L'ultimo leader DC

Arnaldo Forlani e gli attacchi squadristi: volevano togliergli la pensione e ridurlo alla fame

Si accanirono su di lui, volevano levargli la pensione, ridurlo alla fame. Perché? Perché il fascismo è duro a morire, anche a sinistra, anche al centro, nei giornali in Parlamento...

Editoriali - di Piero Sansonetti

8 Luglio 2023 alle 10:09

Condividi l'articolo

Arnaldo Forlani e gli attacchi squadristi: volevano togliergli la pensione e ridurlo alla fame

(Questo articolo lo ho scritto 8 anni fa sul “Garantista”. Trovo che non ci sia niente da cambiare. Del resto proprio oggi i Cinque Stelle sono andati su tutte le furie perché sono stati ripristinati i vitalizi per gli ex parlamentari. Erano stati decurtati qualche anno fa con un provvedimento evidentemente anticostituzionale).

Arnaldo Forlani rimarrà senza pensione. Da molti anni percepiva l’assegno che aveva maturato in circa tre decenni vissuti da parlamentare, ministro, vicesegretario e segretario della Democrazia Cristiana, e infine Presidente del Consiglio. Nel 1992 Arnaldo Forlani fu candidato dal centrosinistra al Quirinale, ma non fu eletto (gli mancarono appena 29 voti) per colpa di un centinaio di franchi tiratori del suo partito. (Sì, un centinaio, più o meno come i cento che un paio d’anni fa impallinarono Romano Prodi. Chissà perché i cento che impallinarono Prodi sono passati alla storia come traditori, e i 100 che impallinarono Forlani come indomiti combattenti).

Arnaldo Forlani non riceverà più la pensione, insieme ad un’altra decina di ex parlamentari, perché così ha deciso il comitato di salute pubblica, presieduto da Travaglio-Grillo-Salvini e che ha incaricato il duo Boldrini-Grasso di eseguire la sentenza. Il motivo della sentenza è questo: Forlani, negli anni Novanta, è stato condannato per un reato commesso negli anni Ottanta, che è quello di essere stato segretario della Democrazia Cristiana nel periodo nel quale la Democrazia Cristiana ricevette alcune tangenti (alcuni finanziamenti) da Enimont. Il reato per il quale è stato condannato è quello di ”finanziamento illecito dei partiti”. Forlani non è stato mai accusato di avere messo in tasca una lira, una sola lira, ma di avere “oggettivamente” favorito il finanziamento del suo partito.

“Oggettivamente”, nel senso che non risulta che Forlani chiese soldi a qualcuno, ma il tribunale accettò la formula famosa del “non poteva non sapere”. Che, come chiunque sa, non equivale a “sapeva”. Non ci sono prove che sapesse ma il ragionamento logico induce a pensare che il segretario di un partito finanziato da Enimont (insieme a tutti gli altri partiti) probabilmente ”sapeva” di questo finanziamento. Ora però il problema non è quello di “processare” “Mani pulite” e cioè la farraginosità di quel gigantesco fenomeno di criminalizzazione e di punizione della politica che – tra il 1992 e il 1996 – in Italia cambiò la faccia del potere; né di discettare sulla labilità delle prove che furono adoperate per radere al suolo il Palazzo.

La questione riguarda l’oggi: l’odiosità del gesto di levare la pensione a un gruppo di persone, ex potenti, tra le quali Arnaldo Forlani. È un gesto che ha suscitato un enorme consenso nel Paese. Ha unito una vastissima area che va dal grillismo moderato al Fatto, al Pd, al Corriere della Sera. Così come – credo – nella Cambogia degli anni Settanta veniva applaudita ogni azione dei ragazzini di Pol Pot che – forti della loro incontaminata gioventù – catturavano e trucidavano i vecchi, i borghesi, i revisionisti. (Certo, lo so che esagero a paragonare Pol Pot a Travaglio-Grillo-Salvini, so che una cosa è uccidere e una cosa parecchio diversa cancellare il diritto alla pensione).

Però lo spirito è quello: “noi siamo puri, noi siamo giovani, voi siete vecchi, compromessi, colpevoli comunque, e noi vi puniamo e vi epuriamo e vi umiliamo”. È il vecchio spirito squadrista, che emerge spesso in Italia, e unifica i parvenu, pezzi di popolo e le classi dirigenti emergenti. Di questo squadrismo fa parte la distruzione del passato e la mortificazione dei suoi simboli. Chi scrive queste righe è un vecchio comunista, un giornalista che, quando era giovane, scrisse sull’Unità le “peggio cose” su Forlani. Forlani lo chiamavano il “Coniglio Mannaro” (lo aveva battezzato così un grande giornalista del Corriere della Sera che si chiamava Gianfranco Piazzesi). Forlani era un grande diplomatico, era timido, prudentissimo.

Tra l’altro aveva la capacità fantastica (e accompagnata da una grande auto- ironia) di parlare, anche a lungo, giocando con le parole e dando l’impressione di esprimere dei concetti che invece non esprimeva mai. E in questo modo non entrava in urto con nessuno. Era la quintessenza del democristianismo. Una volta, mentre lui parlava, parlava, un giornalista l’interruppe e gli chiese: «Scusi, onorevole, ma non ho capito bene cosa vuole dire…». Forlani rispose serafico: «Niente, caro amico, non voglio dire niente, e se lei vuole io posso parlare ancora per molte ore, senza perdere il filo della sintassi e senza dire assolutamente niente…».

Scrivevo sempre male di Forlani perché lui era un leader della Dc moderata. Era anticomunista. Era stato il braccio destro di Fanfani, negli anni sessanta. Dico braccio destro per dire proprio destro: era sempre più moderato del suo capocorrente. Poi fu protagonista della svolta a destra della Dc nei primi anni settanta. Poi combattè Zaccagnini e il Compromesso storico. Poi si alleò con Craxi e Andreotti, costituendo quel “CAF”, come fu battezzato dai giornalisti, che governò l’Italia finché non andò a sbattere la faccia contro il muro di Mani Pulite. Forlani tra poco compirà novant’anni (credo a dicembre). Da ragazzo, subito dopo la guerra, giocava a pallone. Faceva la mezzala nel Pesaro, in serie C. Poi dal ’48 si gettò nella politica e possiamo senz’altro dire che è stato tra i 10-15 esponenti di maggior rilievo della prima Repubblica.

Forlani è stato un uomo onesto. Si è sempre assunto le sue responsabilità. Quando i franchi tiratori dc e Di Pietro l’hanno abbattuto, si è ritirato a vita privata. Aveva 68 anni. Prima dell’addio fu sottoposto all’umiliazione del processo in pubblico, in Tv, incalzato da Di Pietro. Forlani, nonostante tutto, è sempre stato un uomo timido. E non fu bravo in quell’esibizione di muscoli che furono i processi pubblici di Tangentopoli. Fece una brutta figura, rispondeva smozzicando le parole, sembrava impaurito. Non è una colpa impaurirsi. Nelle società civilizzate non si puniscono le persone perché si impauriscono.

Non so se Forlani abbia bisogno o no dei 5000 euro al mese della sua pensione. Spero di no. In ogni caso trovo che l’umiliazione di vedersi cancellare la pensione per un reato non commesso trenta anni fa è una ingiustizia , una ingiustizia bella e buona che grida vendetta a cospetto del cielo. È tristissimo vivere in una società così, iconoclasta, ignorante, feroce, cattiva. Questi che hanno preso la decisione “cambogiana” probabilmente non sanno neppure chi è Forlani. Non sanno che è uno di quelli che ha costruito l’Italia, la nostra democrazia (in via di sgretolamento) la nostra libertà, la prosperità del Paese. Non so se mi fanno più pena loro o se mi fa più tenerezza quel vecchio, dignitoso, forte, serio, dalla grande storia, che oggi – probabilmente col sarcasmo di sempre – subisce questa ingiustizia squallida.

P.S. Qualche anno dopo la Corte Costituzionale ripristinò il diritto di Forlani ed altri alla pensione.

8 Luglio 2023

Condividi l'articolo