I due anarchici italiani

La storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, gli anarchici giustiziati negli USA per le loro idee

In piedi, un po’ sbilenchi, le manette ai polsi: Giuliano Montaldo li ha eternati in un film che ne ha fatto due simboli della sinistra e della lotta anarchica. “Questo dolore - cantò per loro Joan Baez in Here’s to you - è il vostro trionfo”

Editoriali - di Fulvio Abbate - 8 Settembre 2023

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La storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, gli anarchici giustiziati negli USA per le loro idee

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti erano anarchici, italiani, immigrati nell’America degli anni Venti dello scorso secolo; il crollo di Wall Street in attesa altrettanto di mostrarsi. Un tribunale degli Stati Uniti li consegnerà alla sedia elettrica. Accusa di omicidio: vittime un contabile e una guardia giurata del calzaturificio “Slater and Morrill” di South Braintree.

Il loro doppio ritratto si innalza ancora adesso nella quadreria dei martiri del pensiero libertario. Memoria incancellabile, dolente, antagonistica della sinistra tutta, in verità, così come, altrove, sui fondi d’oro degli altari, Cosma e Damiano vengono onorati invece in nome della devozione cristiana. I nomi di Sacco e Vanzetti sopravvivono sull’ideale Muro dei Federati dell’Altra America, come simulacri della rivoluzione mancata, fratelli, compagni, sangue e nervi di un pensiero ingiustamente condannato in effigie, insieme a loro, sullo stesso patibolo. Inascoltata la mobilitazione internazionale per salvarli, restituirli alla libertà, sotto il vessillo nero orlato di rosso dell’anarchismo; eppure accompagnati da un diffuso sentire militante che trascendeva la stessa sinistra, nel controluce opaco del processo.

La sbarra li mostrava insieme, quasi “siamesi”, nel lontano tempo di un bianco e nero processuale interrotto dai lampi al magnesio delle macchine fotografiche. Eppure, sempre lì al processo, sembrava di vederli levitare come ancora apostoli dell’ingiustizia che tocca i “proletari”; e ancora lo stigma d’essere “italiani”, poveri… Bernard Shaw, Bertrand Russel, Albert Einstein, Dorothy Parker, John Dos Passos, H. G. Wells, Anatole France ne invocarono la liberazione, quest’ultimo paragonandoli ad Alfred Dreyfus. Perfino Mussolini, mesi prima dell’esecuzione, chiese all’ambasciatore statunitense a Roma di intervenire presso il Governatore del Massachussetts per salvarli.

Ben Shahn, maestro di realismo pittorico proprio della denuncia civile, ce li mostra composti infine nelle bare; i giudici, ipocritamente dolenti, fiori bianchi tra le dita, a vegliarli, Sacco e Vanzetti come spettri sconfitti, reliquie cadaveriche del sentimento rivoluzionario spezzato; e l’America salva dal pericolo “rosso”. Sacco e Vanzetti fratelli maggiori di chi avrebbe subito, in piena “guerra fredda”, anni dopo, la “caccia alle streghe” del maccartismo; il mosaico di Ben Shahn, si sappia, resiste ancora adesso sulla facciata dell’Università di Syracuse, N.Y.

Per loro vale la crudele allegoria della giustizia che Edgar Lee Masters, in Spoon River, mostra bendata, “le ciglia corrose sulle palpebre marce”. Versi destinati a figurare poi sulla tomba di Giuseppe Pinelli, al cimitero di Turigliano, Carrara, Pinelli a sua volta, come Sacco e Vanzetti, anarchico, Pinelli precipitato dal quarto piano della questura di Milano… Anche Woody Guthrie, nei tardi anni Quaranta, intonerà per loro la Ballad of Sacco e Vanzetti.

Sacco e Vanzetti verranno ancora a noi, nel tempo già a colori, li ritroveremo grazie a Giuliano Montaldo, suo uno straordinario film di puro e terso nitore politico e documentativo che surclassa per talento, non sembri una citazione impropria, Il padrino di Francis Ford Coppola. Magistrali, l’occhio e la mano di Montaldo, che ci ha lasciato proprio in questi giorni. Ogni qualvolta c’era modo da assistere alla scena in cui l’anarchico siciliano Andrea Salsedo, è il 3 maggio 1920, precipita da una finestra del Park Row Building, sede dell’Fbi a New York, d’istinto, subito in sala il silenzio veniva spezzato, a schermo aperto, dal grido “Pinelli!”.

Sempre nel film di Montaldo, c’era modo di trovare le note, il canto di Here’s to You, la voce di Joan Baez proprio per Sacco e Vanzetti, come un requiem che si fa inno e intanto accompagna lungamente i titoli di coda con emozione, un brano che troverà posto anche nei juke box; Ennio Morricone l’autore della musica. Nel testo, le parole ritrovate di Vanzetti: “Here’s to you Nicola and Bart, rest forever here in our hearts, the last and final moment is yours, that agony is your triumph!”. “Vi rendo omaggio Nicola e Bart, per sempre riposate qui nei nostri cuori, il momento estremo e finale è vostro, questo dolore è il vostro trionfo!”.

Sacco e Vanzetti, proprio grazie a Montaldo, non si sono mai allontanati da noi, rimasti accanto, mai andati via del tutto, ora e sempre, lì, a raccontarsi innocenti, in piedi, un po’ sbilenchi, le manette ai polsi, a fissarci, a indicare l’altrove del torto subito. Non c’era proiezione, metti, alle feste de l’Unità o piuttosto di Umanità Nova, il giornale anarchico fondato da Errico Malatesta nel 1920, che, come in un rito, il film non facesse breccia nel muro della memoria perenne, mai rimossa, allo stesso modo di ciò che altrettanto accadeva con La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo.

La postura di Gian Maria Volontè, il volto dimesso di Riccardo Cucciola: Sacco e Vanzetti nei loro vestiti scuri, luttuosi, cerimoniali, abiti buoni da giorno della festa, trasfigurati, “santificati”, resi parte di un’ideale famiglia di complici “sovversivi”, di chi si riconosceva, e forse ancora adesso si ritrova, nel sentire dei “refrattari”, lemma con il quale gli anarchici indicano se stessi; si sappia infatti che la più celebre testata libertaria negli Stati Uniti prendeva proprio nome L’Adunata dei Refrattari, ovvero Call of the refractaries. Senza Giuliano Montaldo, in quale punto dello spazio e del tempo vivrebbero adesso Sacco e Vanzetti? Dove Ferdinando Nicola Sacco (Torremaggiore, 1891), dove Bartolomeo Vanzetti, (Villafalletto, 1888)? Il primo già operaio in una fabbrica di scarpe. Vanzetti, invece, già pescivendolo. Insieme giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, un sobborgo di Boston.

A cinquant’anni esatti dalla loro morte, nell’agosto 1977, Michael Dukakis, governatore del Massachussetts, futuro aspirante alla Casa Bianca, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e ne riabilitò completamente la memoria. “Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra, non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico; ho sofferto perché sono un italiano, se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già”, parola di Vanzetti a pochi giorni dall’esecuzione.
In Ucraina, nell’Oblast’ di Donec’k, un villaggio ne prende i nomi in loro onore. Sacco, Vanzetti e Montaldo.

8 Settembre 2023

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