Caos sul presidenzialismo

Presidenzialismo da rifare, tutti contro la riforma della Meloni

Il testo che il Cdm dovrebbe varare domani scatena la protesta di Conte e Schlein, ma anche della Lega, contraria al ritorno al voto se il premier cade

Politica - di David Romoli

2 Novembre 2023 alle 17:00

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Le proteste di Schlein, Conte e Salvini sul presidenzialismo
Le proteste di Schlein, Conte e Salvini sul presidenzialismo

Sulla bozza di riforma costituzionale che il cdm dovrebbe varare domani nel weekend è stato un vero e proprio tiro al bersaglio. La hanno fucilata tutti. Passi per le critiche dell’opposizioni, previste e prevedibili. Elly Schlein si è scagliata contro una riforma che “smantella la forma parlamentare e indebolisce i poteri del presidente della Repubblica”. E cosa altro dovrebbe e vorrebbe fare una riforma che introduce il cosiddetto premierato? Conte è più preciso.

Parla di “accrocco costituzionale in cui si spaccia l’avventurismo per riformismo” e già si avvicina di più agli appunti che mordono davvero, quelli tecnici. La riforma immaginata dalle teste d’uovo costituzionali della premier presenta più buchi di una rete da pesca. Solo per citare i più clamorosi: senza una legge elettorale a doppio turno il premio di maggioranza previsto, quello che porta la coalizione del vincitore al 55%, potrebbe lievitare fino a vette proibitive, intorno al 20-25% e incorrerebbe quindi nella stessa sonora bocciatura già riservata dalla Consulta all’Italicum proprio per questo motivo.

Certo c’è sempre il doppio turno, che però per la destra è da sempre e a ragion veduta un incubo perché le divisioni del “campo largo” sono da sempre una garanzia di vittoria a fronte di una destra quasi sempre unita. Il peggio è la norma anti-ribaltone che rende il premier legittimato dall’elezione diretta popolare allo stesso tempo fortissimo e fragile, perché ostaggio di una maggioranza che può sostituirlo a piacimento anche se probabilmente solo una volta per legislatura.

Nella forma attuale, poi, quella norma è circondato da nebbie che nemmeno nella brughiera all’alba: non è chiaro se il sostituto dovrebbe essere votato dalla sola maggioranza pre-esistente, clausola che verrebbe però affondata a sua volta dalla Corte costituzionale, oppure anche dalla precedente opposizione, nel qual caso la norma anti-ribaltone spalancherebbe le porte appunto ai ribaltoni.

Con un testo così orribilmente concepito, le mazzate più pesanti arrivano proprio dall’interno della maggioranza e mirano a modificare la legge, cosa sacrosanta e anzi necessaria, però in senso inverso. Per ora il fuoco si concentra sulla norma anti-ribaltone, anche se i fuochi artificiali si ripeteranno al momento di varare la nuova legge elettorale, dunque tra la prima e la seconda lettura della legge in Parlamento. Lega e Fi vogliono allentare le maglie. La prendono alla lontana, pensano a una rettifica che permetta la candidatura a premier anche di qualche esponente esterno alla maggioranza, insomma a un tecnico, sempre che si impegni a “rispettare il programma”.

La manovra è subdola perché una volta accettato il principio per cui l’importante è adeguarsi al “programma”, che nella politica italiana è sempre stato una clamorosa presa in giro, nulla impedisce che anche l’eventuale sostituto del candidato eletto sia un tecnico. La premier, il suo partito e il presidente del Senato La Russa, che si espone apertamente, vorrebbero invece tornare alla formula iniziale, senza dubbio più sensata e meno contraddittoria, quella che impone, in caso di caduta per qualsivoglia motivo dell’eletto, di tornare alle elezioni.

Qui però gli ostacoli sia interni che esterni sono davvero impervi. Fi sarebbe anche disponibile, la Lega invece assolutamente no e lo si può capire. In questo caso infatti sarebbero i partiti della maggioranza a ritrovarsi ostaggi di un premier onnipotente. La bussola che ha indirizzato la bozza, inoltre, è stata l’esigenza di non pestare troppo i piedi al capo dello Stato. Con l’obbligo di sciogliere le Camere se il premier eletto fosse sfiduciato o si dimettesse, il presidente, dopo aver perso uno dei suoi poteri fondamentali, quello di scegliere il presidente del Consiglio, si vedrebbe scippato anche l’altro, la decisione sullo scioglimento delle Camere.

Insomma che la legge sia un pasticcio è già evidente e sapremo solo domani se e come il governo porrà rimedio almeno alle falle più clamorose, lasciando poi all’iter parlamentare il compito di sanare le molte altre. Intanto però è suonata, in forte ritardo, la sveglia. Sino a pochi giorni fa il Pd si era cullato nella certezza che le riforme istituzionali fossero solo fumo negli occhi e che il governo ne parlasse tanto solo per nascondere i problemi veri, l’immigrazione prima, la manovra oggi e domani chissà.

È un sospetto che ancora regna quasi sovrano ma il dubbio che invece Meloni faccia sul serio è finalmente spuntato. Una seconda scoperta turba i sonni dei dirigenti del Pd, sinora convinti che in ogni caso la riforma sarebbe stata sconfitta nell’inevitabile referendum. I sondaggi sono stati una doccia fredda e così l’accoglienza tutt’altro che scandalizzata riservata alla forzatura estrema veicolata, e non a caso, dalla prima legge di bilancio destinata a non essere emendata dalle camere.

E’ una rottura drastica ma pochi lo hanno segnalato, pochissimi ne hanno colto la portata e al Pd prevedono che tra gli elettori molti apprezzeranno invece una manovra cotta e mangiata in pochi giorni invece che in settimane di estenuante battaglia parlamentare. Ora il Pd inizia a considerare la possibilità che la riforma arrivi davvero e che il referendum si riveli molto più difficile di quanto sognato.

2 Novembre 2023

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