Lettere dal carcere

“Un detenuto ha solo 4 telefonate da 10 minuti al mese, in carcere solo parole interrotte e sofferenza”

News - di a cura di Rossella Grasso

7 Luglio 2023 alle 16:40 - Ultimo agg. 19 Febbraio 2024 alle 11:04

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“Un detenuto ha solo 4 telefonate da 10 minuti al mese, in carcere solo parole interrotte e sofferenza”

Cosa riuscireste a dire in dieci minuti al telefono a qualcuno a cui volete bene e che vi manca? Basterebbero dieci minuti a settimana per dire tutto quello che avete dentro alla persona con cui desiderate essere fisicamente ma non potete? E quanto una telefonata più lunga o la possibilità di farla più spesso vi potrebbe cambiare la vita? Lo sa bene G.M. che in una lettera a Sbarre di Zucchero racconta cosa vuol dire avere il diritto di parlare al telefono per quaranta minuti al mese, non un istante di più. Eppure avere più tempo potrebbe fare davvero la differenza. Soprattutto alla luce dell’elevato numero di suicidi che continuano a susseguirsi nelle carceri italiane. G.M. nella sua lettera sottopone anche un’altra questione che riguarda il reinserimento dopo il carcere e gli affetti: “Mai come adesso si riflette sull’importanza ai fini di un reinserimento sociale di un ristretto, della rete sociale e famigliare. Come possiamo parlare e riflettere su questo tema e allo stesso tempo discutere ancora sul numero delle telefonate? L’ennesima contraddizione di un sistema penitenziario lacunoso. L’ennesima contraddizione di un sistema penitenziario antiquato. L’ennesima contraddizione di un sistema penitenziario che non crede nel reinserimento“. Eppure tutto questo potrebbe cambiare, se ne sta discutendo tanto proprio in quest’ultimo periodo. Perchè una telefonata in più a un detenuto che vive quotidianamente l’orrore e la solitudine, può davvero cambiare la vita. Riportiamo di seguito le parole di G.M. nella lettera a Sbarre di Zucchero.

Sicuramente qualcuno di voi sa benissimo come funziona. Io vi racconto la mia esperienza. Le telefonate in carcere sono 4 al mese, da dieci minuti contati di orologio. Per la precisione sono cronometrando 9 minuti e 40 secondi. Gli ultimi 10 secondi una voce esterna e o registrata si inserisce nella comunicazione e dice: la telefonata sta per terminare. E non fa in tempo a scandire l’ultima sillaba che la telefonata si interrompe con il classico: tu-tu-tu. Ogni ristretto gestisce la telefonata in base alla funzione che può e o deve avere quella comunicazione, può essere di sola comunicazione. A quel punto hai un biglietto con i tre punti da dire, o le tre cose da chiedere che ti mancano, o le cose che vorresti che sappiano, o ancora peggio le tre cose che tu vorresti sapere.

Dall’altra parte, le famiglie, imparano per ovvie ragioni ad avere il dono della sintesi. Veloci, sbrigativi, una carrellata di saluti d’obbligo per tutti, poi spazio a chi chiama. Vista cosi sembra quasi facile. Se tutto fosse lineare e se non ci fossero sentimenti. Ma niente è lineare in carcere, e i sentimenti e le emozioni hanno sempre il sopravvento. I saluti sono accompagnati dalla ripetuta domanda ‘come stai?’. Solo per quella domanda reciproca non basterebbe un mese di telefonata. E poi ci sono le incomprensioni, le probabilità, i dubbi e le incertezze. La telefonata spesso si chiude in un modo che non vorresti, con un discorso a metà, con la rabbia di entrambi gli interlocutori di non essere compresi, con la paura di una cosa che non volevi dire ma che viene compresa e o letta tra le righe. Immaginate la comunicazione di un lutto al telefono. La comunicazione di una malattia.

Come possono essere utili, funzionali e o sufficienti dieci minuti quando nella vita di tutti i giorni non ti bastano mesi. Immaginate il turbinio di emozioni del ristretto o ristretta che rientra in cella, e o del famigliare che resta con il telefono in mano. Si piange quando cade la linea spesso. Si tira un sospiro di sollievo perché se lo hai sentito, è li e più o meno sta bene, ti preoccupi se percepisci un tono di voce diverso. Reciprocamente. Personalmente aspettavo con ansia il momento della telefonata. Ma allo stesso tempo mi ha sempre lasciato un grande amaro in bocca, un senso di profonda lontananza e solitudine. Mai come adesso si riflette sull’importanza ai fini di un reinserimento sociale di un ristretto, della rete sociale e famigliare. Come possiamo parlare e riflettere su questo tema e allo stesso tempo discutere ancora sul numero delle telefonate? L’ennesima contraddizione di un sistema penitenziario lacunoso. L’ennesima contraddizione di un sistema penitenziario antiquato. L’ennesima contraddizione di un sistema penitenziario che non crede nel reinserimento.

di: a cura di Rossella Grasso - 7 Luglio 2023

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