Dopo la polemica

Chi è Caino, il primo assassino della storia

Chi pensa che tacitare Caino sarebbe un virile gesto antifascista, ha capito davvero poco della logica inclusiva della nostra Costituzione

Editoriali - di Andrea Pugiotto

24 Giugno 2023 alle 16:00

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Chi è Caino, il primo assassino della storia

1. Sembra sopita la polemica esplosa all’indomani della pubblicazione su l’Unità di un articolo a firma di Valerio Fioravanti, peraltro dal contenuto «civilissimo» (Stefano Cappellini, La Repubblica, 3 giugno). Ma è come brace sotto la cenere: il putiferio riprenderà alla prossima occasione, trainato da pagine social usate come le pareti di un vespasiano. Il direttore Sansonetti, nella sua replica, ha lasciato appeso il quesito di fondo: «Sapete chi è Caino? Beh, questo ve lo spiego un’altra volta» (l’Unità, 1 giugno). Si parva licet, raccolgo la pertinente provocazione rispondendo a mio modo.

2. Caino è, innanzitutto, un personaggio biblico (Genesi, 4, 1-16). Fratricida per motivi abietti, subisce per questo una triplice condanna: la lontananza da Dio, la fatica infruttuosa del lavoro della terra, la condizione di esule ramingo. Al tempo stesso, è posto al riparo dalla vendetta altrui: «Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato». Dunque, dopo l’omicidio di Abele, Dio pone Caino davanti alle sue responsabilità, sanzionandole severamente, e lo rende riconoscibile, non per farne un bersaglio bensì per tutelarlo. Giuridicamente, è un rebus denso di significati: quali?

Primogenito di Adamo ed Eva, Caino è il primo nato tra gli uomini: dunque, «la violenza dell’uomo appare come originaria» (Massimo Recalcati, Il gesto di Caino, Einaudi 2020); riguarda potenzialmente tutti, perché «io vivo adesso dentro ogni umano, e lo strattono/fino all’insolenza, fino al delitto/a volte» (Mariangela Gualtieri, Caino, Einaudi 2011). È il primo insegnamento. Ecco il secondo: il peccato originale commesso nell’Eden dai suoi genitori perde, con Caino, la dimensione privata per trasformarsi in violenza sociale: due fratelli, «uno non sopporta l’altro; ed ecco che l’odio si scatena, e subito la terra è irrigata di sangue» (Gianfranco Ravasi).

Proprio perché fatto sociale, l’atto criminale per quanto efferato merita giustizia, non vendetta: da questa Caino va protetto, senza che ciò ne giustifichi l’azione. È il terzo insegnamento: in uno Stato di diritto, il monopolio pubblico nell’esecuzione penale serve proprio per emanciparla da forme di giustizia fai-da-te e dalla logica del taglione, perché l’occhio per occhio rende tutti ciechi. A fondamento di tutto c’è la distinzione tra errore ed errante: Caino è colpevole, ma non si risolve integralmente nella sua colpa. Teologicamente si direbbe: distinguere tra l’esistenza e l’essenza dell’uomo. Giuridicamente noi diciamo: distinguere tra il reato e il reo, nel nome di una dignità umana che, «come non si acquista per meriti, così non si perde per demeriti» (Gaetano Silvestri).

3. Caino, però, è anche un personaggio letterario, protagonista dell’omonimo romanzo di José Saramago (Feltrinelli 2010). Lo scrittore portoghese ne fa un viaggiatore nello spazio e nel tempo che attraversa tutti gli episodi più significativi dell’Antico Testamento: dalla cacciata dall’Eden fino alle vicende dell’arca di Noè (con finale a sorpresa, rispetto al racconto biblico). Attraverso questo Caino errabondo, a cavallo di una mula come un Don Chisciotte ante litteram, scopriamo le spropositate pretese del Dio della Bibbia e i suoi smisurati castighi.

L’allegoria letteraria capovolge l’immagine di Caino quale personificazione del male. È invece il suo dio a rivelarsi più crudele di lui e di tutti i peccatori. Disossato dall’ateismo professato da Saramago, e declinato in chiave giuridica, lo stupore misto allo sdegno del suo Caino davanti a un potere ingiusto e vendicativo disegna – per antitesi – i tratti essenziali di una pena costituzionalmente orientata. Ci dice innanzitutto che il diritto penale, per conservare la sua umanità (imposta dalla prima parte dell’art. 27, comma 3, Cost.), deve essere diverso dal suo oggetto, spezzando la ritorsiva logica per equivalente della pena. Non a caso, il sintagma «Nessuno tocchi Caino» evoca la battaglia radicale per l’abolizione universale delle pene massime: quella di morte e quella fino alla morte (l’ergastolo).

Lo sdegno del Caino letterario ci ricorda, inoltre, quanto sia essenziale la proporzionalità delle pene, se queste «devono tendere alla rieducazione del reo» (come prescrive la seconda parte dell’art. 27, comma 3, Cost.). La dismisura sanzionatoria del legislatore rovescia indebitamente i ruoli, inducendo Caino a percepirsi Abele perché vittima di una pena spropositata, quindi ingiusta.

4. Pur nella abissale distanza, il Caino biblico e il Caino letterario convergono su un punto. Entrambe le narrazioni fanno capire come il momento punitivo sia eminentemente collettivo perché, se ridotto entro il rapporto asimmetrico tra colpevole e offeso, rischia di degenerare nella vendetta di vittime rancorose (così nella Bibbia) o guidata dalla collera di un dio iracondo (così nel romanzo di Saramago).

Posso tentarne anche qui una traduzione giuridica. Il finalismo rieducativo della pena si proietta oltre il perimetro dello Stato-apparato per chiamare in causa lo Stato-comunità nel sostenere il percorso di risocializzazione del condannato. Infatti, l’orizzonte lungo e inclusivo dell’art. 27, comma 3, immette un’obbligazione costituzionale che grava, innanzitutto, sul reo chiamato a «intraprendere un cammino di revisione critica del proprio passato e di ricostruzione della propria personalità». Ma «non può non chiamare in causa – assieme – la correlativa responsabilità della società nello stimolare il condannato ad intraprendere tale cammino» (Corte costituzionale, sent. n. 149/2018).

Tutto ciò si riassume nel «diritto alla speranza», di cui anche Caino è titolare. L’evocativa espressione non nasce dal pulpito, ma dalla Corte EDU (Vinter e altri c. Regno Unito, in tema di ergastolo). Ed è sempre la Corte di Strasburgo a riconosce che la dignità umana «impedisce di privare una persona della sua libertà, senza operare al tempo stesso per il suo reinserimento e senza fornirgli una possibilità di riguadagnare un giorno questa libertà» (Viola c. Italia n. 2). Detto altrimenti, il diritto alla speranza, quale diritto a ricominciare, è la misura della dignità di Caino: negare l’uno significa negare l’altra.

5. Come sottolinea Andrea Camilleri nel suo Autodifesa di Caino, (Sellerio 2019), il racconto biblico ha un epilogo ri-generativo: diventato padre, Caino «costruì una città alla quale diede il nome di suo figlio: Enoc» (Genesi, 4,17). Il primo assassino, al termine della sua vita tormentata, è il primo costruttore di città nella storia dell’umanità. È l’atteggiamento di Caino che si fa speranza contro ogni speranza, agendo affinché le cose cambino invece di sperare che cambino indipendentemente dal proprio agire: «Spes contra spem» (Lettera ai Romani, 4,18). Caino che – dopo tanto tempo e lungo patire – sostituisce alla violenza passata il ricorso agli strumenti nonviolenti dell’ordinamento democratico, e li usa nell’interesse generale, è il segno più tangibile che la scommessa costituzionale è stata vinta. Da tutti.

6. Quanto a lungo dovrà errare Caino, con un fratricidio che pesa sulle spalle, prima di fare reingresso nella vita della città? Durerà il tempo della pena stabilita dalla legge generale e astratta, applicata in concreto dal giudice: oggi, per i reati ostativi più gravi, 30 anni di detenzione+10 di libertà vigilata (troppo pochi?). Dopo, per lo Stato Caino recupererà il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza: anche quello di manifestare liberamente il proprio pensiero, che la Costituzione riconosce a «tutti» (art. 21, comma 1).

Chi vede in ciò un intollerabile oltraggio, invoca una pena aggiuntiva priva di base legale. Equivoca il segno imposto su Caino, scambiandolo per un’arroventata lettera scarlatta. Rimpiange l’ostracismo dell’antica Atene. Vuole, senza dirlo, che per lui la pena sia spietata e perenne. Quanto a chi pensa che tacitare Caino sarebbe un virile gesto antifascista, ha capito davvero poco della logica inclusiva della nostra Costituzione.

24 Giugno 2023

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