La ruspa del ministro
Perché Salvini ha bloccato lo sciopero generale: “No alla protesta, vi precetto”
Il ministero dei Trasporti disposto a concedere solo 4 ore di protesta. Ma Cgil e Uil tirano dritto: “La mobilitazione prosegue”. E FdI attacca il diritto di sciopero: “Non serve, è inutile”
Politica - di David Romoli
Landini e Bombardieri tirano dritto. Salvini anche. I margini per evitare una precettazione che suonerà, a ragion veduta, come attacco inaudito al diritto di sciopero sono quasi inesistenti. Il vicepremier leghista si è esposto troppo per tornare indietro.
“L’orientamento del vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini è consentire lo sciopero dalle 9 alle 13 di venerdì 17 per tutto il settore trasporti, a eccezione di quello aereo su cui i sindacati avevano già confermato un ripensamento” era la dura nota emessa ieri dal Mit dopo la breve e infruttuosa riunione con i sindacati.
“Oggi è l’ultima giornata in cui i sindacati possono rientrare nell’ambito della legge. Se non lo fanno – ha rincarato Salvini – faccio quello che la legge mi consente di fare: invitare a rispettare le regole. Se così non fosse a mezzanotte si può partire con la precettazione”. Il segretario della Cgil però non arretra di un passo: “Può precettare quello che vuole ma non siamo che all’inizio di una mobilitazione. Non ci fermeranno con una precettazione”.
Le parole sono piume, anche quando suonano pesantemente offensive come le battutacce del ministro sullo sciopero “per allungare il week end” alle quali ha risposto dal Pd il capogruppo in commissione Lavoro Scotto: “I lavoratori quando scioperano pagano perché perdono salario”.
Ma in questo caso alle parole si accompagnano i fatti. Il ministero ha inviato una lettera ai segretari di Cgil e Uil esortandoli a rivedere le modalità della mobilitazione: 8 ore no perché, in punta di diritto, non è uno sciopero generale, non più di 4 o scatta la precettazione. Vuol dire rischio di multe pesanti, fino a 100mila euro, per le confederazioni ma questo è ancora il meno.
La vera mannaia è la possibilità di multare i singoli scioperanti, dai 2500 euro in più persino con margini che potrebbero permettere il licenziamento. Sulla base della burocratica missiva il ministero ha convocato i due segretari per le 18 di ieri. Entrambi hanno scelto di declinare l’invito, facendosi rappresentare dalla segretaria confederale della Cgil Grazia Gabrielli e dal segretario organizzativo della Uil Emanule Ronzoni.
Prima che l’inutile incontro inizi, però, i due sindacati mettono anticipatamente in chiaro la loro posizione: “Lo sciopero è generale e prosegue perché restano le ragioni per cui è stato proclamato”. Riunione breve peraltro: i sindacati informano il ministro della loro decisione di procedere comunque, il ministro comunica che nel giro poche ore partirà la precettazione.
Al ministro dell’Economia e numero due della Lega Giorgetti la scelta del suo capo di correre verso lo scontro frontale non deve essere piaciuta molto. Commenta con toni pacati e rispettosi, opposti al ringhio del vicepremier: “I sindacati hanno totale legittimità a scioperare. Andare in piazza è qualcosa che ho fatto sin da piccolo. Però non si può dire che questo governo non abbia cura dei redditi bassi”.
Pare evidente che, in una fase così delicata e difficile, il ministro avrebbe preferito stemperare le tensioni invece che esasperarle. Probabilmente anche Giorgia Meloni, almeno in pima battuta, puntava a sminare il terreno evitando polemiche frontali. Poi però, soprattutto dopo la discesa in campo della rivale Schlein e del suo Pd a fianco del sindacato senza esitazioni, ha scelto di dare man forte al vicepremier. Ha lasciato che si esponesse il suo partito, che preme per tenere duro “anche fino alla precettazione”.
Lo scontro si allarga, coinvolge la presidente della commissione di garanzia Paola Bellocchi, che ha certificato il semaforo rosso perché “non ci sono gli estremi” per parlare di sciopero generale. Il Pd chieda che riferisca in Parlamento e per una volta viene accontentato: sarà in commissione lavoro stamattina alle 8.30.
È possibile che, a regola di normativa, abbia anche ragione ma il caso è politico, non lo si può affrontare solo in punta di regolamenti. Per i 5S, che da questo punto di vista hanno sempre sfiorato l’integralismo, il punto però è dolente: difendono lo sciopero, tacciono sulla specifica diatriba leguleia.
La maggioranza tutta invece si mobilita sostenendo le ragioni di Salvini e le ragioni che adduce hanno poco a che vedere col codice di garanzia. Il presidente della commissione Lavoro Rizzetto (FdI) trova che questo sciopero “non sia utile e gli scioperi devono esserlo”.
Per il capogruppo azzurro Barelli, “lo sciopero è un diritto ma questa protesta è senza senso”. Per il sottosegretario leghista ai Trasporti Rixi, “il momento non è opportuno per uno sciopero generale”. Il più ringhioso, al solito, è Salvini in persona: “Spiace che il Pd assecondi i capricci di chi protesta contro una manovra che mette 600 euro in più in busta paga”.
Non è questione di regolamenti. La decisione di ingaggiare una battaglia frontale del tutto sproporzionata la ha presa Salvini, in cerca di visibilità e ruolo. Ma una volta iniziato lo scontro l’intera maggioranza ci si è buttata alzando la posta in gioco: il vaglio del governo sulle ragioni, l’utilità e l’opportunità degli scioperi. O, per farla più breve, la fine del diritto di sciopero.