Militante e giornalista
Lanfranco Pace, chi era il leader di Potere operaio scomparso a 77 anni
Nato politicamente nel Movimento studentesco, non rinnegò mai nulla del suo passato rivoluzionario. Dopo l’espatrio a Parigi, l’avventura giornalistica
Editoriali - di David Romoli
Nella sua vita Lanfranco Pace, scomparso due giorni fa a 77 anni, è stato molte cose: giornalista in Francia e poi in Italia, intellettuale anomalo e sottile, grande pokerista e gran rubacuori, ingegnere, militante politico e dirigente di Potere operaio. In una certa misura, come per molti altri della sua generazione, l’esperienza che ha poi condizionato tutto il resto è stata quest’ultima. Potere operaio è stato un gruppo della sinistra extraparlamentare italiana degli anni 70, formatosi nel settembre 1969 e scioltosi nel giugno 1973: molto citato ancora oggi, però non altrettanto conosciuto nella sua realtà. Senza il Movimento studentesco del ‘68, di cui Pace fu militante, Po, come gli altri gruppi della sinistra extraparlamentare, non sarebbe mai esistito. Ma soprattutto non sarebbe mai nato senza le improvvise e durissime lotte operaie spontanee che esplosero, senza che nessuno le avesse organizzate e meno di tutti i sindacati, alla Fiat nella primavera del ‘69. A gestire quel conflitto fu una struttura autonoma e informale, l’Assemblea Operai-Studenti, che si riuniva non in una sede politica ma in un bar nei pressi di Mirafiori. Il periodico La Classe, che aveva iniziato le pubblicazioni qualche settimana prima, diventò subito l’organo ufficiale di quel conflitto. In quelle esperienze non confluivano solo il Movimento studentesco e il nascente nuovo Movimento operaio ma anche esperienze precedenti, quella del gruppo toscano Il Potere Operaio, tra i cui leader spiccava Adriano Sofri e che interveniva sulle fabbriche toscane, e Il Potere Operaio veneto-emiliano, in cui era elemento centrale Toni Negri ma anche militanti operai di Porto Marghera. L’elaborazione teorica discendeva dalle riviste dell’operaismo del decennio precedente, i Quaderni Rossi prima, Classe Operaia poi. L’operaismo veicolava una lettura nuova e all’epoca fortemente eretica del marxismo. Studiò la composizione della classe operaia in Italia e le sue trasformazioni in corso. Ipotizzò che motore dello sviluppo non fosse, come nella visione marxista classica, il capitale, che il conflitto operaio tallonava e inseguiva, ma, al contrario, la lotta operaia, che obbligava il capitale a modificare le sue traiettorie per difendersi.
Nel settembre del 1969 l’Assemblea Operai-Studenti tentò di trasformarsi in organizzazione, anche in vista di un autunno che si prevedeva, e che sarebbe poi in effetti stato, ad altissimo tasso di conflittualità operaia. Invece di gruppi, anche per dissapori personali, ne nacquero due: Lotta continua, destinata a diventare di gran lunga la principale organizzazione della sinistra extraparlamentare in Italia, e Potere operaio, di dimensioni molto più ridotte e concentrato soprattutto in alcune aree del Paese, tra cui Roma. Nella capitale divennero dirigenti del gruppo, oltre a Negri, due dei principali leader del movimento del ‘68: Franco Piperno e Oreste Scalzone. Pace scelse la loro stessa strada. I due gruppi “cugini” nati nel settembre ‘69 avevano, soprattutto all’inizio, molti punti in comune ma anche fondamentali differenze. Lc, anche nella sua fase iniziale “operaista”, rappresentava la “medietà” del Movimento: al suo interno erano presenti un po’ tutte le correnti che animavano quel movimento e anche per questo l’organizzazione si concentrò soprattutto sulla pratica militante, trascurando un’elaborazione teorica che invece in Po fu sempre centrale. All’interno di Potere operaio Lanfranco Pace rappresentava quella che oggi, ma un po’ anche allora, si definirebbe “la destra”. Certo sul termine bisogna intendersi. La strategia di Po prevedeva un progressivo innalzamento dei livelli di scontro, anche di piazza, con l’obiettivo di arrivare passo dopo passo al conflitto armato. Si dotò subito di una struttura illegale clandestina incaricata di accumulare armi. Allacciò rapporti molto stretti con uno dei primissimi gruppi armati in Italia, i Gap di Giangiacomo Feltrinelli. Pace, molto intelligente ma anche lucido e realistico, non dissentiva dall’obiettivo di fondo ma premeva per evitare azzardi troppo avventurosi, passi troppo estremi e privi di prospettive concrete nella costruzione di quello che Po definiva “il partito dell’insurrezione”. Po si sciolse nell’estate del 1973, in parte perché la prospettiva di Negri, che puntava ormai sulle assemblee autonome operaie, e quelle di Piperno, che intendeva mantenere un’organizzazione quasi partitica, erano diventate inconciliabili. Ma a imporre lo scioglimento fu anche la tragedia del rogo del 16 aprile 1973, quando un gruppo di militanti di Po, senza che la leadership ne sapesse nulla, cercò di dar fuoco alla porta di casa di un dirigente del Msi nel popolare quartiere romano di Primavalle.
Nelle intenzioni del gruppo avrebbe dovuto essere un attentato dimostrativo, invece persero la vita due dei figli del dirigente del Msi, tra cui un bimbo di 8 anni. Il trauma fu enorme ma l’organizzazione, pur avendo scoperto presto la verità, scelse di far esaptriare i colpevoli e di negare con una campagna clamorosa la loro responsabilità. Negli anni successivi, pur essendo approdato a sponde molto diverse come giornalista di punta del Foglio, Pace non avrebbe mai rinnegato niente del suo passato rivoluzionario. Tranne proprio la decisione di “coprire” i colpevoli di quel misfatto. Nel 1978, nei tremendi 55 giorni del sequestro Moro, Pace e Piperno cercarono di salvare la vita del presidente della Dc battendo l’unica via praticabile. Cercarono e trovarono un contatto con i loro vecchi compagni di Po Valerio Morucci e Adriana Faranda. Pace fece la spola tra il quartier generale di Craxi, l’unico leader politico favorevole alla trattativa, e il ristorante dove incontrava i due ricercatissimi militanti in clandestinità. Il tentativo di Piperno e Pace non approdò ad alcun risultato: lo Stato sarebbe stato pronto a trattare come si fa con comuni banditi, offrendo un riscatto in denaro ma senza concedere niente sull’unico piano che interessasse le Br, quello politico. Le insistenze di Morucci e Faranda non convinsero i leader Br, soprattutto Mario Moretti, a evitare comunque l’esecuzione. Pace fu in quei giorni la persona che arrivò più vicina di tutti a salvare Moro ma alla fine anche uno dei grandi sconfitti. Nel 1979 un gruppo di ex militanti di Po diede vita a un periodico, Metropoli, che finì subito nel mirino degli inquirenti. Il 7 aprile una clamorosa montatura giudiziaria aveva colpito Negri e molti altri leader dell’Autonomia operaia, accusati di essere i capi e i cervelli delle Br. Pochi mesi dopo sarebbe toccata la stessa sorte a quasi tutti i redattori di Metropoli. Pace, colpito da mandato di cattura tra i primi, aveva già lasciato il Paese. Sarebbe rimasto in Francia per quasi vent’anni, imboccando con successo una nuova strada, quella del giornalismo, prima a Libération, poi, tornato in Italia, sul Foglio. Le posizioni politiche erano cambiate di molto rispetto agli anni di Po, ma lo sguardo era rimasto lo stesso. Nella continua polemica con gli eredi del Pd, nella critica corrosiva per l’invadenza della magistratura, nella lucidità fredda con cui sapeva analizzare i rapporti di forza senza sbavature moralistiche, Lanfranco Pace era rimasto quello di allora.