Parola al professore emerito

Intervista a Giuseppe Vacca: “Cosa c’è dietro la guerra, gli USA non accettano un mondo multipolare”

«L’inizio del conflitto in Ucraina ha ridefinito il ruolo della Nato, che dalla difesa dalle minacce esterne è passata al contrattacco contro il nemico Putin, sotto l’egida americana. L’Occidente è tornato agli anni 50»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

19 Settembre 2023 alle 10:00

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Intervista a Giuseppe Vacca: “Cosa c’è dietro la guerra, gli USA non accettano un mondo multipolare”

“I nodi dell’Occidente. Sovranismo individuale. Crisi delle democrazie. Guerra”. Basta il titolo del libro (edito da Belforte), da oggi nelle librerie, per dar conto della profondità e dello spessore di un saggio da leggere, dibattere, meditare. Massimo De Angelis, che ne è il prezioso curatore, ha raccolto i pensieri di dieci autorevoli studiosi di ogni provenienza culturale e politica e ha chiesto loro di rispondere a queste domande radicali: esistono ancora i valori dell’Occidente? È ancora saldo il suo sistema democratico? Come cambia il suo spazio geopolitico alla luce della guerra in Ucraina?

Temi su cui l’Unità ha insistito, e continuerà a farlo, sollecitando un confronto fuori dal battutismo salottiero e dal coro della stampa mainstream. La guerra in Ucraina come passaggio d’epoca. “La guerra esplosa in Europa il 24 febbraio 2022 scorso – sintetizza efficacemente la scheda di presentazione – segna una svolta che mette in questione molte delle sicurezze dell’Occidente. Dopo aver sognato la fine della storia col definitivo trionfo dei suoi valori, l’Occidente deve prendere atto che il suo modello non è esportabile ed è criticato in ampia parte del mondo. Questo anche perché tale modello ha subìto una estremizzazione e uno svuotamento negli ultimi decenni. I valori di libertà e uguaglianza si sono trasformati in una ideologia aggressiva dei diritti, la scienza e l’umanesimo subiscono il dominio sempre più pervasivo della tecnica, ammaliati dal miraggio del postumano. Sul piano politico si sta sgretolando l’equilibrio tra liberalismo e democrazia sotto la spinta del turboliberismo economico e finanziario. Sembra così che l’Occidente, al culmine della sua potenza, sia meno saldo ai suoi confini perché interiormente friabile e meno capace di egemonia”. La parola a Giuseppe Vacca, professore emerito di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bari, già direttore dell’Istituto Gramsci, più volte parlamentare del Pci, uno dei dieci autori.

Professor Vacca, qual è il filo conduttore del libro?
È quello di mettere a confronto tutte le diverse culture politiche e i diversi stili di pensiero, sul mondo attuale, sulla guerra, in vista del ristabilimento della pace, facendo leva, soprattutto, sul ruolo dell’Europa, che almeno fino a prima della guerra in Ucraina, si era proclamata ed aveva agito come potenza civile, lanciando la sfida di un grande attore mondiale che aveva come finalità principale la pace, la collaborazione, l’interdipendenza. Un attore che è venuto meno a questo compito, è carente di iniziativa o forse si può dire che sia stata silenziato dal suo major partner, gli Stati Uniti d’America.

La guerra come momento di chiarificazione che investe una crisi più generale dell’Occidente.
Qui ci sono diversi problemi. Innanzitutto, ci sarebbe quello di cercare di definire questa guerra. Si tratta di un compito complesso. Da quando la si fa cominciare? Come la si caratterizza? Una delle guerre tradizionali, sia pure nel mondo dell’interdipendenza e della “globalizzazione”? Oppure è come ha detto papa Bergoglio per primo, una “terza guerra mondiale a pezzetti”? Il tema è posto. Se proviamo a vederla dalla parte del “non Occidente”, è una guerra i cui obiettivi, almeno nelle dichiarazioni esplicite, nelle carte firmate, negli accordi fatti, nei comportamenti, è una guerra che almeno per russi e cinesi, insieme, ha come obiettivo quello di cambiare l’ordine mondiale.

In che cosa si sostanzia questo obiettivo?
Nel fatto di rendere evidente che la situazione nel mondo post bipolare, come un mondo unipolare, “regolato” dall’egemonia americana, non corrisponde al vero. Le strategie che sono sottese a questa finalizzazione, vanno dall’economia, che per usare il linguaggio più frequente in Putin che in altri partner dei Brics, è la de-dollarizzazione degli scambi internazionali, cioè il ridimensionamento del dollaro, in presenza di altre monete che tendono ad essere sfidanti negli scambi, alla riduzione-eliminazione del signoraggio americano sul Mediterraneo. Da questo punto di vista, questa è una guerra che, almeno a stare alla dichiarazione dei Brics successiva all’inizio del conflitto, ormai più di un anno e mezzo fa, ha questi obiettivi. In un certo senso è una guerra rivoluzionaria.

Quale sia l’obiettivo della Nato è presto detto.
Qui entriamo in un campo “minato”.

Entriamoci pure. Nel 2022, nel contesto della guerra, è stata ridefinita anche la Nato, innanzitutto nella mission e poi nell’idea di una unica, grande alleanza di tutto l’ “Occidente” sotto la guida americana. Con un obiettivo preciso che non è quello della difesa dalle aggressioni o dalle minacce esterne, che definiva il vecchio Patto Atlantico, la vecchia Nato, ma quello di combattere un nemico definito come tale, che è la Russia di Putin.
Questa ridefinizione della Nato, l’allineamento dei principali Paesi europei all’obiettivo di ricondurre la Russia ad un ruolo di potenza regionale e quindi di sconfiggere la strategia di Putin, fa sì che l’Occidente si sia riunificato rispetto all’articolazione plurale, espansiva, che aveva assunto con la nascita dell’Unione Europea, per quanto soltanto a metà, senza perseguire obiettivi di pienezza politica, cioè la difesa, la politica estera, tanto meno una sovranità sovranazionale piena. Si torna ad una semplificazione dell’Occidente da anni 50.

Vale a dire?
L’Occidente lo definiscono sostanzialmente gli Stati Uniti. E lo definiscono in base a una strategia che rifiuta di prendere atto che la realtà del mondo è multipolare, che il mondo è sempre più interdipendente, che essendo superata l’epoca storica in cui la guerra era la continuazione della politica con altri mezzi, il compito della sfida reciproca è quello di costruire un equilibrio mondiale. E il paradigma di un equilibrio mondiale è il realismo politico, non l’unilateralismo, per stare agli ispiratori principali della politica estera americana negli ultimi quarant’anni, è Kissinger e non Brzezinski. Invece, la strategia americana, non da ora ma da subito dopo la conquista dell’indipendenza, della sovranità dell’Ucraina, è stata quella di operare, in Ucraina, perché era, secondo l’ispirazione fornita da Brzezinski, quella di essere una leva per tenere costantemente sotto scacco la Russia ed impedirle di ritornare ad ambire al ruolo di grande potenza globale. Il fondamento di questa strategia va valutato alla luce della realtà. E qui dovrebbero entrare in discussione, con una rivisitazione critica, le narrazioni che si sono susseguite dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.

Proviamoci.
Noi continuiamo a chiamare il mondo successivo alla seconda guerra mondiale, ed in particolare quello che coincide con la nascita della Nato nel 1949 e poi del patto di Varsavia nel 1953, il mondo della Guerra fredda. La “Guerra fredda” non è una categoria storiografica. La “Guerra fredda” allude giornalisticamente, perché tale è la sua coniazione, ad uno status, ad una modalità delle reazioni fra potenze. Da questo punto di vista, il vero substrato del lungo periodo storico della “Guerra Gredda” è stato il bipolarismo. Perché essa è stata caratterizzata da diverse fasi strategiche, che vanno dal rollback, dal containment, alla distensione, alla collaborazione nella riduzione degli armamenti, e poi alla sua fine con l’implosione dell’Unione Sovietica. Dal punto di vista strutturale, e quindi anche storico, è stato il quarantennio del bipolarismo. Ma il bipolarismo, a sua volta, era una rappresentazione impropria della realtà nel mondo post bellico.

Perché?
Perché se il bipolarismo s’incentrava sulle due principali potenze, gli Stati Uniti e la Russia sovietica, non si teneva conto che dal 1949 la Cina aveva raggiunto l’indipendenza. Certo non era la Cina di oggi, ma era pur sempre il più grande e popoloso Paese del mondo. Era pensabile che rimanesse nella relativa irrilevanza globale e per quanto tempo? Il mondo era già multicentrico, multipolare e una delle ragioni per le quali il bipolarismo è venuto meno è perché si era già andato fortemente indebolendo di fronte a una articolazione multipolare del mondo quale già era. Multipolare e sempre più interdipendente. E quindi sempre più bisognoso di paradigmi strategici che accettassero la sfida che è di fronte a tutti, da quando, dopo Hiroshima, la possibilità della guerra di divenire atomica totale, è il problema che abbiamo tutti. Tutti abbiamo il problema di costruire un ordine che escluda l’inevitabilità della guerra, cioè che prenda atto dell’interdipendenza, della globalità, del multipolarismo e del fatto che la guerra non può essere più la prosecuzione della politica con altri mezzi.

Se questo è quadro, il paradigma a cui fa riferimento, professor Vacca, è tutt’altro che consolidato…
Un attimo. Questo paradigma è consolidato per tre quinti del mondo. Perché dei grandi players, gli unici che sono unilateralisti e sovranisti, che rifiutano l’interdipendenza e la fine dell’inevitabilità della guerra, sono gli Stati Uniti d’America. Le strategie “globali” di cinesi, indiani, russi, brasiliani, insomma dei Brics, che ormai reclamano giustamente di essere un terzo del Pil mondiale e circa la metà della popolazione mondiale, per tutta quest’altra parte del mondo, i paradigmi della politica internazionale sono il multilateralismo, il multipolarismo e la cooperazione nell’interdipendenza e nella reciprocità. E questo è il nodo da sciogliere. Perché la crisi delle democrazie è la conseguenza principale del non prendere atto di questa realtà e provare ad adeguarvi un nuovo ordine mondiale. La crisi delle democrazie non è soltanto l’inceppo di un ordinamento giuridico, politico, istituzionale interno. Interno-esterno si tengono o non si tengono reciprocamente. Non c’è un interno che non sia anche esterno. La linea di sviluppo era quella dell’Europa potenza civile. Non a caso quello è stato l’effetto della unificazione tedesca, della rimozione del Muro di Berlino, che sono stati gli ultimi grandi atti della politica estera sovietica di Gorbaciov. Dopodiché, però, per come andata anche l’evoluzione o l’involuzione della politica interna, dentro l’Occidente, è invece prevalso un altro paradigma.

Quale?
Quello che si è imposto subito dopo l’implosione della Russia sovietica, con la prima guerra del Golfo. La politica internazionale è sempre regolata dai rapporti di forza. Ma cosa li definisce? Perché il nodo da sciogliere è proprio questo. Se li definiamo principalmente a partire dalla potenza militare, allora bisognava tener conto da subito che comunque già allora, finita l’Unione Sovietica, la Russia, però, ereditava il secondo dispositivo tecnologico-militare del mondo. E quindi non poteva essere tenuta sotto scacco, magari per costruire, secondo un’ambizione della politica americana, un nuovo bipolarismo fra le due principali potenze, cioè gli Stati Uniti e la Cina, con l’evidente vantaggio degli Stati Uniti, perché per quanto i cinesi abbiano accelerato, se estrapoliamo questa relazione a due dal resto della complessità del mondo, il vantaggio pro tempore è ancora tranquillamente americano.

A quali conclusioni si può giungere, professor Vacca, tenendo conto del libro da cui prende spunto la nostra conversazione?
Il libro è caratterizzato da una pluralità di declinazioni del problema, e questa ricca pluralità di idee, visioni e approcci, lo impreziosisce. Qui parlo per me. Io posso considerare la guerra in Ucraina innescata da Putin. Ma non cominciata certo due anni fa. Quantomeno è cominciata nel 2014, con il colpo di Stato di piazza Maidan. Come un elemento di grande destabilizzazione, a tutela di una ricostruzione della capacità e dei caratteri di potenza tendenzialmente non solo regionale della Russia, che è stata la politica di Putin, il tema attorno al quale è costruito il consenso che ha portato dalla rinuncia di Eltsin alla ricostruzione di Primakov e di Putin. Dall’altra parte, se guardiamo la politica globale degli Stati Uniti, soprattutto dopo il Vietnam, sostanzialmente gli Usa s’ingaggiano o cercano essenzialmente guerre per procura. In questo caso, la cosa incredibile è che la guerra per procura ricade interamente su un popolo. Un popolo, quello ucraino, che per ragioni che io non so decriptare interamente, è diretto all’interno da forze che ne favoriscono il massacro. Perché, qualunque ne sarà la conclusione, l’Ucraina ne esce a pezzi. Quale che sia l’equilibrio che si possa profilare, auspicare, per evitare che questa sia veramente la prima guerra mondiale, perché le due guerre mondiali sono state prevalentemente guerre europee e inter-occidentali. Dopo il Vietnam, anche perché scottati da quella sconfitta, gli Stati Uniti le guerre che hanno fatto le han sempre fatte in outsourcing. Le hanno sempre fatte per procura. Guerra per procura con la sospensione, che non so se e quanto temporanea, del ruolo di mediatore dell’Europa, che porta alla distruzione del popolo ucraino. Qualsiasi sia il giudizio che si possa dare di Putin, la strategia russa non può che giocare quella carta.

Quali sono, se ce ne sono, le condizioni per una soluzione?
Sostanzialmente il prevalere di un paradigma della politica mondiale che sia quello dell’interdipendenza e della reciprocità. La condivisione di un altro paradigma, quello per cui, nell’epoca di questi armamenti, l’atomica e non solo, la guerra non può essere più soluzione di nulla. Il compito della politica è quello di costruire equilibri in funzione di un ordine mondiale. È poi quello che ha scritto Kissinger nel libro delle sue memorie. Ma Kissinger è una cosa, mentre l’ispiratore della politica estera americana da Clinton in poi è stato Brzezinski. Non a caso, uno tedesco e l’altro polacco.

19 Settembre 2023

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