La testimonianza
Claudio e Simona, la galera e la malattia: due prigioni e una sola storia
Leggere, studiare e scrivere durante il tempo della galera è un atto rivoluzionario, una scelta che rende liberi.
Giustizia - di Claudio Bottan
“Ma chi te lo fa fare?” È questa una delle domande che spesso mi sento rivolgere durante gli incontri con gli studenti. Effettivamente, dopo sei anni di carcere trascorsi in nove istituti diversi e altri tre scontati in misura alternativa per reati fallimentari, sarebbe comprensibile non volerne più sapere, girare pagina e staccare la mente da un vissuto che fa male. Raccontare, parlarne e confrontarsi mettendo a disposizione la propria esperienza è anche un modo per vincere la “carcerite”.
Per farlo non bastavano più le scuole, sentivo che mancava una tessera per ricomporre il puzzle di una vita fatta a pezzi e ho voluto tornare oltre le mura per raccontare una storia semplice – qualcuno dice straordinaria – ma replicabile. La prima volta alla Casa circondariale di Chieti e recentemente all’Ucciardone di Palermo: unico ex detenuto in esecuzione penale esterna a fare ritorno in carcere da “ospite” (nel senso che avevo la certezza che di lì a qualche ora sarei uscito…). Un fatto eccezionale, reso possibile dalla lungimiranza di direttori d’istituto coraggiosi e da un Magistrato di Sorveglianza che ha compreso il senso dell’iniziativa. Accanto a me c’era Simona che da tempo mi accompagna in questo viaggio oltre i limiti del pregiudizio; di fronte a noi un gruppo di persone detenute, qualcuna con “fine pena mai”, e gli studenti di due classi di un liceo di Palermo.
“Esperienza forte, significativa, decisamente non banale, coinvolgente. Sono certo che ragazze e ragazzi presenti ne faranno tesoro”, ha commentato il dirigente scolastico. “Non avrei mai potuto immaginare di finire in galera, ma c’è sempre una prima volta”, ha detto Simona. “Ho avuto l’opportunità di entrarci per raccontare la mia prigione, quella rappresentata dalla sclerosi multipla, la malattia che si è impadronita del mio corpo e mi ha tolto l’uso di gambe e braccia: una condanna che ha un ‘fine pena’ a breve, che però non prevede la libertà. Anche io vivo ingabbiata, ma ho la fortuna di poter portare le mie sbarre ovunque voglia. Per questo spero di essere riuscita a trasmettere un messaggio positivo alle persone detenute e agli studenti che mi hanno ascoltata”.
Due prigioni, una storia. Da un lato la detenzione, dall’altro un corpo che non vuole più saperne di rispondere ai comandi. “Una handicappata e un pregiudicato” secondo l’inspiegabile bisogno di appiccicare un’etichetta a chiunque ci troviamo di fronte. Più semplicemente due persone che sono riuscite a coniugare due mondi apparentemente antitetici, quello della disabilità e quello del carcere, rafforzandosi l’un l’altra, costruendo il presente e immaginando un futuro contro barriere, ostacoli e pregiudizi. Dopo anni di carcere, quando ho potuto usufruire dell’affidamento in prova, ho iniziato a lavorare per la redazione di un settimanale; mi occupavo di sociale ed ero continuamente alla ricerca di belle storie da scrivere, poi mi sono imbattuto in quella più preziosa: Simona e la sua voglia di viaggiare che, a dispetto della malattia, l’ha portata a spingersi fino in India, Nepal e Indonesia in carrozzina.
Un’intervista che dura ormai da sette anni, quello che ne è nato non è solo un articolo ma un cammino. Quindi potrei sembrare di parte quando asserisco con convinzione che leggere, studiare e scrivere durante il tempo della galera è un atto rivoluzionario, una scelta che rende liberi. Non servono “domandine” e non occorrono autorizzazioni per dare un senso alla pena. Per non sprecare il dolore ci vuole coraggio, voglia di andare oltre. E naturalmente bisogna avere la fortuna di trovare quella disponibilità all’ascolto che solo il volontariato sa offrire a chi è recluso. Il nostro bisogno di raccontarci e di condividere cercando di essere speranza ha trovato casa in “Voci di dentro”, un’associazione che nel corso degli anni ha accolto e accompagnato il percorso di un centinaio di persone in misura alternativa al carcere.
Attualmente sono una ventina gli “affidati” e altre dieci persone attendono l’approvazione del proprio Magistrato di Sorveglianza per iniziare con noi un percorso fuori dalle mura della prigione. L’omonima rivista è soltanto una delle tante attività che coinvolgono volontari, persone detenute ed esperti. Una voce libera, che nel nuovo numero racconta il carcere per quello che è: “Ai confini dell’umanità”. Ecco la risposta alla domanda iniziale: se anche un solo studente, una sola tra le tante persone che incontriamo o sfogliano la nostra rivista riuscirà a comprendere l’inutilità del carcere rispetto all’efficacia delle misure alternative, allora tutto avrà un senso.
*ex detenuto, vicedirettore della rivista Voci di dentro