Il ritratto della premier
Chi è Giorgia Meloni, la premier che ha convinto gli americani di essere una statista
Ritratto della premier che ha conquistato tutti i giornali e li ha convinti che lei è una statista. Cita Cicerone, cita Machiavelli, si fa aiutare dalla figlioletta, e giura piena sottomissione allo zio Sam
Politica - di Michele Prospero
Il tour di Giorgia Meloni negli Stati Uniti è stato osannato dalla grande stampa che ormai assume il più rigido canone euro-atlantico come il fattore politico discriminante in questo frangente. Finora la sovranista redenta era stata considerata, in virtù della sua pragmatica azione di governo, come una plausibile discendente dell’euro-tecnocrate Draghi.
Adesso, per misurarne l’inedita levatura raggiunta, si scomoda un’altra celebre sosta americana, quella di De Gasperi nel ‘47. Secondo “la Stampa” la scolara di Colle Oppio avrebbe, con la sua storica traversata, accelerato tutte le tappe della legittimazione della destra post-fascista e inflitto anche una bella legnata alla sinistra, riluttante dopo Letta a sposare l’atlantismo duro e puro. Anche Maurizio Ferrera sul “Corriere” sostiene che col viaggio dalla Garbatella al West l’inquilina di Palazzo Chigi ha mutato le sue categorie di pensiero.
Dall’“euroscetticismo” proprio di una leader dell’opposizione sul punto di fuggire precipitosamente da Bruxelles, sarebbe oggi approdata all’“euro-realismo”, che persegue un’integrazione graduale nelle istituzioni dell’Ue senza però rinunciare ad enfatizzare il vessillo dell’Europa-civiltà, da brandire contro le invasioni barbariche che dall’Africa attentano alle tradizioni e alla fede. Ma stanno realmente in questi termini le cose? Le parole – non era anche il fascismo il regime della parola? – non mancano alla Meloni, che ne sforna a dozzine, anzi “a 360 gradi”, come è solita ripetere, in ogni lingua del “globo terracqueo”, dal romanesco allo spagnolo.
Ha certamente ritrattato frettolosi giudizi sull’alleato a stelle e strisce: la vecchia centrale della “plutocrazia” ora si trasforma per la premier neo-tocquevilliana nel “cuore della democrazia”. Ma, per il resto, anche in America il copione narrativo rimane sempre lo stesso, oramai stancamente rimasticato. Via così al monotono racconto delle mirabili avventure di una “esclusa” che ce l’ha fatta e adesso incarna il destino della Patria: “Sono stata presentata come un mostro, ma rispondo con i risultati e faccio quello che è giusto per la mia Nazione”. Poiché non ha l’arte della statista, e d’un tratto infatti cancella 16 miliardi dal Pnrr, ma non le difetta la capacità di recitare, Meloni approfitta della visibilità mediatica per sfoggiare abiti eleganti, per esibire un eloquio fluente in inglese, per vendere la mutazione di una reietta che ora non soltanto dà del tu ai grandi della Terra ma fa loro le smorfie, li blandisce con la gestualità, li accarezza con il contatto fisico immediato e lo sguardo che comunica al posto dei concetti.
Cita, per darsi il tono di chi è all’altezza del compito, “uno dei filosofi più importanti dell’antica Roma” ma soprattutto un concittadino acquisito di Sgarbi come Cicerone, che viene proposto quale antesignano censore delle braccia che si ribellano all’agricoltura, in ossequio alla battaglia del ministro della Sovranità alimentare contro “i giovani sui divani”(“Vadano a lavorare nei campi”). Dice di “rileggere” le pagine di Machiavelli che consigliano il principe che “governa una Nazione” (per trovare una certa terminologia identitaria la premier userà qualche apposita traduzione dal fiorentino curata da Sangiuliano).
Nello Stato di famiglia in gestazione, la figlia accompagnatrice in ogni luogo diventa un’attrice delle relazioni internazionali (post della mamma: “Io e te, che affrontiamo il mondo mano nella mano”, da Bali fino agli studi della “Fox News”), il cognato si prende metaforicamente cura del pane, messo in pericolo dalle bocche della “sostituzione etnica”, il consorte delle rose, lambite per fortuna da un solo immaginario innalzamento delle temperature (immerso nella “temperie” domestica, Giambruno, che già aveva scambiato Beccaria con Silvio Pellico attribuendogli “Le mie prigioni”, si è poi scagliato contro un ministro tedesco spaventato dall’afa latina intimandogli di “starsene nella Foresta Nera”). Adesso, per completare il quadretto, Meloni vuole candidare alle europee la sorella Arianna. Il nuovo omaggio del presidente del Consiglio ai classici del pensiero politico è già pronto: Platone, secondo il quale il governo della famiglia e quello della città presentano gli stessi caratteri.
Per Meloni il movimento è tutto, il governo è nulla, e ciò spiega anche la comunicazione dell’abolizione del reddito di cittadinanza tramite Sms. Ha passato gran parte dei mesi successivi alla vittoria elettorale ad organizzare continue trasvolate oceaniche. Rinomate le escursioni africane (“l’Occidente ha dato consigli all’Africa, ma non abbiamo mai dato una mano”) per diffondere il mitico ma inesistente “piano Mattei”, il quale però era un ex partigiano che strinse significativi accordi commerciali con l’Urss e guadagnò rilevanti margini di manovra contro le “sette sorelle”. Attiva anche sul versante asiatico, Meloni si è addirittura spinta a pianificare operazioni navali nell’Indo-Pacifico, in previsione del futuro che verrà.
E però il caso vuole che proprio in una lettera inviata da La Pira all’amico Enrico Mattei si legga che la “vocazione” dell’Italia è quella di “tessere coi popoli del Medio Oriente, e anche del più lontano Oriente, rapporti economici, sociali, politici, culturali”. Lungo la rotta che porta a Washington, Meloni a suo modo percepisce la centralità della collocazione internazionale. E’ evidente che in Ucraina la dimensione territoriale, che pure costa centinaia di migliaia di morti per il controllo di un lembo di terra, è solo un aspetto della lunga controversia globale. Alla crisi legata alla dissoluzione dello spazio imperiale sovietico, al dominio dei mari e delle risorse, alle esigenze di sicurezza geopolitica, si aggiunge una ben più pregnante contesa, che riguarda il predominio nei commerci internazionali. Si combatte colpendo Mosca anche con i droni, ma è Pechino che più inquieta per i suoi capitali che non smettono di circolare e competere.
(1- CONTINUA)