La mostra fotografica
Chi è Paul McCartney: letterato, musicista, genio!
Leggenda vivente, l’artista racconta più di 60 anni di carriera trascorsi tra i Fab Four e l’avventura solista. “Molti di voi pensano che il ‘63 o il ‘64 siano anni lontanissimi, ma vi posso assicurare che per me il ‘63 è ieri”
Cultura - di Graziella Balestrieri
Un mucchio di foto, di negativi in realtà. Trovarli mentre si sta cercando altro. Sono foto del passato, foto che in un angolo della testa c’erano ma che negli angoli della casa erano andati forse dimenticati, scomparsi. Ritrovare un determinato ricordo, perché le foto sono il ricordo che cattura quell’istante, destinato a svanire l’istante dopo.
Le foto catturano le epoche, rappresentano i volti ancora più di una velocissima realtà. Le foto possono riportarti a quanto amore e odio c’era in quel tempo scattato in quella immagine…la foto accende il ricordo, lo riprende in mano e lo trasforma, lo rende vivo e attuale ma allo stesso modo la foto ferma il tempo. Che è poi frase comune, dire “una foto ferma il tempo”, ma se questa foto è nelle mani di Sir Paul McCartney, allora questo tempo che si ferma non è più qualcosa di privato, non un tempo che appartiene ad un solo individuo ma diventa tempo di tutti.
Ed è “Eyes of the storm” 1963/64 libro che raccoglie gli scatti inediti di un giovanissimo Paul McCartney fotografo, all’inizio degli anni del ciclone Beatles, insieme a Ringo, George e John, gli anni che li avrebbero consacrati poi come il gruppo più importante della storia della musica, quei quattro ragazzi che avrebbero influito sulla cultura, sulla società e ovviamente sulla musica come mai nessuno prima e ancora oggi, queste foto sono testimonianza della freschezza, della gioventù e sicuramente del passaggio di un’epoca, basti pensare che si va dal bianco e nero fino alle ultime foto a colori. Ma non ci sono solo i volti, ci sono le città, la scoperta di un mondo nuovo, l’America da un lato straordinariamente profumata di libertà, dall’altro negli scatti di Paul quell’America che vive la segregazione razziale.
Parigi, la bellezza, l’arte, l’atmosfera così di un tempo lontano, la gente, le persone e i volti, i fotografi che li inseguivano e che si lasciano fotografare entusiasti da Paul, tutti vogliono essere centrati da quell’obiettivo che sanno per certo li renderà parte di una storia. Ma non è solo un libro questo Eyes of the storm, uscito in Italia, per la Nave di Teseo, per chi ha la fortuna di andare a Londra alla National Portrait Gallery dal 28 giugno al 1° ottobre, la collezione è ancora più ricca. Mostra fotografica che è stata inaugurata il 28 giugno dallo stesso Paul, e che ha visto tra i presenti non solo i figli, dalla stilista Stella McCartney alla fotografa Mary ma anche un David Grohl (ex Nirvana, Foo Fighters) da sempre super fan del gruppo di Liverpool e poi Ronnie Wood de i Rolling Stones, una sfilata di star internazionali incuriosite nel vedere scatti inediti dei quattro ragazzi più famosi del mondo, come se ci si aspettasse sempre qualcosa di nuovo su di loro e da loro, ancora nel 2023. E non solo, ma anche per rendere omaggio a quello che si può considerare l’artista più influente, importante e assoluto nel mondo della musica.
Il 29 giugno Paul, che non si risparmia mai, è stato ospite dell’attore Stanley Tucci e per chi ne ha avuto la possibilità si poteva seguire in streaming tutta questa chiacchierata intessuta di ricordi accompagnata dallo sfilare di alcune delle foto presenti nella mostra. È un McCartney sempre generoso, non si risparmia mai, spiega nei dettagli molte cose: ci dice di come sono state ritrovate le foto, della sua passione per i volti e le città, di quanto sia minuziosamente in grado di parlare della tecnica di sviluppo di allora come di quella di oggi. Ed è lui a chiedere se in sala è presente qualcuno che studia fotografia, e quando un ragazzo presente alza la mano, Paul chiede incuriosito: “Studiate questa tecnica?”, riferendosi a quella usata da lui per queste foto: “Studiatela perché è importante, vi fa capire come nasceva una foto, non è tutto veloce come ora. C’era una sorta di disciplina da seguire anche qui nella fotografia”.
Poi racconta della foto di John Lennon con gli occhiali da vista, rivelando che era miope ma che in pubblico non indossava mai quegli occhiali, le facce di Ringo, apparentemente quello più disponibile di tutti a farsi fotografare ma in realtà quello meno naturale di tutti nelle foto, sempre scomposto, sempre alla ricerca di una faccia che non era la sua. Gli scatti raccontano ancora di più John e George, così già divo il primo, così abituato agli scatti, così già in un mondo tutto suo, mentre timido il secondo e poco incline al sorriso. Però ce ne è una che esce alle spalle di Paul che rappresenta George sorridente, forse l’unica foto ed è lì che nel guardarla McCartney si commuove, perché come dice lui – “si vede che era davvero felice”.
E ancora secondo Paul, George Harrison è quello che rappresenta la foto più significativa, più intensa e più segnante: in piscina, una foto a colori, segno dei tempi che cambiano, un drink in mano, una bella ragazza accanto, alla quale volutamente non è stato fotografato il volto. Una foto che rappresenta la gioventù, la voglia di divertirsi, dell’essere giovani che gli stava sfuggendo di mano per la troppa popolarità, i colori che cambiano la vista, la prospettiva e gli anni che diventano come le lancette dell’orologio, in un tic-tac continuo, talmente continuo che quel tic-tac si può interrompere, così come i colori possono sfumare, così la giovinezza. E poi le foto davanti agli specchi da parte di Paul, così già avanti, così già nel 1963 come se stesse postando scatti per Instagram.
E poi la cosa più impressionante della conversazione con Stanley Tucci è che Paul McCartney ad un certo punto dice. “Molti di voi non erano nemmeno nati, molti di voi pensano che questi anni qui, il 1963, il ‘64 siano anni lontanissimi, perché in effetti sono passati 60 anni, ma vi posso assicurare che per me il 1963 è ieri”. E lo dice con una naturalezza e la convinzione di chi stia vivendo questo tempo con gli occhi del 2023 ma con il cuore e l’anima di ieri. Uno ieri non lontanissimo, ieri 28 giugno 2023 come il 28 giugno del ‘63. E allora torniamo a ieri, ai Beatles, a quello che sono stati, a quello che più o meno anche un bambino di dieci anni sa, o pensa che siano eroi di un cartone animato o in malo modo se li ritrova su qualche libro di testo.
Questa mostra fotografica di Paul McCartney però è l’ennesima dimostrazione, perché pare che ce ne sia sempre bisogno, di come sir Paul possa essere definitivo senza nessuna remora (e me ne prendo la responsabilità) l’artista del secolo. Non c’è bisogno di essere fan di Paul McCartney, non bisogna essere esperti di musica o altro. Che lo vogliate o no, che siate esperti o meno, che siate sostenitori di un gruppo piuttosto che di un altro, che magari non riusciate a capire cosa possa significare avere un dono come il suo e allo stesso tempo essere capaci di disciplina per portar fuori quel dono o che il vostro stile musicale sia mille miglia lontano dal suo. Non importa. Paul McCartney non può entrare in futili discussioni, non rientra nei gusti musicali, Paul McCartney andrebbe già da tempo studiato nelle scuole, insieme a Mozart o a Beethoven. Sì, Ludwig Van Beethoven, Wolfgang Amadeus Mozart e Paul James McCartney.
E se non siete certi di questo, se non vi bastano composizioni musicali e testi come Let it be, I’ve just seen a face, The fool on the hill, Blackbird, Golden Slumbers, Carry that weight, The long and Winding Road, ripetiamo The Long and Winding Road, o Helter Skelter, che ricordatevelo sempre, ha cambiato la storia della musica rock, o le composizioni durante la carriera solista da Maybe I’m Amazed, Live and Let die, Nineteen Hundred and Eighty Five o per ultime Happy with you o Despite Repeated Warnings, provate a guardare il documentario Get Back e capirete la genialità assoluta di Paul McCartney, la prontezza nella composizione di un brano, stiamo parlando di un ragazzo che seduto al pianoforte compone lì all’istante Let it be.
E non solo questo, perché non è solo il genio o l’avere le note in testa da parte di Paul McCartney, ma forse una delle qualità maggiori è la sua disciplina, la dedizione al suo lavoro, il genio di Paul McCartney è come lavora, il come. Per cui non solo andrebbe seriamente studiato nelle scuole, ma con un capitolo a parte, riservato, insieme ai compositori come appunto Beethoven e Mozart, e ancora di più di fatto e nella realtà per quanto si possa stimare Bob Dylan, e non abbiamo dubbi su questo, ma siamo sicuri che Bob Dylan merita il premio Nobel per la letteratura con le motivazioni con le quali gli è stato assegnato ovvero “per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della canzone americana” e non lo merita Paul McCartney?
Voi direte “eh, ma Dylan ha scritto Blowing in the wind”. E allora? Paul McCartney ha scritto Let it be. Siete sicuri che la musica di Dylan e i suoi testi abbiano influito più di quelli dei Beatles o in questo caso di Paul McCartney sulla società e sul modo di comporre canzoni? Pensate a quanto sarebbe straordinario l’anno prossimo agli esami trovare una traccia così: “sottolineare le differenze tra la scrittura di Paul McCartney e Bob Dylan e le influenze culturali che queste due figure hanno avuto e hanno sulla società ancora oggi”. Eyes of the storm non è solo il libro e la mostra di Sir Paul McCartney ma sono i ricordi di ieri dell’artista del secolo, che non entra in nessuna classifica ma per diritto dovrebbe stare nei libri di storia.