Il caso a Napoli

Perché è stata incendiata la Venere degli stracci, l’opera di Pistoletto distrutta a Napoli

L’“autodafé” della Venere paradossalmente può essere perfino letta come un ulteriore apoteosi dell’arte (detta) povera...

Cronaca - di Fulvio Abbate - 13 Luglio 2023

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Perché è stata incendiata la Venere degli stracci, l’opera di Pistoletto distrutta a Napoli

La” Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, sommo maestro della Arte povera (da non confondere con la mobilia di legno grezzo altrettanto impropriamente cosiddetta dagli imbonitori televisivi), ideatore di un “Terzo Paradiso”, già installata a Napoli in piazza Municipio lo scorso giugno, è stata incendiata. Subito intuibile l’ipotesi del dolo.

Vandalismo notturno o scherno volontario da parte della storica “plebe” partenopea verso un’opera che si compone appunto di stracci, indumenti e tessuti di risulta, assiepati intorno a una figura femminile di statuaria classica, citazione della “Venere con mela” dello scultore appunto neoclassico danese Bertel Thorvaldsen, rivale del nostro Canova. Il Sublime e l’ordinario scarto materiale, il Cielo e l’Immondizia a colloquio.

L’artista, novantenne, barba e cappello profetici, ha commentato: “La violenza c’è ed è venuta fuori. Basta una persona, due malintenzionati. Chissà come la pensano, qual è la visione di chi ha fatto questo. La parte stracciata del mondo ha dato fuoco a se stessa”. Di quest’opera, sorta di sua riconoscibile “Pietà” altrettanto anagraficamente michelangiolesca – “Piacere, Michelangelo!”, modo abituale con cui Pistoletto, affabilmente, monumentalmente, ama presentarsi agli spettatori del suo lavoro – accostata ai non meno celebri quadri “specchianti” riprodotti ciclicamente, il maestro ha realizzato più repliche, custodite, fra l’altro, sia presso la Fondazione che prende il suo nome a Biella, città di nascita, sia alla Tate Gallery di Liverpool.

L’Arte povera è un movimento artistico che ha visto la luce in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta dello scorso secolo segnatamente a Torino, che ha avuto il suo critico-teorico in Germano Celant; Giulio Paolini, Mario Merz, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giuseppe Penone, Pino Pascali tra i principali compagni di strada dello stesso Pistoletto. Dove l’uso di materiali “vili”, comuni, appunto “poveri” serve a rispondere, sia in senso estetico sia politicamente, alla retorica dell’Opera maiuscola, un modo immediato per metterne in discussione l’aura. Concettualmente e nella percezione visiva immediata.

Ciò non ha impedito tuttavia che i lavori dei suoi artisti conquistassero gli onori ufficiali dello spazio museale nonchè quotazioni invidiabili, vertiginose, nelle aste d’arte contemporanea “d’avanguardia”, dunque, almeno inizialmente, polemici verso l’idea stessa d’ogni “spazio deputato”. Sempre di Pistoletto, accanto alla “Venere di stracci”, va ricordato il “Labirinto” realizzato con il cartone ondulato, ordinario materiale altrove in uso per gli imballaggi.

Volendo escludere un gesto intimidatorio camorristico o una bravata dei pronipoti della plebe partenopea che rese possibile la decapitazione del duca illuminista Gennaro Serra di Cassano in seguito alla rivoluzione napoletana del 1799, il rogo, l’“autodafé” della Venere paradossalmente può essere perfino letta come un ulteriore apoteosi dell’arte (detta) povera.

13 Luglio 2023

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