Il caso a Chieti
Gira nudo per strada, abbattuto col taser “per il suo bene”
È certo che non era pericoloso per nessuno, forse nemmeno per sé stesso, ed è certo che se c’è il rischio che uno si faccia male non è il caso di fargliene di più
Cronaca - di Iuri Maria Prado
Facciamo pure che l’autopsia riveli che non è morto a causa del taser con cui la polizia l’ha abbattuto: ma il poveraccio che – in evidente stato di alterazione, e bisognoso di cure – gironzolava nudo per strada, davvero doveva essere “contenuto” in quel modo? L’ipotesi che la (duplice) scarica elettrica che gli hanno ammollato fosse rivolta a impedirgli di farsi male (si è letto anche questo), francamente lascia perplessi. E vogliamo sperare che la “pericolosità” del soggetto non risiedesse nelle sue disinibizioni vestiarie, insomma che non abbiano deciso di fulminarlo a tutela del decoro pubblico sfregiato da quella oltraggiosa nudità.
Vorremmo solo che ci fosse risparmiata la solita tiritera sulle forze dell’ordine che quotidianamente rischiano la vita per proteggerci, e a volte ce la rimettono, facendo un lavoro rischioso per uno stipendio magro. Tutte cose vere, verissime, ma molto antipatiche da ascoltare quando sono adoperate a commento della notizia di uno che muore mentre è affidato alle cure pubbliche. Certo, appunto, non si sa se l’uso di quel dispositivo possa considerarsi giustificato non per rendere innocua una persona minacciosa e armata, ma per stendere un disturbato di mente. Se ne dubita.
E ripetiamo: se anche le indagini certificassero che è morto per altri motivi, senza che quelle scariche elettriche abbiano in qualche modo contribuito al decesso, resterebbe la perplessità – chiamiamola così – davanti a un caso (non il primo) di maltrattamento di cui tutto pare potersi dire, tranne che fosse davvero indispensabile. Anche in questo caso, infatti, come in tutti, bisogna vedere cos’è davvero successo e perché, ma se il problema era che girava col pisello fuori o si esercitava in gesti autolesivi – si perdoni la noiosa capziosità – uno così lo acchiappi e lo tieni fermo: non lo friggi con quegli arnesi.
Non è tigna polemica osservare che la mancata dotazione del taser, nella rappresentazione emergenzial-secutritaria in voga recentemente, rappresentava un difetto capitale e un elemento di irrimediabile debolezza delle capacità delle forze dell’ordine di contrastare il crimine. Pensa per esempio i poliziotti che sono stati costretti ad adoperare gli inefficaci manganelli sulla testa e nel costato della transessuale a Milano, qualche mese fa, anche quella in escandescenze e anche quella mezza biotta (a Milano si dice così) davanti allo sguardo innocente dei bambini nei giardinetti: vuoi mettere se avessero potuto darle una più tecnologica abbrustolita?
L’unica cosa certa è che questo ci ha lasciato le penne. È certo che non era pericoloso per nessuno, forse nemmeno per sé stesso, ed è certo che se c’è il rischio che uno si faccia male non è il caso di fargliene di più. Ci sembra, almeno. Chissà, forse investire nelle strutture di sorveglianza e cura per questa gente avrebbe effetti più salutari per tutti. E magari l’uso del taser sarebbe ricondotto ai casi di necessità, che certamente non mancano.