La deportazione in Albania

Migranti messi in vendita, si torna al tempo degli schiavi

L’accordo con Tirana viola tutte le leggi? Non c’è problema: le leggi si cambiano, la strategia no. E la strategia è chiara: guerra ai profughi

Editoriali - di Luca Casarini

8 Novembre 2023 alle 12:30

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Il patto con l’Albania sui migranti
Il patto con l’Albania sui migranti

Maurizio Belpietro, uno dei più duri da accontentare tra le file dell’estrema destra meloniana, lo dice come sempre in maniera chiara: il patto con l’Albania per deportare i migranti “è già qualcosa”. Certo, il sogno mai nascosto sarebbe quello di deportarli tutti, donne, uomini e bambini, fuori dai confini italiani, anche fino in Australia.

C’è una categoria di persone per le quali un “negro” è sempre un negro. Un arabo è un arabo. Un rom è un rom. E più distanti stanno, meglio è. Come dice Orban:il meticciato lo dobbiamo fare tra europei, bianchi e cristiani”. Ovviamente quel “cristiani” detto da costoro e con questi “riguardi” verso il prossimo, è blasfemia pura.

Storia eterna, quella del prendere in ostaggio Dio per provare a giustificare le miserie umane. Storia che vediamo, tragicamente, anche in queste ore di carneficina a Gaza e che abbiamo visto in azione nel pogrom dei kibbuz del 7 ottobre. Papa Francesco non si stanca mai di dirlo: “smettete di usare il nome di Dio per terrorizzare la gente”.

Ma tornando molto più giù, a Belpietro, e al di là di quali siano le sue vere motivazioni, comunque ha ragione nella sostanza. La realizzazione di due campi di detenzione fuori dai confini italiani poter deportare richiedenti asilo e profughi, naufraghi, soccorsi in mare, è un primo passo. Verso che cosa? Verso l’introduzione de facto di un nuovo tassello nella ridefinizione anche formale del Diritto di asilo, così come l’abbiamo conosciuto dalla metà del secolo scorso.

Concretamente, e nel contesto del Mediterraneo, ciò significa anche la nuova interpretazione della Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, e della Convenzione di Ginevra su profughi e rifugiati. La presidente Meloni, che dichiara di essersi consultata con i vertici della Ue prima di compierlo, probabilmente dice il vero.

Nel nuovo “patto per le migrazioni e l’asilo” che l’Unione sta discutendo da mesi, la possibilità di introdurre, in “paesi terzi fuori dai confini europei” centri di “accoglienza e di rimpatrio” dove “ricollocare” persone migranti giunte illegalmente all’interno dei confini di un paese membro, è un punto scritto nero su bianco.

Il tentativo, per ora fallimentare, era stato fatto con la Tunisia di Saied, “soldi in cambio di deportati”, così come il piano Sunak per la deportazione in Ruanda di profughi che risiedono nel Regno Unito, fallito per ora grazie allo stop della Corte Costituzionale inglese, è sempre stato “un faro” per la Meloni.

Sarebbe sbagliato però guardare alla fragilità giuridica che sostiene il patto Italia/Albania come a un preludio di insuccesso per il governo, sulla scia di quello collezionato da Downing Street. Le leggi sono l’espressione di un rapporto di forza complesso, nel quale sono in gioco però anche le “consuetudini”. Come per quanto relativo alla Libia, un accordo siglato nel 2017, totalmente illegale ed illegittimo secondo il diritto internazionale, oltre che disumano per le conseguenze dirette su esseri umani inermi e in balia di torturatori, sempre rinnovato dal parlamento italiano e mai sottoposto a verifica nemmeno dopo le pesantissime accuse dell’Onu e della Corte Penale internazionale, non sarà il diritto a fare da argine ad un processo che sta avanzando per tappe.

Cambierà il diritto, non la strategia degli stati e dei governi, proprio perché la visione e la strategia sono improntate unicamente al respingimento e non all’accoglienza delle persone migranti. I diritti umani sono solo un intralcio. Il diritto, e le leggi con cui si articola, viene progressivamente forzato da atti concreti. Se le azioni di forza, anche se illegali al momento in cui avvengono, producono “un passo in più” – come dice Belpietro -, aprono la strada alla trasformazione di ciò che era considerato fino a prima illegale in qualcosa di perfettamente legale. Anche la “legittimità”, che è una fonte indispensabile della norma, è modificabile dall’alto.

L’esempio più eclatante che purtroppo abbiamo a disposizione in questi giorni, è la carneficina di Gaza. Basta leggere Galli della Loggia sul Corriere: “…a volte, difendere la propria libertà è possibile solo affrontando il pericolo di morire e il rischio di uccidere. Di uccidere anche civili innocenti, anche donne, vecchi e bambini, di uccidere per uccidere. Cioè di commettere quelli che attualmente almeno tre o quattro trattati e convenzioni internazionali definiscono crimini di guerra. Come quelli che stando ai criteri odierni indubbiamente commisero i vincitori della seconda guerra mondiale, gli Alleati, senza la cui vittoria non ci sarebbe la democrazia in Europa.”

Se si tolgono le ultime due righe, queste cose potrebbero averle scritte il leader di Hamas (come ha osservato ieri Marco Travaglio) oppure i seguaci di una setta hitleriana statunitense, o pronunciate Nasrallah capo degli Hezbollah durante il comizio dell’altro giorno. Mantenendo integre le ultime righe invece, la firma potrebbe essere di Netanyahu mentre risponde alla condanna dell’Onu , oppure tratte dal discorso del presidente Truman il 10 agosto del 1945, dopo che aveva ordinato di sganciare due atomiche a Hiroshima e Nagasaki, polverizzando trecentomila esseri umani in pochi secondi.

La “democrazia” di Galli della Loggia è quella dei “vincitori”, non quella del “mai più” che invece diede origine proprio a quei trattati e convenzioni. Una democrazia, quella che si vuole cancellare perché d’intralcio, che infatti non può essere né del “mai più” né del “dopo- guerra”, ma invece deve essere della guerra.

La legittimità nel voler deportare richiedenti asilo e profughi in un altro paese da dove viene dunque? Dallo “stato di emergenza”, che se è permanente come quello dichiarato contro i migranti da almeno dieci anni, diventa “stato di eccezione”. Cioè guerra. Il conflitto mediorientale è già diventato una ragione in più perché il governo dichiari “legittima” la guerra ai migranti. Potrebbero essere tutti terroristi. Sono musulmani. Vengono da lì.

Il ministro Piantedosi ieri ha sciorinato, e non a caso all’indomani della scenetta della firma del patto tra Edi Rama, il premier albanese, e Giorgia Meloni, i dati sull’incremento degli sbarchi. Lo scoglio di un possibile blocco costituzionale del provvedimento, e di un fallimento stile Sunak sulla deportazione, ha fatto studiare allo staff di Palazzo Chigi una strategia di “dissimulazione”, un po’ sulla scia di Minniti quando si inventò la zona Sar libica.

L’Albania fornisce i luoghi per (le prime) due strutture, una al porto di Shegjin, circa 70 kilometri a nord di Tirana, e una a Gjader, più all’interno di altri venti kilometri. La prima struttura per le procedure di identificazione, la seconda per la detenzione. La dissimulazione sta nel tentativo di classificare come “delocalizzazione” questi luoghi, che diventerebbero due enclave italiane con status di extraterritorialità rispetto all’Albania.

Edi Rama, l’ex bohemienne che ha studiato a Parigi, l’ha detto chiaro e tondo: ”Se non si riesce a rimpatriarli poi l’Italia se li deve riprendere”. Quelli che vengono trattati come pacchi, sono però persone. Importante per Meloni è rispondere ai tanti Belpietro: è un primo passo.

Verso una democrazia della guerra, dove quel famoso “diritto di asilo”, quelle vecchia e fastidiosa Dichiarazione universale sui diritti dell’uomo, quelle assurde convenzioni contro i respingimenti di massa e sul soccorso in mare, vengano finalmente aggiornate. E anche la costituzione italiana, già che ci siamo. Che così facciamo tutto insieme, con il premierato de ‘noantri. Bel colpo. Di stato.

8 Novembre 2023

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