La gogna
Per il Csm “D’Ambrosio non è vittima del dovere”, ma il capo della magistratura si ribella
Dalla presidente della Corte di Cassazione unico no nel Plenum alla delibera che nega il riconoscimento al magistrato morto d’infarto nel 2012 dopo essere stato infangato nel processo “Trattativa Stato-Mafia”
Giustizia - di Paolo Comi
“Ciascuno di noi di fronte alla propria coscienza è tranquillo che questa pratica possa essere deliberata in questo modo o noi avremmo il dovere di integrare la rappresentazione dei fatti per avere una nuova valutazione da parte della Commissione tecnica competente che possano disporre di un quadro che qui è monco e parziale?”. A dirlo ieri in Plenum è stata Margherita Cassano, presidente della Corte di Cassazione, prima di votare, da sola, contro la delibera che ha negato il riconoscimento di vittima del dovere a Loris D’Ambrosio.
“Nell’ultimo periodo di servizio prestato presso il Quirinale è stato esposto ad un’inaccettabile gogna mediatica rivolta di fatto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è stato il garante della stabilità delle istituzioni democratiche nel momento in cui si poneva il problema di intercettazioni telefoniche in cui era coinvolto il presidente”, ha aggiunto Cassano. E nelle carte del Csm che fanno concludere per negargli il riconoscimento di vittima del dovere “è stato omesso l’esame di questa parte della storia drammatica di questo collega, di cui ciascuno di noi è debitore perché è una figura rara di rigore professionale, competenza e totale dedizione alla causa dello Stato”.
Il Csm ha tenuto conto nella sua valutazione anche del parere di una Commissione medico-legale. Ma questa Commissione, ha obiettato Cassano, “non ha potuto valutare i fatti nella loro interezza”, perché fondata su informativa della Procura generale di Roma, risalente al 2018, che ha fornito “notizie parziali e lacunose” ignorando proprio l’ultima parte dell’esperienza professionale di D’Ambrosio.
Di diverso avviso, invece, il Plenum che ha votato, con due astensioni, una quanto mai ‘burocratica’ delibera, appiattita sulle pronunce dei giudici amministrativi in materia.
Nel 2015 il decesso di D’Ambrosio avvenuto nell’estate di tre anni prima, scrive il Csm, veniva riconosciuto dipendente da causa da servizio, con il conseguente diritto all’equo indennizzo in relazione all’infermità di cui era affetto. Due anni più tardi, però, i familiari del magistrato inviavano al Ministero della giustizia una istanza tesa al riconoscimento dello status di “vittima del dovere” o “equiparato vittima del dovere”, e dei correlati ulteriori benefici. Il procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma, nel 2018, forniva elementi utili per la valutazione circa la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status richiesto. Passa un altro anno e la Commissione medica decise di escludere sulla base delle evidenze agli atti, che la patologia che aveva causato il decesso potesse essere considerata come “contratta in occasione od a seguito” di una particolare missione svolta in vita dall’interessato, rimettendo alla Comitato di Verifica l’eventuale attribuzione della stessa a “particolari condizioni ambientali od operative di missione”.
Il Comitato di Verifica, a giugno dello scorso anno, espresse un parere negativo, rilevando che “dall’esame degli atti non si evidenziano condizioni ambientali od operative di missione comunque implicanti l’esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il dipendente a maggiori disagi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto ….”. L’incartamento veniva così inviato dal Ministero al Csm che la scorsa primavera chiedeva un parere all’Ufficio studi il quale, dopo sei mesi, stroncava ogni possibile richiesta dei familiari di D’Ambrosio.
Palazzo dei Marescialli in serata ha fatto filtrare un laconico commento. “Pur riconoscendo a D’Ambrosio trascorsi umani, professionali e istituzionali di raro spessore, il Csm non può sottrarsi all’applicazione delle norme che regolano la materia sottoposta alla sua attenzione e, nel caso di specie, nessun ulteriore approfondimento avrebbe potuto condurre a ravvisare quelle condizioni ambientali od operative di missione comunque implicanti l’esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il dipendente a maggiori disagi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto ….” necessarie per il riconoscimento dello status richiesto. Insomma, la gogna non conta.