli. Penso, per esempio, al premier spagnolo Pedro Sánchez, che presto avrà la presidenza dell’UE e che vuole proporre il riconoscimento dello Stato di Palestina e che è disposto, nel caso l’Unione non proceda per questa strada, a farlo come governo Spagnolo. Spero che anche l’Italia si muova in questo senso. Riconoscere lo stato palestinese è un passaggio fondamentale per chi crede ancora che l’opzione “due popoli e due stati” sia da perseguire. Alla Palestina va riconosciuto lo stesso diritto di esistere che si riconosce a Israele. Solo così ci potrà essere pace, stabilità e sicurezza per entrambi. Per arrivare a questo serve un nuovo slancio della comunità internazionale così come di leader di entrambe le parti che credono nel processo di pace.
Netanyahu ha legato il suo destino politico all’annientamento di Hamas, anche se questo costerà altre decine di migliaia di vittime. Affermare questo in Italia, per l’informazione mainstream, equivale a essere “amici di Hamas”.
“Amici di Hamas” e perfino “antisemiti”. È davvero una situazione paradossale. C’è una polarizzazione tale da rendere quasi impossibile argomentare e ragionare, cosa che, invece, una situazione drammatica come questa richiederebbe. Non stiamo assistendo a una partita di calcio, è l’ultimo atto di una situazione complessa fatta di trattati disattesi, promesse non mantenute, atti terroristici e occupazioni illegittime che dura da 75 anni. Come si può pensare di liquidarla con posizioni da tifoseria? Ma voglio rispondere citando la lettera aperta firmata da intellettuali ebrei di tutto il mondo. Nomi come Naomi Klein e David Grossman, premi Pulitzer e docenti universitari. In questa lettera si legge, testualmente, che mettere sullo stesso piano le critiche a Netanyahu con l’antisemitismo è “un’equiparazione pericolosa”. E aggiungono che si tratta di “una tattica retorica per proteggere Israele dalle sue responsabilità, oscurare la realtà mortale dell’occupazione e negare la sovranità palestinese”. Subito dopo l’orrendo attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, scrissi una email ad alcuni amici israeliani, attivisti dell’associazione “Breaking the silence”, formata da ex militari dell’esercito di Tel Aviv che hanno operato nei territori della Cisgiordania e che ora lavorano per sensibilizzare l’opinione pubblica su quale enorme errore sia perseverare nell’occupazione di quei territori e su come questo comprometta la sicurezza degli israeliani e dei palestinesi. Volevo esprimere loro la mia solidarietà e la mia vicinanza per quello che era accaduto. Nella risposta che arrivò qualche giorno dopo, ho appreso che anche alcuni attivisti dell’associazione erano stati uccisi da Hamas e altri hanno visto rapire loro parenti. Questo non ha fatto che rafforzare la loro convinzione sugli errori commessi dal governo di Netanyahu. In Israele, il maggiore quotidiano progressista, Haaretz, chiede le dimissioni dello stesso Netanyahu fin da subito dopo il 7 ottobre ed è estremamente critico verso il governo e i suoi esponenti di estrema destra come Ben Gvir e Smotrich che auspicano la distruzione totale di Gaza e armano i coloni della Cisgiordania. Sembra che solo da questa parte del Mediterraneo non si possa mettere in discussione la politica folle e disumana di Netanyahu.
Israele rivendica il diritto di difesa. Ma gli oltre 6000 bambini palestinesi, numero in difetto, uccisi nei bombardamenti, non sono un “effetto collaterale” di quella difesa, ma dei crimini di guerra.
Il capo degli affari umanitari dell’Onu, Martin Griffiths ha sostenuto che siamo davanti alla peggior crisi umanitaria almeno dagli anni ‘70. Come si può parlare di “danni collaterali” davanti alle immagini che arrivano e ai numeri del disastro? Nessuno nega il diritto di Israele di difendersi dal terrorismo. Ma è altrettanto innegabile che siamo oltre ogni limite. A mio avviso, sono stati violati i principi alla base del diritto internazionale: quello della distinzione tra gli obiettivi militari e quelli civili, il principio di precauzione e il principio di proporzionalità. Il procuratore capo della Corte Penale Internazionale dell’Aja, Karim Khan, ha annunciato di voler aprire un’indagine sui crimini commessi da Hamas e anche su quelli commessi da Israele per la quale ha chiesto la collaborazione degli stati che aderiscono alla Corte. Non sappiamo bene l’Italia cosa farà. A mia esplicita domanda, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha risposto in maniera evasiva e poco chiara.
«Ora martellare Gaza con tutta la potenza». Così il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra “Potere ebraico”. Tutta la potenza per un Paese che detiene l’arma atomica può significare di tutto. E di peggio.
Lei ha citato uno degli esponenti più pericolosi del governo di Netanyahu. Uno che non ha mai nascosto le sue simpatie per l’estremista di destra, ultra ortodosso, che uccise Rabin perché era contrario alla sua politica di pace e all’istituzione dello Stato di Palestina come previsto dagli accordi di Oslo. Uno che, come ho detto, arma i coloni in Cisgiordania con la scusa di proteggersi alimentando, di fatto, la violenza contro i palestinesi. Ma non è l’unico. Lo scorso 5 novembre, il ministro al Patrimonio Amihai Eliyahu ha sostenuto che sganciare la bomba atomica su Gaza fosse un’opzione. È un dato che Israele detiene armi nucleari ed è impegnato in una guerra, come anche la Russia di Putin: parliamo degli attori principali dei due conflitti alle porte dell’Europa. Putin, tra l’altro, ha ritirato la Russia dai trattati contro le armi nucleari e ha ricominciato a fare test: una scelta che dovrebbe mettere in allerta tutto il mondo. Perché se mai qualcuno decidesse di usare le armi nucleari, non ci sarebbe una seconda chance per il Pianeta.
Lei è reduce dalla Conferenza del Trattato dell’Onu per l’abolizione degli armamenti nucleari. Al Palazzo di Vetro il governo italiano era assente. Cosa indica questa “diserzione”? E non è il segno della progressiva marginalizzazione dell’Italia sullo scacchiere internazionale, come dimostrato dalla debacle su Expo 2030? Non c’hanno votato neanche Tunisia e Albania.
Non mandare un osservatore del governo a New York è stata una scelta miope e controproducente per l’Italia. Soprattutto perché, a luglio scorso, la Commissione Esteri della Camera aveva approvato all’unanimità una risoluzione a mia prima firma che impegnava l’esecutivo a valutare la possibilità di inviare un osservatore. Poi, alla vigilia dell’inizio della Conferenza, e solo in risposta a una mia interrogazione, la sottosegretaria Tripodi è venuta in Commissione a dire che, no, nessun osservatore del governo sarebbe stato presente. E sa con quale motivazione? Nonostante l’Italia sia impegnata sul fronte del disarmo nucleare, dato che ci sono paesi come l’Iran, la Corea del Nord e la Cina che stanno implementando i loro arsenali, “a seguito di approfondite valutazioni e consultazioni con gli alleati, il governo ha deciso di non partecipare”. Cioè, esattamente l’opposto di quello che dovrebbe essere. Come pensa, il governo, di impegnarsi sul disarmo nucleare disertando l’unico evento internazionale in cui si parla concretamente di questo? Aggiungo che a New York c’erano anche paesi che aderiscono alla Nato, come la Germania, il Belgio e la Norvegia che mi risulta siano alleati dell’Italia. Invece di scegliere di essere protagonisti, con coraggio, di una battaglia per la salvezza del pianeta e dell’umanità, restiamo a casa. E nel frattempo stringiamo accordi di pura propaganda spacciati per la panacea contro l’immigrazione irregolare. Parlo del protocollo firmato con Tirana e del memorandum che l’Ue ha siglato con la Tunisia su spinta dell’Italia. Entrambi presentati all’opinione pubblica come successi e frutto di solide alleanze. E poi quelli che Meloni ha dipinto come grandi amici del nostro Paese, non ci hanno neanche sostenuti per l’Expo 2030. Tutto questo dimostra solo una cosa: la posizione del tutto marginale e ininfluente del governo italiano nel panorama internazionale.