La strage del DC-9 Itavia

Il Dc9 di Ustica esplose per una bomba, il missile è fantapolitica

I periti fornirono ampie prove: il Dc9 esplose a causa di una bomba. Ma Priore negò l’evidenza e montò una teoria, poi stroncata dalla Corte

Cronaca - di Leonardo Tricarico

6 Settembre 2023 alle 15:00 - Ultimo agg. 6 Settembre 2023 alle 15:14

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Il Dc9 di Ustica esplose per una bomba, il missile è fantapolitica

Nel vissuto ultraquarantennale della tragedia di Ustica alcune circostanze o personaggi, talvolta dirimenti, non sono stati messi sufficientemente a fuoco, con il risultato – scontato – che venire a capo di una vicenda così complicata sia risultato significativamente più difficoltoso, se non impossibile.

Prendiamo ad esempio Rosario Priore e la vera e propria epopea con cui ancora oggi viene dipinto. Nel corso delle indagini durate complessivamente circa dieci anni, (anche in virtù delle proroghe accordategli), Priore incassa il primo vero risultato con la Commissione peritale da lui stesso confermata nell’incarico, quella presieduta da Aurelio Misiti. Detto per inciso, un consesso formato da undici esperti scelti tra i più professionali reperibili a livello internazionale ed appartenenti a paesi non sospettati di aver avuto un qualunque coinvolgimento nella vicenda.

Siamo nel luglio del 1994: Misiti, in concordanza con il parere unanime dei suoi colleghi periti, dice a Priore che l’unica ipotesi compatibile con le risultanze emerse è quella dell’esplosione di una bomba collocata all’interno del velivolo e ne fornisce, nella sua relazione, ampia ed incontrovertibile prova. Priore si mostra riluttante a recepire i risultati, pare non accettare il responso peritale, temporeggia, chiede ulteriori verifiche a singoli componenti del collegio, ma le cose non cambiano. Stesso recalcitrare di Priore quando quattro anni dopo, nel luglio 1998 i pm Giovanni Salvi, Vincenzo Rosselli e Settembrino Nebbioso gli consegnano la requisitoria in cui, in piena assonanza con la relazione di Misiti, giungono alla stessa conclusione, e cioè che l’ipotesi più verosimile per la caduta del velivolo è la bomba e non il missile.

“L’esplosione all’interno dell’aereo, in zona non determinabile di un ordigno è dunque la causa della perdita del Dc9 per la quale sono stati individuati i maggiori elementi di riscontro. Certamente invece non vi sono prove dell’impatto di un missile o di una sua testata”, dicono i tre magistrati causando a Priore un ulteriore problema, che lui però non esita ad archiviare, rinviando a giudizio i quattro generali dell’Aeronautica, Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Corrado Melillo e Zeno Tascio. E mal gliene incolse al nostro ineffabile Giudice Istruttore, perché finalmente entrano in scena magistrati scrupolosi, sordi alle sirene dei media, non gestibili, incuranti della reazione dell’opinione pubblica ormai sempre più somigliante a un esercito di tricoteuses.

Giudici da encomiare e soprattutto fedeli ai valori del loro magistrato. “La Corte, ben conscia dell’impatto negativo di un’ulteriore sentenza assolutoria nei confronti di due generali, ma a fronte di commettere un’ingiustizia, perché tale sarebbe stata la conferma della sentenza o una condanna, andare contro l’opinione pubblica non costituisce un ostacolo. In quel caso allora si sarebbe trattato di una vergogna perché si sarebbero condannati o ritenuti responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prova”. Parole coraggiose queste dei giudici penali, reperibili a pag. 48 della sentenza pronunciata nel 2005 e confermata in Cassazione nel 2007. Chapeau ai componenti della Prima Corte di Assise di Appello di Roma presieduta da Antonio Cappiello, magistrati coraggiosi che ci confortano nel non disperare sulle sorti della giustizia in Italia.

Ma purtroppo nulla cambia nella percezione dell’opinione pubblica, manipolata e disorientata da una stampa sempre saldamente arroccata sull’ipotesi della battaglia aerea e del missile killer e sull’equivoco della sentenza ordinanza di Priore. Della sentenza penale, quella vera, quella chiarificatrice non c’è invece traccia in nessuna prospettazione pubblica, quasi non esistesse. Compresa la stampa di questi giorni.
Eppure l’impianto di Priore è stato smontato impietosamente pezzo a pezzo, le sue ipotesi sono state definite “fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte 81 vittime innocenti” (pag 116) oppure qualificando l’accusa come “la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale” ( pag. 114).

Ma lui non se ne dà per inteso, anziché leccarsi le ferite di una cocente umiliazione inflittagli dai suoi colleghi giudici che lo hanno dipinto come lo sceneggiatore di un thriller, si accomoda tranquillamente in una strana rendita di posizione, avallando ipocritamente quanto i cantori del missile ancora oggi tentano di far credere, ossia che Priore abbia emesso una sentenza di condanna, giocando su questo sul termine del vecchio rito di procedura penale “sentenza-ordinanza” che invece altro non è che un rinvio a giudizio. In un paese civile, la conclusione di un percorso giudiziario da cui emerga che, al di là di ogni ragionevole dubbio, sia stata impunemente compiuta una strage di natura terroristica, farebbe scattare quasi automaticamente nuove e più serie indagini e nella giusta direzione volte a consegnare i responsabili alla giustizia.

Invece nulla, anzi il processo civile associato a quello penale evidenzia un’altra stortura del nostro sistema giudiziario, cui un giorno o l’altro andrebbe messa mano. Ossia la bizzarria di due percorsi, quello penale e quello civile, che conducono a risultati diametralmente opposti nel giudicare lo stesso fatto. Con il risultato che il governo viene condannato a risarcire gli aventi titolo con alcune centinaia di milioni di denaro pubblico per un fatto mai occorso, per un missile inesistente.

Un processo, a onor del vero e a parziale attenuazione delle colpe, in cui la sentenza apripista viene scritta alla fine del 2003 da un giudice monocratico, un avvocato di Bronte prestato alla giustizia, il giudice onorario aggregato Francesco Batticani. E con la latitanza di fatto dell’Avvocatura dello Stato, probabilmente istruita a non profondere troppo zelo nel sostenere in giudizio le ragioni del governo. Il quale Batticani poi, senza neppure gettare uno sguardo alle carte del processo penale, senza avviare verifiche o nuove indagini, o richiedere specifiche perizie, pronuncia una sentenza di condanna motivandola con l’impianto accusatorio di Priore, quello che non ha retto in dibattimento penale e lì miseramente collassato.

Tutti i successivi processi civili si collocano nel solco tracciato da Batticani, Giudice Onorario Aggregato di Bronte. Se l’Unità ce ne darà modo, potremo ragguagliare i lettori con il capitolo giustizia in prospettiva più importante, quello aperto presso la Procura di Roma dove la nostra Associazione ha presentato un esposto con l’intento di sollecitare le indispensabili seppur tardive ma non disperate indagini, volte a individuare gli autori dell’attentato al DC9 Itavia. Questi sono i fatti, chiunque oggi dica cose diverse contribuisce ad ostacolare ulteriormente la ricerca della verità su una delle tragedie del nostro paese rimasta senza responsabili. Come sta accadendo da decenni ad opera di ben identificati ambienti e come la bizzarra sortita di Giuliano Amato ha confermato oltre ogni decenza.

6 Settembre 2023

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