Parola al dem

Elezioni in Spagna: “Da Sànchez una lezione di coraggio”, parla Piero Fassino

«La sinistra italiana negli ultimi dieci anni ha evitato ogni bivio elettorale sostenendo governi tecnici e maggioranze anomale. Il leader socialista ha saputo coniugare il pragmatismo con la forza degli ideali»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

26 Luglio 2023 alle 10:30

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Elezioni in Spagna: “Da Sànchez una lezione di coraggio”, parla Piero Fassino

Dal voto spagnolo alla sfida riformista lanciata a Cesena, nel meeting di cui è stato tra i protagonisti. La parola a Piero Fassino.

Il risultato delle elezioni in Spagna. A un’analisi più ponderata, qual è la sua rilevanza politica anche in chiave europea?
Da quel voto viene un messaggio molto forte, a Bruxelles e anche a Roma. Il sovranismo non sfonda e anzi subisce un netto scacco, con Vox che perde il 45% dei suoi seggi. Il Partito popolare di Feijóo, nonostante diventi la prima forza politica, è molto lontano dall’aver ottenuto una maggioranza per governare. Mentre il fronte progressista, Psoe e Sumar, tiene. I socialisti addirittura aumentano in voti e in seggi e Sumar ottiene un risultato molto vicino a quello ottenuto da Podemos nelle precedenti elezioni E arbitri di questo esito così polarizzato diventano i partiti regionalisti, i quali sono tradizionalmente lontani dal sovranismo nazionalista che li ha sempre osteggiati. Si vedrà nei prossimi giorni se e come la Spagna riuscirà ad avere un governo. Se Sánchez potrà formare un governo Psoe-Sumar con l’appoggio dei partiti regionalisti e quali azioni metterà in campo il PP per impedirlo, rivendicando le prerogative di primo partito. O se lo stallo di due schieramenti di analoghe dimensioni, ma entrambi minoritari, spingerà a una qualche forma di intesa tra i due principali partiti. In ogni caso è un esito molto importante perché tra meno di dieci mesi si voterà per il Parlamento europeo e prim’ancora ci sono due voti delicati in Olanda e Polonia. Il messaggio di Madrid è che la risposta al futuro dell’Europa non è il sovranismo. E questo dovrebbe indurre le forze politiche a una seria riflessione.

Chi dovrebbe riflettere?
In primo luogo il Ppe, tentato dal trovare una intesa con la destra. Il voto spagnolo dice che è una strada impervia che metterebbe a rischio tutto ciò che è stato costruito in settant’anni di integrazione europea. Per altro verso, il voto spagnolo dice alle forze progressiste e democratiche che le destre possono essere contrastate e arginate con una strategia coraggiosa e una forte unità. Mi lasci dirlo con una battuta: in Spagna è tramontato prima del nascere l’auspicato “governo dei patrioti” perorato da Giorgia Meloni. La fiamma di Vox si è molto affievolita. Sta a noi non fare della Spagna un caso isolato.

Il voto spagnolo non dice anche alla sinistra italiana, al PD, che si può vincere e governare con un riformismo forte che sia altro da una torsione moderata piegata su una gestione, sia pure oculata, dell’esistente?
La dinamica spagnola dice che quando vieni sfidato, la sfida la devi accettare e combatterla. Non posso non comparare la determinazione con cui Sánchez, di fronte a un esito elettorale negativo nelle elezioni amministrative, ha scelto di andare al voto. Una scelta coraggiosa assai diversa dall’attitudine della sinistra italiana degli ultimi dieci anni…

Quale attitudine?
Ogni qualvolta la sinistra italiana si è trovata di fronte a un bivio elettorale, lo ha evitato sostenendo governi tecnici e maggioranze anomale che imprigionavano la spinta al cambiamento. Certo, lo ha fatto per responsabilità, ma pagando un prezzo in riduzione di consenso. Penso che Sánchez abbia dimostrato di essere un leader capace di coniugare il pragmatismo che sempre deve avere un primo ministro, con la forza dei valori e degli ideali della sinistra. Mi pare che l’elettorato spagnolo lo abbia compreso e premiato.

Per venire all’Italia e al PD. La sfida riformista è anche il senso politico di fondo della convention di Cesena promossa da Bonaccini e di cui lei è stato tra i protagonisti?
Cesena è stato il primo passo della costruzione di un’area riformista che vuole unire tutte e tutti quelli che nel Partito Democratico si riconoscono nel riformismo come una strategia che esprima cultura di governo e capacità innovativa e di trasformazione.
Mitterrand usava spesso una frase che può sembrare tautologica ma non lo è: “una politica di sinistra non è una politica di destra” volendo dire che il riformismo non coincide con il moderatismo. Il riformismo è la capacità di coniugare la concretezza pragmatica dell’agire quotidiano, la sua gradualità, la sua processualità, con un orizzonte chiaro nei valori, negli ideali, negli obiettivi. In questa chiave, a Cesena abbiamo compiuto il primo passo per formare un’area politico-culturale riformista che contribuisca a rilanciare il Partito Democratico come centrale nel sistema politico italiano. Non sarà un percorso né semplice, né breve. Sappiamo tutti che in questi anni la politica ha conosciuto una crisi profonda, soprattutto l’ha conosciuto il rapporto tra i cittadini e i partiti e le organizzazioni di rappresentanza sociali. Se vogliamo restituire al Paese una prospettiva, occorre partire da due dati…

Vale a dire?
Negli ultimi quindici anni abbiamo avuto prima la crisi economica, 2008-2015, poi il Covid e oggi una guerra alle porte di casa. Un lungo tunnel di criticità che ha suscitato e suscita in una parte larga di cittadini ansie, angoscia, inquietudine. Cittadini che s’interrogano sul loro futuro e si sentono meno padroni del loro destino. E questo si è riflettuto negli atteggiamenti elettorali. Non solo è diminuita la quantità di gente che è andata a votare, ma anche tra quelli che hanno scelto di votare, si è prodotta una “migrazione” che, tra il 2013 e il 2022, ha visto un terzo degli elettori cambiare voto ad ogni elezione. 25% al Movimento5stelle nel 2013, il 40% al PD nel 2014, 32% ai 5Stelle nel 2018, 34% alla Lega di Salvini nel 2019, 28-29% a Fratelli d’Italia della Meloni nel 2022. Una continua migrazione elettorale che manifesta una forte domanda di rassicurazione, soprattutto in quanti vivono la propria condizione a rischio. Ma la rassicurazione chi la chiede, la vuole subito. È come quando scopri di avere una malattia: vai da un medico, ma se non ti rassicura, ne cerchi subito un altro. Lo stesso accade in politica: se la rassicurazione non viene subito, cambio il destinatario. E anche la Meloni è e sarà esposta a questa domanda e adesso dovrà dimostrare di essere capace di soddisfarla. Da questa condizione d’inquietudine della società, che suscita una irrisolta domanda di rassicurazione, devono muovere il PD e l’insieme delle forze progressiste. Quelle domande interrogano anche noi. E per raccoglierle dobbiamo aprirci e di cambiare tutto ciò che occorre cambiare, sapendo che un nuovo secolo non si gestisce con le politiche del secolo precedente. Tutto è cambiato attorno a noi e cambia con una velocità rapidissima.

Su quali terreni agire con una “radicalità riformista”?
Pensiamo al tema del lavoro. Siamo abituati a ragionare da tempo di una società dei lavori. Ma questa società nei prossimi anni cambierà ancora di più con l’applicazione, sempre più massiccia e invasiva, dell’intelligenza artificiale e delle sue tecnologie.
Pensiamo al tema del reddito. Giustamente ci stiamo battendo per garantire un salario minimo a 3 milioni di lavoratori che sono sottopagati. Però dobbiamo essere consapevoli che il tema del reddito investe una platea ancora più ampia di lavoratrici e lavoratori. Sulla base dei dati Istat, l’80% dei lavoratori italiani a tempo indeterminato, ha un salario netto mensile che sta in una forchetta 1200-1600 euro. E l’80% dei lavoratori a tempo determinato, che sono quasi tutti giovani, ha un salario netto mensile tra 700 e 900 euro. C’è un gigantesco problema di redistribuzione della ricchezza e torna ad essere centrale il tema della politica dei redditi.

Il “riformismo forte” di cui parla, e che dovrebbe diventare patrimonio politico-culturale di tutto il PD, come dovrebbe aggredire una gigantesca politica di redistribuzione della ricchezza?
Con una strategia che agisca sia sui salari nominali, sia sul terreno contrattuale, sia sulla fiscalità. A questo si aggiungono altre sfide altrettanto decisive.

Ad esempio?
L’Italia come tutta l’Europa è in decremento demografico. Di qui alla fine del secolo in nostro Paese avrà 6-7 milioni di abitanti in meno. Se vuole mantenere la prosperità di oggi, l’Italia ha bisogno di un contributo demografico aggiuntivo che può venire solo dalle migrazioni. Come si gestisce questo tema al di là dell’accoglienza? È la sfida dell’integrazione, dei diritti di cittadinanza, della costruzione di una società multietnica vera. Altro tema dirimente è quello dell’autonomia. Un conto è contrastare il progetto Calderoli che accrescerebbe le sperequazioni tra Regioni. Ma non qualsiasi forma di autonomia è un danno. Bisognerebbe ricordarsi che abbiamo già 5 regioni in Italia a statuto speciale che vivono in autonomia differenziata da decenni. E che l’autonomia dei poteri locali e regionali è stata sempre una battaglia della sinistra. Le Regioni nacquero e furono istituite con una forte iniziativa della sinistra. Il titolo quinto della Costituzione fu fatto da un governo di centrosinistra. Ovviamente si può modificarlo, correggerlo, integrarlo, migliorarlo, resta però il fatto che l’autonomia è un nostro valore. Non è che adesso riscopriamo che è meglio il centralismo statale. E ancora: Covid ci ha dimostrato che la spesa sanitaria non può essere subordinata al solo equilibrio di bilancio. È una società sempre più segnata da tecnologia impone un forte investimento nella formazione a tutti il livelli. Ho indicato alcuni temi di un’agenda riformista che tutti ruotano intorno alla visione di una società giusta che non lascia indietro nessuno e offre a ciascuno la possibilità di perseguire le proprie aspirazioni. A Cesena abbiamo voluto dare un contributo al PD su questo fronte. L’area politico-culturale che è nata a Cesena non è la semplice prosecuzione di una mozione congressuale, né una corrente nel senso deteriore che ha assunto questo termine negli ultimi anni, cioè uno strumento per contrattare candidature o posti. Non c’interessa questo. C’interessa invece mettere in campo una elaborazione politico-culturale che contribuisca a definire il profilo del PD e a renderlo credibile agli occhi di una platea molto vasta di cittadini. Perché per governare devi porti l’obiettivo di un consenso largo. E una piattaforma riformista è anche il terreno più fertile per costruire le convergenze e le alleanze necessarie per ricostruire centrosinistra vincente e ambire alla guida del Paese.

 

26 Luglio 2023

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