4 anni dalla sentenza

Dj Fabo, l’uomo che con Marco Cappato ci ha resi un po’ più liberi

Dal 28 novembre del 2019 è in vigore la sentenza della Consulta che dichiarò la non punibilità dell’aiuto al suicidio a determinate condizioni. Un fatto storico. Ma una interpretazione restrittiva può creare discriminazioni. E le richieste delle persone malate possono restare in un limbo, in violazione di quel pronunciamento. Ecco perché la nostra battaglia per la libertà di scelta continua

Editoriali - di Filomena Gallo

28 Novembre 2023 alle 16:30

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Il caso di Dj Fabo
Il caso di Dj Fabo

Fabiano Antoniani ha 39 anni quando chiede al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di intervenire affinché in Parlamento fosse presa una decisione dopo la discussione della proposta di legge di iniziativa popolare sull’eutanasia.

Fabiano è cieco, tetraplegico, ha dolori continui, è bloccato in un corpo immobile e in una “notte senza fine”. Ha un incidente nel 2014 e dopo aver provato senza successo diversi trattamenti per migliorare la sua condizione, decide che vuole morire – o meglio non vuole più vivere in quelle condizioni.

Da allora mi sento in gabbia. Non sono depresso, ma non vedo più e non mi muovo più”, dice in quel video attraverso la voce della sua fidanzata, Valeria. Perché Fabiano non riesce quasi più nemmeno a parlare. Ci scrive, tramite l’Associazione Luca Coscioni chiede a Marco Cappato un aiuto per poter essere libero di scegliere, di decidere della sua vita o di quello che gli è rimasto.

Vorrebbe che la sua storia fosse utile, che la sua richiesta non fosse soltanto per sé ma per tutti coloro che desiderano scegliere di morire se e quando la propria vita diventa intollerabile. Per una malattia o per un incidente, come nel suo caso. Per questo motivo la sua storia è una storia pubblica. Marco Cappato decide di aiutarlo, di accompagnarlo in Svizzera, a febbraio del 2017, e poi si autodenuncia per aiuto al suicidio.

Perché Antoniani non ha potuto scegliere di morire a casa sua? E perché Cappato si è denunciato? Fabiano Antoniani, come poi molti altri, è dovuto andare in Svizzera perché è in vigore un articolo del codice penale che risale al 1930, il 580, che considera un reato non solo l’istigazione al suicidio ma anche l’aiuto.

Perché la legge sulla legalizzazione di tutte le scelte di fine vita, non è mai stata discussa – né allora, né oggi. Perché, nonostante la Costituzione abbia affermato la nostra libertà come diritto fondamentale, non siamo davvero liberi – né allora, né oggi. Marco Cappato si è autodenunciato perché la sua azione di disobbedienza civile voleva illuminare tutto questo e voleva cambiarlo, rischiando di essere condannato da 5 a 12 anni per avere esaudito il desiderio di una persona che non voleva più vivere, che considerava la sua vita solo come un prolungamento di una sofferenza.

Sappiamo come è finita questa storia, con una sentenza di incostituzionalità della Corte costituzionale. La 242, nel 2019, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 27 novembre del 2019 e in vigore per tutti dal giorno 28, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.

Nel frattempo, tra la morte di Fabiano e la decisione della Corte, era stata approvata nel 2017 la legge sul cosiddetto testamento biologico.
Oggi, grazie a Fabiano e a Marco Cappato, siamo un po’ più liberi. Ma non abbastanza. Perché il requisito del sostegno vitale rischia di discriminare chi non ce l’ha ancora se inteso in senso restrittivo, cioè come un sostegno meccanico.

Non solo: le richieste delle persone possono restare in un limbo indefinito in piena disapplicazione di una sentenza costituzionale che ha valore di legge e che parla di sofferenze intollerabili delle persone malate e quindi esige risposte urgenti. Com’è successo a Federico Carboni, a Fabio Ridolfi, a Daniela, a Laura Santi, ad “Anna”.

Per questo motivo abbiamo promosso la proposta di legge di iniziativa popolare regionale “Liberi Subito” affinché le strutture sanitarie regionali, in applicazione della sentenza 242 della Consulta, effettuino le verifiche delle condizioni della persona e delle modalità per procedere in tempi certi, con l’invio della relazione all’azienda sanitaria e al comitato etico competente, giungendo a una risposta in tempi brevi sulla possibilità di procedere con l’aiuto alla morte volontaria medicalmente assistita.

È una norma regionale che aiuta le strutture sanitarie regionali, è una legge che non aggiunge diritti ma prevede una organizzazione sanitaria che di fatto c’è già ma che deve avere tempi diversi in risposta alla persona malata. Sono passati 4 anni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale e pochi giorni fa Sibilla Barbieri è dovuta andare in Svizzera, nonostante avesse tutti i requisiti previsti dalla Corte.

“Gloria” e Stefano, nel Veneto, hanno ricevuto le verifiche indicate dalla Consulta e “Gloria” l’assistenza sanitaria regionale quando ha deciso di porre fine alle sue sofferenze. Un’altra persona in Toscana senza ritardi ha potuto procedere. Ma le regioni non possono agire in modo diverso nell’applicazione di una decisione della Consulta che ha valore in tutta Italia.

La sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato/Antoniani è una sentenza storica. Ci ha resi più liberi. Ma occorre ancora lavorare affinché non vi sia alcuna discriminazione tra malati che scelgono di scegliere. Per questo motivo le disobbedienze civili di Marco Cappato e di altre persone continuano. Perché una persona non dovrebbe poter scegliere della propria vita?

*Avvocata cassazionista e Segretaria dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica

28 Novembre 2023

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