Le polemiche
Carol Maltesi, le motivazioni che hanno negato l’ergastolo al killer Fontana: “Lei disinibita, lui si sentì usato”
Cronaca - di Redazione
Motivazioni che faranno discutere. Sono quelle depositate dal Tribunale di Busto Arsizio (Varese) per la sentenza che lo scorso 12 giugno ha condannato a 30 anni di reclusione Davide Fontana, il bancario e food blogger 44enne che uccise la 26enne Carol Maltesi, per poi farla a pezzi e disperderne i resti tra le montagne di Borno (Brescia).
I giudici avevano escluso le aggravanti della premeditazione, crudeltà e motivi abietti e futili condannando così Fontana a 30 anni di reclusione e non all’ergastolo, come era stato chiesto dall’accusa, con la Procura che voleva anche due anni di isolamento diurno per il bancario alla sbarra per omicidio volontario aggravato, distruzione e occultamento di cadavere.
Secondo i giudici di Busto Arsizio Fontana aveva capito che Carol voleva lasciare la provincia di Varese per trasferirsi tra l’Est Europa e la zona di Verona, dove abita il figlio di 6 anni, e “l’idea di perdere i contatti stabili con colei che egli, per sua stessa ammissione e secondo l’amica testimone, amava perdutamente, da cui sostanzialmente dipendeva poiché gli aveva permesso di vincere la solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo finalmente diverso e gratificante, si è rivelata insopportabile”.
Ma sono incredibili le parole con cui i giudici si riferiscono alla vittima: Carol lavorava come commessa in un negozio di profumi, poi si era avvicinata al mondo del porno a pagamento attraverso il sito ‘Onlyfans‘ col nome ‘Charlotte Angie’. Per questo, si legge nelle motivazioni, “Fontana si è reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi si era in qualche misura servita di lui per meglio cercare i propri interessi personali e professionali, e ciò ha scatenato l’azione omicida“. E ciò, insieme alla “consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte“, ne aveva scatenato la furia omicida.
Un movente che “non può essere considerato abietto o futile in senso tecnico-giuridico”, sostengono i giudici di Varese, escludendo anche la premeditazione: il femminicidio “fu conseguenza di condotta voluta dall’imputato sorretta da dolo diretto se non da dolo intenzionale, ma non fu conseguenza di premeditazione”.
Dopo l’arresto Fontana confessò di aver ucciso la ragazza colpendola alla testa con un martello e tagliandole la gola mentre giravano un filmino hard. Fontana dopo aver smembrato il corpo della vittima e aver tentato invano anche di dargli fuoco in un braciere, tenne i resti in un freezer a pozzetto acquistato su Amazon per alcuni giorni, per poi abbandonare i resti tra le montagne di Borno (Brescia) dove sono stati ritrovati in quattro sacchi di plastica nel marzo del 2022.
Per più di due mesi dal telefonino della ragazza Fontana aveva risposto ai messaggi “nel tentativo di far credere che fosse viva” ad amici e familiari. Agli altri attori e agli amici che la cercavano aveva raccontato che “voleva cambiare vita, lasciare il mondo del porno”. Tutte bugie ripetute fino all’interrogatorio della confessione. Una perizia psichiatrica ha accertato che era capace di intendere e di volere, “lucido e sano di mente”.